Un programma "kennediano"

Un programma "kennediano" Un programma "kennediano" Willy Brandt è stato eletto con appena due voti in più della maggioranza necessaria. L'alleanza fra socialdemocratici e liberali, definita non senza ironia la «mini-coalizione», ha vacillato. Brandt avrebbe dovuto ottenere almeno 254 voti: i 224 del suo partito e i 30 liberali. Evidentemente tre di quest'ultimi nel segreto dell'urna hanno infranto la disciplina di partito. Il potere di Brandt appare tuttavia meno fragile di quanto una maggioranza cosi esigua potrebbe far supporre. La Costituzione tedesca garantisce infatti all'esecutivo una certa stabilità. Non basta che il Parlamento respinga una legge perché un governo venga messo in crisi; prima di rovesciare un Cancelliere i leaders dell'opposizione debbono presentare al Capo dello Stato il candidato alla successione e indicare la maggioranza disposta a sostenerlo. In secondo luogo il partito liberale, nonostante le riserve di qualche singolo deputato, si è spinto troppo lontano per poter rovesciare l'alleanza con i socialdemocratici. Scheel aveva impresso al partito un brusco cambiamento di rotta spingendolo a sinistra e questa tattica gli è costata nelle recenti elezioni un prezzo molto alto. Dal 9,5 per cento dei voti ottenuti nel 1965 i liberali sono scesi al 5,8. Dopo aver perduto l'ala conservatrice dei suoi elettori, che è passata in forze ai democristiani, Scheel non può permettersi di perdere anche l'ala progressista. In terzo luogo, i democristiani, che contano nel Bundestag 242 deputati e che restano il partito di maggioranza relativa, appena relegati sui banchi dell'opposizione hanno mostrato qualche sintomo di cedimento. Kiesinger, il Cancelliere sconfitto, non appare più il leader incontrastato. Non tutti i suoi deputati hanno votato contro Brandt. Le cinque astensioni e le quattro schede nulle lo stanno a dimostrare. Più che instabile, la « mini-coalizione » rischia di risultare poco incisiva. Era intenzione dei socialdemocratici impostare diversamente i problemi internazionali. Attraverso la Ostpolitik, l'apertura a Oriente, Brandt si proponeva di normalizzare i rapporti con la Polonia, magari riconoscendo ufficialmente le nuove frontiere tracciate dopo la guerra, e di giungere a una convivenza con la stessa Germania Est, riconoscendo de facto il regime di TJ1bricht. Su questo punto Walter Scheel, che sarà il nuovo ministro degli Esteri, appariva su posizioni ancora più avanzate. Due settimane fa il «dialogo» fra la Germa nia Federale e i Paesi comunisti era sembrato addi rittura imminente. Prima Breznev a Berlino e poi Go mulka a Varsavia avevano salutato con aperta soddisfazione l'annuncio che a Bonn p ' ó corso un « cambio di ire». Ma te jarso margine di maggioranza e il vigore dell'opposizione democristiana, già pronta a definire Brandt «il Cancelliere della rinuncia », sembrano consigliare una maggiore prudenza. Alla vigilia dell'investitura Willy Brandt, ricevendo i giorna listi stranieri, si è definito il « Cancelliere delle riforme interne », mentre Scheel ha annunciato che «i liberali, dopo l'insuccesso elettorale, non possono certo pretendere di determinare la politica tedesca». La Ostpolitik non viene certamente rinnegata; può invece subire una battuta di arresto. Ti Cancelliere delle rifor me, per ottenere l'appoggio dei liberali, ha dovuto rinunciare al principio della cogestione, già applicato in alcune miniere, che avrebbe garantito ai sindacati un forte potere di decisione all'interno delle aziende. Tuttavia notevoli passi possono essere ancora compiuti In questa direzione. Lo Stato tedesco, creato da Bismarck e ricostruito da Adenauer, poggia su strutture solide, ma non altrettanto moderne.

Luoghi citati: Berlino, Bonn, Germania Est, Polonia, Varsavia