Crisi di Borsa e fuga di capitali di Renato Cantoni

Crisi di Borsa e fuga di capitali Dopo l'intervista di gruppo a "La Stampa,, sull'autunno sindacale Crisi di Borsa e fuga di capitali Caro Direttore, i commenti di La Malfa, Giolitti e Bosso, seguiti alla tavola rotonda sui problemi sindacali ed economici del momento, ci sembra non abbiano tenuto conto d'una questione di importanza capitale e cioè l'atrofia dei mercati azionari. Si denunciano la massiccia e dolorosa emigrazione dei lavoratori, l'imponente e Inarrestabile esportazione di capitali, che rende difficile il finanziamento degli investimenti e di conseguenza una maggiore occupazione. Sono dati di fatto inconfutabili, ma anche gli effetti di una politica, spesso inopportuna, talvolta punitiva degli ultimi tredici anni. Già nel 1956 la famosa « legge Tremelloni » per la perequazione tributaria, giù sta sotto il profilo morale e ben congegnata sotto quello tecnico, non aveva tenuto conto della situazione oggettiva del Paese. Si era alla vigilia di una vera e propria rivoluzione industriale, senza che fossero state approntate o modernizzate le strutture indispensabili a tanta esplosione di vitalità. I contribuenti erano ancora sotto lo « choc » dell'imposta straordinaria sul patrimonio del 1947 che, rapida nell'applicazione per quanto concerneva i beni immobili, era stata lenta e ingiusta per i possessori di titoli azionari. Questi ultimi infatti erano stati valutati ai corsi astronomici del 1947 per non parlare delle numerosissime contestazioni dovute a uno schedario di titoli azionari disordinato e incompleto. Vi era perciò grande diffidenza da parte degli investitori a ogni livello e l'art. 17 della legge Tremelloni fu la goccia che fece traboccare il vaso. Pochissimi i nuovi acquisti di azioni, numerose le vendite. Per aggirare la nuova legge (in campo fiscale, e non solo in Italia, ogni nuovo provvedimento aguzza l'ingegno degli esperti che cercano il modo di eluderlo in tutto o in parte) fu escogitato il non molto complesso espediente di mutare paternità ai possessori di titoli, trasferendola da una persona fisica o giuridica italiana a un conto cifrato o una società di comodo straniera. La strada era segnata: quando nel 1962, e ancor più nel 1963-'64, l'avvento del centro-sinistra e le riforme che ne seguirono (nazionalizzazione elettrica e nominatività delle cedole) allarmarono i possessori di titoli azionari, fu una corsa al disinvestimento o al cambio di etichetta dei patrimoni. L'esodo dei capitali si fece progressivamente più imponente, mettendo in crisi la Borsa e di conseguenza il mercato del capitali per le imprese. I governi tamponarono la falla mediante il ricorso a capitali di credito (emissioni obbligazionarie e indebitamento bancario), ma era un espediente che serviva alle occorrenze più urgenti, non a stimolare gli investimenti produttivi. Fossilizzata l'attività della Borsa, i risparmiatori aumentarono la propensione per gli impieghi all'estero. Questo è stato 11 doloroso risultato d'una lotta eccessivamente politicizzata, che non teneva conto dell'importanza della componente psicologica nei risparmiatori. Si poteva risolvere la questione inasprendo i control¬ li e limitando rigidamente i movimenti di capitale, ma questo avrebbe diminuito la capacità esportatrice del Paese, proprio 11 contrario di quanto si deve fare per aumentare il reddito nazionale. L'esperienza o un imperioso « stato di necessità » ha portato negli ultimi tempi a uh deciso mutamento di rotta da parte del governo e delle autorità centrali. Sono bastati alcuni provvedimenti, fra l'altro ancora da approvare dal Parlamento — una vera e propria dichiarazione di buone intenzioni del governo nei confronti degli investimenti azionari — per vedere rifiorire la Borsa e diminuire le esportazioni di capitale, come si può desumere dal migliorato andamento della lira sui mercati valutari in questi giorni. Renato Cantoni

Persone citate: Bosso, Giolitti, La Malfa

Luoghi citati: Italia