La Repubblica del Duemila di Carlo Casalegno

La Repubblica del Duemila H nostro Stato La Repubblica del Duemila Chi non s'accontenta dell'amaro piacere della denuncia, ma crede nello Stato e spera o s'illude che le critiche aiutino a difenderlo, trova ogni giorno valide ragioni per sentirsi scoraggiato. Qualche volta ha l'impressione ancor più desolante di condurre una battaglia inutile per un obbiettivo anacronistico: ad esempio, dopo aver letto L'autunno della Repubblica' di Eugenio Scalfari, appena stampato dalla Etas-Kompass. Questo libro, stimolante pamphlet di duecento pagine che racconta la storia del dopoguerra e disegna « la mappa del potere in Italia », non induce all'ottimismo: è tutto una requisitoria contro la classe politica, soffocante o parassitaria per un Paese di prepotente vitalità, e la diagnosi di una crisi dello Stato, che non può essere guarita con le riforme. Il futuro è imprevedibile, ma certo non rimarrà nulla della vecchia Italia: « le acque stagne della palude si sono trasformate in impetuosi e freschi torrenti », di cui non possiamo oggi individuare né il corso, né lo sbocco. La morte di Pio XII In poco più di un ventennio la Repubblica, nel giudizio di Scalfari, ha compiuto il suo ciclo. Era un vestito nuovo per l'Italia vecchia: la guerra e la lotta antifascista avevano distrutto alcune sovrastrutture politiche, ma le realtà socio-economiche non erano cambiate, malgrado le speranze nel « vento del Nord ». La vera rivoluzione incominciò una dozzina d'anni dopo, senza che nessuno la prevedesse, la volesse e la guidasse. Scalfari indica una data-simbolo, la morte di Pio XII nell'autunno del 1958: la scomparsa dell'ultimo dei Papi ottocenteschi coincide, infatti, con l'inizio del « miracolo » economico, cioè con la trasformazione tumultuosa del Paese da società semidepressa, ed amministrata paternallsticamente, in moderna ed inquieta società industriale. I politici, al governo ed all'opposizione, si lasciarono sorprendere; le immobili strutture pubbliche adatte alla vecchia Italia, si sono dimostrate impotenti o addirittura un peso morto: per la prima volta dall'Unità «con l'inizio degli Anni Sessanta la società divenne più matura, più ricca, più'civile dello Stato». Il governo Tambroni fu l'ultimo tentativo della decrepita Italia ufficiale per frenare il movimento; ed il centro-sinistra..^ un socialista che lo afferma) fu uno sforzo tardivo per inquadrarlo con « un'operazione trasformista proprio quando stavano venendo meno i presupposti storici... del trasformismo a. Perciò non servì a far partecipare utilmente le masse alla vita pubblica, né ad arrestare lo sfacelo dello Stato: lo sfaldamento dei partiti in correnti di tipo feudale, il potere politico interpretato come distribuzione di benefici con il privilegio dell'immunità, la crescente indipendenza delle * baronie » economiche o corporative, la rivolta della burocrazia contro il principio di « servizio ». E', aggiornata al ventesimo secolo, la crisi dell'impero carolingio: vuoto d'autorità, spezzettamento del potere, assenza di una leadership nazionale. Mancano gli uomini politici e anche gli istituti capaci di affrontare il futuro, mentre finisce un lungo periodo storico ed incomincia « una nuova fase», forse esaltante, ma « dai contorni ancora incerti ». Il «ribellismo» Eugenio Scali ari non s'arrischia nel mestiere di profeta. Tuttavia, se ho capito bene, ritiene che le radicali trasformazioni socio-economiche condurranno « attraverso un lungo cammino per anni oscuri, confusi, fangosi e talvolta sanguinosi » ad uno Stato tutto nuovo; e attribuisce un'importanza rivoluzionaria al ribellismo (non saprei definirlo meglio), che da un anno e mezzo tiene in agitazione studenti ed operai, medici e funzionari statali, carcerati e guardie di custodia, braccianti disoccupati e tifosi di calcio, bottegai ed inquilini scontenti del caro-affitti. Una contestazione in apparenza anarcoide, in realtà omo genea, perché tutti vogliono demolire « un'unica muraglia: il sistema di potere che da cent'anni aveva governato il paese » e che ora non è più in grado di assolvere la sua funzione. Non sono tanto nostalgico del vecchio Stato da negarne l'impotenza e l'inadeguatezza; né così sordo alle inquietudini di questi anni, in Italia e fuori, da vedere nella crisi di tutte le autorità e di tutte le certezze solo uno sterile anarchismo, ed ancor meno un disordine da stroncare con i carabinieri. Ammetto che stia nascendo a fatica un mondo imprevedibile. Ma, per restare alla politica, mi chiedo se questo ribellismo italiano abbia davvero un significato rivoluzionario, o non sia piuttosto il segno di un difficile adeguamento a condizioni già raggiunte da altri paesi: e, senza sottovalutare lo sfacelo dello Stato, non riesco a convincermi che la crisi debba condurre a forme diverse di organizzazione civile, ad una Seconda Repubblica tutta nuova. Certo occorrono profonde riforme; ma per avvicinarci — mi sembra — ai modelli sperimentati da società che prima di noi sono passate dal sottosviluppo agricolo allo sviluppo industriale. L'Inghilterra, la Scandinavia, le democrazie extra-europee d'impronta britannica, oggi la stessa Germania dimostrano che le Costituzioni tradizionali possono assorbire, appena aggiornate, gli sviluppi economici e sociali più rivoluzionari. Forse merita ancora difendere non le strutture arcaiche, ma i fondamenti dello Stalo. E sperare che la classe politica ed i cittadini vogliano ricostruirlo: non abbatterlo, nell'illusione che dalla rivolta nasca un ordine migliore, di cui nessuno sa indicare il modello. Carlo Casalegno

Persone citate: Eugenio Scalfari, Pio Xii, Scalfari, Tambroni

Luoghi citati: Germania, Inghilterra, Italia