Tanti uomini tanti pareri di Nicola Adelfi
Tanti uomini tanti pareri VOI E NOI Tanti uomini tanti pareri Diversi let- tori mi rimproverano di non aver taciuto in questa rubrica le opinioni di coloro che sono irritati per la frequenza degli scioperi, per le violenze nelle piazze, per il danneggiamento di beni pubblici e privati; oppure che ammettono bensì il diritto di scioperare, ma reclamano nello stesso tempo il diritto a lavorare. « Sono lettere di crumiri, di qualunquisti, di fascisti », mi scrive in sostanza il signor F. V., di Legnano; e se la prende con me. Dal mio punto di vista, quel mio lettore ha torto. Nel tastare il polso all'opinione pubblica, deliberatamente io mi sono tirato in disparte. Desideravo che foste « voi » a parlare: «voi» indistintamente, democratici e no, chi anela alla rivoluzione e chi alla conservazione, il professionista e l'operaio o il contadino, il settentrionale e il meridionale. Da parte mia niente censure, nessun commento. Solo così, pensavo, sarebbe venuto fuori un piccolo campionario delle idee e dei sentimenti che fermentano tra gli italiani. Se ognuno sta chiuso in sé stesso, si rifiuta di ascoltare ciò che il suo vicino ha in mente, non è un bene. Parliamoci dunque; e possibilmente senza digrignare i denti, senza insulti. Parliamoci come si addice a persone mature e civili. Per questo do oggi la precedenza al signor Oreste Corsi, di Genova. Egli ritiene che la vita in Italia è diffìcile soprattutto perché c'è molta ignoranza. L'ignoranza è madre dell'intolleranza, e ognuno vuole fare il proprio comodo, esplode se è contraddetto, non accetta limitazioni. Incrostato di pregiudizi e di egoismi, l'ignorante non riesce in genere a compenetrarsi nelle esigenze della società. Abbastanza simili sono le opinioni contenute in una laconica cartolina postale che mi manda da Catania il signor Alfio Finocchiaro, idraulico. «Noi siamo "furbi ", non intendiamo rispettare nessuna norma, studiamo le maniere per " fare fesso " il prossimo, siamo felici di metterci in vetrina; e conduciamo una vita insulsa e asociale ». Viene di rincalzo il signor G. B. Gardino, di Settimo Torinese: quando i carabinieri portavano grandi baffi intimidatori, i coltelli servivano per sbucciare le mele; oggi invece servono sempre più spesso a sbucciare la pelle dei cristiani. Perché? La risposta immediata dobbiamo cercarla almeno in parte nelle vetrine delle edicole di giornali: grondano sangue e sesso, ferocia e malizia, attraverso una caterva di « fumetti » o di riviste dove poco è lo scritto, molte sono le immagini che insinuano sensazioni morbose; e lentamente corrompono nature anche sane, e talora scatenano istinti delittuosi. Come si vede, sono lettere amare e risentite, lettere di italiani che vedono l'Italia come un paese violento e ignorante, furbastro, male governato. Il pessimismo induce un lettore ottantacinquenne di Sommariva Bosco, il signor Angelo De' Paoli, a scrivermi: « E' inutile parlare di democrazia in Italia, dove essa produce solo prevaricatori, ladri, profittatori, intrallazzatori, trasformisti, arrampicatori... ». Sono molti a pensarla cosi, anche se diversi sono i motivi che li rendono scontrosi verso la democrazia. Anche il voto libero e segreto non basta per qualificare l'Italia come un paese democratico. Questa è l'opinione della lettrice M. C. P., di Torino, e la sostiene scrivendomi che i partiti della maggioranza governativa, invece di attenersi al mandato ricevuto dagli elettori, « preferiscono essere solidali con i teppisti, gli agitatori delle piazze i quali, per quante violenze abbiano commesso, non sono stati mai e poi mai puniti, e tutta la colpa viene sempre data alla polizia ». Otto pagine molto vivaci mi scrive il signor Piero Landòni, di Feletto, metalmeccanico. Ne riassumo l'idea centrale. Il cittadino, gli piaccia o no una legge, è tenuto a osservarla in quanto essa è stata voluta dai parlamentari che rappresentano la maggioranza dei cittadini; e questa è democrazia. Perché mai allora un operaio deve pretendere la libertà di lavorare quando la maggioranza dei suoi compagni ha deciso di scioperare? E' come se un cittadino invocasse la libertà di non obbedire alle leggi. In breve, la democrazia significa volontà della maggioranza: e ciò deve valere a tutti i livelli, anche nei luoghi di lavoro. E' un concetto che ritrovo leggendo altre lettere. Non tutte sono di comunisti. Certamente non lo è il signor R. R., anch'egli di Torino. Il picchettaggio, mi scrive, è una esigenza che si giustifica con l'insufficiente maturità e solidarietà tra gli operai. « Quando voi giornalisti vi mettete in sciopero, non avete bisogno di fare picchetti davanti ai giornali: siete abbastanza maturi per astenervi compatti dal lavoro, e tutto finisce lì ». Non mi pare che sia il caso di trarre conclusioni generali: tanti sono gli uomini, e tanti i loro pareri. Qualche volta mi domando se faccio bene o male a mettere in piazza le opinioni che i lettori hanno la cortesia di esprimermi (e non importa se qualcuno si lascia andare a espressioni scortesi per me). Tutto sommato, io penso di sì. Come dicevo all'inizio, l'importante è parlarci. Formulare idee e metterle a confronto con quelle degli altri, è sempre utile: serve a capire meglio noi stessi e a capire un po' di più i nostri compagni di viaggio sul mare della vita, un mare di per sé stesso oscuro e sempre nuovo, dove ignote sono le mète e ignoti i confini. Nicola Adelfi f~^^^5|
Persone citate: Alfio Finocchiaro, Angelo De' Paoli, Gardino, Piero Landòni, R. R.
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