Nascono dalla tecnologia i giochi della nuova arte

Nascono dalla tecnologia i giochi della nuova arte Le mostre nelle gallerie torinesi Nascono dalla tecnologia i giochi della nuova arte Le «cabale matematiche» di Carrino - La «genuinità» di Leon Gisehia e i disegni di Man Ray pioniere del dadaismo « Carrino concentra la sua attenzione sullo schermo piano, cioè lo assume non già come luogo della verifica, ma come dato o elemento dell'esperienza percettiva. Ma, rovesciando il procedimento tradizionale di riduzione al piano, considera lo schermo come generatrice plastica, fino a far nascere una prospettiva rovesciata, che procede dalla concezione teorica alla realtà percettiva dello spazio curvo, attraverso un procedimento di fenomenizzazione che va dal punto alla linea, dalla linea al piano, dal piano al volume » (G. C. Argan, 1966). « Carrino che, fra tutti i componenti del Gruppo 1, fin dal principio era stato il più aleatorio, e per l'impiego dei materiali, e per le articolazioni proposte, per la sfiducia, direi, in uno s.jozìo dato, ha rotto di nuovo la bidimensionalità della superficie... » ecc. (N. Ponente, 1967). « Carrino realizza ì suoi rilievi 'e le sue sculture come verifiche di sviluppo della geometria modulare. Per lui tra relazioni matematiche e relazioni estetiche non c'è una essenziale diversità. Non esiste formalizzazione più rarefatta e tuttavia più profondamente prensile per ogni •enucleazione della vita » (M. Volpi, 1968). Queste parole di colore oscuro son tolte da un autorevole florilegio critico relativo alla mostra di Nicola Carrino (pugliese, 37 anni, un curriculum fittissimo di mostre, premi, acquisti di musei e privati) ora aperta alla galleria Christian Stein, via T. Rossi 3. Immaginiamole riferite all'Uomo del guanto di Tiziano, alì'Et in Arcadia ego del Poussin, a una bagnante di Renoir, a una statua di Arturo Martini, e otterremo la misura del divario che corre fra l'idea che si poteva avere, nel passato prossimo o lontano, delle intenzioni e delle azioni artistiche, e l'idea che — considerata la posizione assunta da un notevole settore dell'arte e della critica — se ne deve avere oggi. Punto, linea, piano; prospettiva rovesciata; spazio, bidimensionalità della superficie; geometria modulare; relazioni matematiche. Strano linguaggio, applicato a delle opere, a degli oggetti che si espongono in gallerie d'arte. Una volta si diceva cuore, sentimento, affetti, pensiero, moralità. E, sulla bilancia, quelle erano vacue stupidaggini, queste sono meditate e intelligenti analisi di un lavoro giudicabile con metro scientifico, non estetico. Nei riguardi della presenza d'un fatto che vuole qualificarsi « artistico », il risultato è il medesimo. Preveniamo l'obiezione. Anche Paolo Uccello era un patito della geometria, della matematica, e mormorava « Che dolce cosa è la prospettiva! ». Ma poi dipingeva la Battaglia di San Romano e il Miracolo dell'Ostia. Il Carrino, che pure assunse nel '60 l'insegnamento di « disegno dal vero » all'Istituto d'arte di Grottaglie e nel '65 quello di « figura disegnata » al Liceo artistico di Roma (curioso impegno per un temperamento ctgcmeEdrccfsglgCumaLtsatrm come il suo) capovolge la situazione e s'industria in oggetti (in verità interessanti) che sono soluzioni di problemi geometrici perfettamente estranei ai problemi artistici. Egli è uno dei tanti esempi della tendenza, che va generalizzandosi, ad identificare il concetto dell'arte con il concetto di scienza; o se si preferisce, di tecnologia. Nei suoi confronti Leon Gisehia, francese di lontana origine piemontese, 66 anni (bella e piacevole mostra alla galleria « Narciso » di piazza Carlo Felice 18), è ancora un pittore che lavora con mezzi e scopi genuinamente artistici. Allievo di Friez e di Léger, uomo di cultura, autore di saggi critici, in lui si sente un'adesione elegante, aristocratica, ma con un certo distacco, ai movimenti parigini dal Cubismo (qualche movimento picassiano, qualche motivo alla Braque, pesce, chitarra) all'Astrattismo, cui si dedica nel dopoguerra senza però abbandonare mai una vaga sembranza figurativa. Nella sua pittura si può notare un certo compromesso, quasi un'indecisione che smorza la polemica; ma dal primo all'ultimo quadro è vi¬ sibile una coert.iza di gusto palesata dalla inalterata limpidezza del colore e dallo splendore della luce sulle forme sfaccettate. Gisehia soddisfa le esigenze della modernità senza urti né scandalo. Man Ray, americano di Filadelfia quasi ottantenne, è celebre soprattutto per i suoi capolavori fotografici; ma l'amico e collaboratore di Duchamp e Picabia, dadaista a New York quasi contemporaneamente ai dadaisti dì Zurigo, può essere adesso conosciuto dai torinesi come pittore nell'interessante mostra al « Fauno » (piazza Carignano 2) presentata da « Janus ». Artista di versatilità eccezionale, di curiosità estetiche inesauribili. Man Ray non può essere qualificato né espressionista né dadaista né surrealista né astrattista: è l'uno e l'altro e l'altro e l'altro insieme secondo i tempi, gli j umori, gli stimoli intellettuali; sempre tuttavia lasciando un'impronta di originalità fortissima, anche quando sembra perdersi nel divertissement, nel capriccio. Gazzera sarebbe sorpreso di vedere in lui persino un momentaneo precursore di « Fiori giganti ». mar. ber.

Luoghi citati: Filadelfia, Grottaglie, New York, Roma, San Romano, Zurigo