"La Svizzera cercava delle braccia sono invece arrivati degli uomini,, di Igor Man

"La Svizzera cercava delle braccia sono invece arrivati degli uomini,, La manodopera straniera che costa poco e rende molto "La Svizzera cercava delle braccia sono invece arrivati degli uomini,, Così lo scrittore Max Frisch ha sintetizzato la grave crisi elvetica di fronte all'inforestieramento del Paese In realtà si è fatto ben poco per favorire l'inserimento degli immigrati (600 mila italiani) nella società - «Non basta — dice un dirigente sindacale — pagare, bisogna rispettare la dignità umana» (Dal nostro inviato speciale) Ginevra, ottobre. Il preciso congegno a orologeria che regola il sistema svizzero rischia di incepparsi sul problema dei lavoratori stranieri: un milione, di cui seicentomila italiani. A fare le spese del malessere elvetico sono soprattutto i nostri connazionali. « Non ci trattano — dicono — come esseri umani, ma come cose, attrezzi da lavoro »; « Se potessero, una volta terminato di lavorare ci farebbero sparire ». Le scritte: « Hinaus mit den Tschinggen » (basta coi giocatori di morra) sorto sbiadite dai muri, ma non il veleno abilmente spar so dagli xenofobi: è di ieri la « spedizione punitiva » dei « pidocchiosi » (come si auto denomina una banda di giovani per lo più svizzero-tedeschi) contro un gruppo di nostri lavoratori riuniti in un bar di San Gallo. Padre Brechet, direttore di Choisir (una rivista di vasto impegno culturale che potremmo paragonare alla romana Civiltà Cattolica; cita lo scrittore Max Frisch: « Cer cavamo delle braccia, sono arrivati degli uomini ». Durante lunghi, troppi anni scanditi da un crescente boom economico, ci si è ostinati a lasciare i lavoratori stranieri in una perenne condizione di provvisorietà, trascurando di integrarli, in base al miope concetto che in tal modo sarebbe sempre stato possibile liberarsene quando fosse sopravvenuta una recessione. Non ci sì è preoccupati dell'inserimento dell'imponente collettività straniera nel tessuto nazionale, dei problemi che una simile operazione necessariamente comporta. « Sono almeno dieci anni — mi dice il signor Albert Lugìnbuhl, dirigente del ' Fobb (Unione sindacale di sinistra) — che andiamo ammonendo i datori di lavoro: pianificate, prima di chiamare nuovi lavoratori provvedete alle necessarie infrastrutture, non basta pagare bene, occorre rispettare la dignità dell'uomo ». Più volte i sindacati e lo stesso governo fecero appello al senso di responsabilità delle banche, degli imprenditori perché disciplinassero l'impiego dei capitali, perché limitassero l'ingaggio della manodopera straniera; « ma la rinuncia agli operai che costano poco e rendono molto avrebbe costretto il padronato a un'attività ridotta e a una costosa ristrutturazione degli impianti, così si è continuato a preferire agli incerti dell'automazione, le braccia sicure ed economiche dei lavoratori importati, in maggioranza italiani del Sud ». Adesso ci si è accorti, d'un tratto, e non senza sgomento, che « il nostro organismo sociale non è preparato ad accogliere e ad assimilare una sì cospicua massa di manodopera straniera. La crisi degli alloggi è acuta, le strade non reggono il traffico, scuole e.ospedali sono sovr^ffollati, i servizi pubblici sovraccarichi di lavoro e mancanti di personale. E' una situazione malsana e anormale ». Il sociologo Alexander J. Seller, autore con Rob Gnant e lune Kovach d'un coraggioso lungometraggio sulla condizione dei lavoratori italiani in Svizzera, dice che lo svizzero medio avverte questo stato di cose, ma confusamente, non è in grado di analizzarlo, sicché « cerca un capro espiatorio e lo trova in coloro che più vistosamente lo rappresentano: i lavoratori stranieri. Né si cura che siano proprio questi a soffrirne maggiormente, su ciò sorvola ». Ma anche chi è animato da buone intenzioni e ha una chiara msione delle cose — conclude Seiler — non vede nel lavoratore straniero l'in dividuo, l'essere umano, ma solo il fastidioso « problema » che rischia di mettere in crisi la società del benessere. \ Più aspro il linguaggio del prof. Frank A. Mèyèr,studioso delle nevrosi e malattie psicosomatiche degli immigrati. « E' inammissibile che centinaia di migliaia di lavoratori stranieri possano partecipare alla vita pubblica solo settorialmente. La necessità della partecipazione da parte degli stranieri è sentita da tempo e tuttavia respinta istintivamente da parte svizzera. Ancora non si è "osato" considerare il problema con raziocinio. Un paese alla cui politica nemmeno la donna ha accesso, vivrà un amaro risveglio quando l'integrazione inibita della manodopera straniera cercherà in un futuro incerto di farsi largo con mezzi drastici ». Per il prof. Meyer, l'iniziativa di Schwarzenbach contro l'inforestieramento rivela l'esistenza acuta e irrazionale dei « meccanismi di difesa » dello svizzero medio. Non sarà sufficiente, tuttavia, che l'industria sia disposta con un forte investimento di mezzi materiali (leggi infrastrutture) a opporsi a questa iniziativa. La volontà di mantenere un indispensabile potenziale di forza-lavoro è appoggiata — secondo Meyer — « con argomenti appena più onesti del piccolo fascismo degli xenofobi semiprofessio nisti. Ambedue i gruppi cercano di approfittare alle spaile degli immigrati privi di qualsiasi diritto sul piano sociale. L'integrazione degli stranieri significa accogliere a tutti gli effetti circa un milione di nuovi membri nella nostra società, significa una grande possibilità di arricchì re questa società di sensibilità, tolleranza e nuovi orien tamenti ». Igor Man

Persone citate: Albert Lugìnbuhl, Alexander J. Seller, Brechet, Frank A. Mèyèr, Kovach, Max Frisch, Meyer, Schwarzenbach

Luoghi citati: Ginevra, Svizzera