II bimbo espulso dalla Svizzera di Igor Man

II bimbo espulso dalla Svizzera PASSIONE XENOFOBA NELLA TERRA DEI PROFUGHI II bimbo espulso dalla Svizzera L'incidente è stato risolto - Resta il problema d'un milione di lavoratori stranieri: deciderà fra 8 mesi un referendum (Dal nostro inviato speciale) Berna, ottobre. Lo sciagurato « caso di Ginevra », l'allontanamento dalla Svizzera del figlio illegittiipo d'una lavoratrice italiana, non si è esaurito scomparendo dalla cronaca con una soluzione provvisoria; è il segno di una crisi assai più vasta e complessa, tuttora d'attualità. Formalmente, il provvedi mento della polizia ginevrina reggeva: era stata la madre del bimbo a proporre, tramite il suo legale, di portare in Italia il figlio di tre mesi. Non si tratta quindi di « espulsione », obiettano le autorità, ma di una « libera decisione della signora Carmela Morgillo, in virtù della quale essa ha potuto riprendere a lavorare garantendo così al proprio bambino un adeguato sostentamento ». Non è nemmeno vero che l'operaia ed il suo compagno, italiano, siano stati privati in un primo tempo del permesso di soggiorno perché concubini: il Codice penale elvetico non contempla simile reato, e le « ragioni morali » maldestramente invocate dalla polizia di Ginevra sottintendevano fatti diversi. Tuttavia, per citare un alto funzionario della polizia degli ' stranieri, « l'allontanamento del bambino rimane un fatto assurdamente inumano ». (Sempre la polizia di Ginevra, nel luglio scorso, aveva deciso di espellere il neonato di un'altra italiana, ma il governo federale riuscì a far revocare il provvedimento). Il problema di fondo, in cui si inseriscono tali episodi, è la massiccia presenza di lavoratori stranieri nella Confederazione. Se ne sta discutendo proprio in queste settimane: il « Movimento per la salvaguardia della Patria », rappresentato in Parlamento dal solo signor James Schwarzenbach, ha chiesto un referendum popolare su una sua proposta di legge: in nessun Cantone, eccettuato Ginevra, ;1 numero degli stranieri potrà superare il 10 per cento della popolazione autoctona; per Ginevra sarebbe tollerato il 25 per cento. Il primo passo dell'iter legislativo è stato ^compiuto con successo: avendo il signor Schwarzenbach raccolto le firme di 72 mila elettori, il referendum si terrà. Gli svizzeri saranno chiamati a pronunciarsi su questa proposta il 7 giugno 1970. t Vivaci contrasti Tutti 1 giornali che contano sono insorti- contro questa «iniziativa popolare». La Tribune de Genève l'ha definità « contraddittoria, inaccettabile sul piano umano e brutale nella sua applicazione pratica ». Anche nella Svizzera tedesca, dove la xenofobia è dì casa, il « progetto di legge contro l'inforestieramento » è stato duramente attaccato. Il TagesAnzeiger ha parlato di « velleità razziste », prospettando le disastrose conseguenze che deriverebbero all'economia elvetica da un così massiccio allontanamento di lavoratori. A Zurigo l'avv. Dieter von Schulthess, uno dei fondatori dell' associazione « Svizzera 80 », mi ha detto di ritenere che il progetto, « da condannare per motivi umani e pratici », non passerà. Anche il governo federale si è già pronunciato contro. Tuttavia sondaggi d'opinione lasciano temere che almeno il 30 "A dei suffragi andrà agli xenofobi. Questi sono riusciti a guadagnarsi, infatti, non poche simpatie fra la popolazione, attribuendo fra l'altro alla massiccia presenza dei lavoratori stranieri (un milione, di cui seicentomila italiani) il continuo aumento del costo della vita. Inoltre potrebbero essere favoriti dalle astensioni, che si prevedono numerose. Il signor Schwarzenbach, col quale ho parlato, nega che il suo sia un progetto discriminatorio e razzista. « Io sono un buon amico degli italiani, oltre tutto mi sono convertito al cattolicesimo dopo un lungo travaglio. Il mio progetto tende solo a salvaguardare dall'inquinamento le strutture sociali e le tradizioni svizzere. Comunque sia, ora la parola è al popolo sovrano ». Ma egli sfrutta a fondo il timore, abbastanza diffuso, che l'imponente presenza di lavoratori italiani implichi alla lunga il diffondersi di « ideologie estremiste fino a contagiarne gli operai e gli studenti svizzeri ». Va ricordato che questo è un Paese dove non si sciopera da mezzo secolo, e dove c'è una sorta di «rapporto mistico» fra la stabilità politica mai minacciata in 120 anni e il benessere. Malessere economico Rifacendoci allo studio di Max Weber sul razionalismo politico ed economico del Calvinismo, si potrebbe individuare nel danaro il feticcio della celebrata « ascesi laica » della società elvetica. Un antico proverbio zurighese dice che « Dio regna nei cieli e il denaro sulla Terra; e per il denaro balla persino Lucifero ». Lo sciagurato caso di Ginevra e l'iniziativa popolare di Schwarzenbach non si spiegherebbero senza la crisi evidente in Svizzera. Si tratta di un fenomeno singolare: un « malessere economico » che non scaturisce da una cattiva congiuntura ma, paradossalmente, proprio da una supercongiuntura favorevole. Il franco ha una copertura aurea del 130 per cento; il reddito medio annuo prò capite si avvia a superare i 1800 dollari, ci sono appena 62 disoccupati contro 3553 posti vacanti, i libretti di risparmio ammontano a 8 milioni e 400 mila, con neppure sei milioni di abitanti. Smentendo tutte le previsioni degli esperti, la fine della seconda guerra mondiale non portò il temuto disastro economico; la Svizzera invece si trovò davanti ad una fortissima domanda e' soprattutto estera. I Paesi travolti dalla guerra chiedevano ogni sorta di beni che l'industria elvetica, rimasta intatta, era in grado di fornire. Normalizzandosi sempre più la situazione nell'Europa occidentale, aumentava di pari passo la domanda estera. Ma al grandioso incremento industriale (realizzato col concorso dei lavoratori stranieri) non ha corrisposto un adeguato sviluppo di attrezzature e servizi sociali: come ha detto a Lucerna il ministro dell' Economia Schassner, la Svizzera si trova nella situazione sintetizzata da Galbraith con la formula « ricchezza privata, miseria pubblica ». Inoltre la espansione del paese sta per superare (c'è chi vuole che le abbia già superate) le sue stesse capacità di resistenza. Si produce troppo, si consuma troppo, ci sono troppi capitali esteri; e c'è un milione di lavoratori stranieri non integrati. Da qui il « malessere elvetico ». Qualcuno lo ha definito la nevrosi della prosperità, altri l'angoscia del benessere: in definitiva, si tratta di una presa di coscienza esistenziale. Essa comporta tutta una serie di traumi, cui fatalmente seguono reazioni anche irrazionali. La « crisi del benessere » è legata al problema degli stra¬ nieri. Ne viene che, scambiando rozzamente causa ed effetto, il lavoratore straniero venuto in Svizzera perché la Svizzera aveva bisogno di lui, venga ora da alcune partì indicato come il responsabile del fatto che la struttura sociale del paese non abbia saputo tenere il passo con l'eccezionale sviluppo economico. Si spiegano così, anche se non si giustificano, certe manifestazioni di intolleranza e di discriminazione, che contraddicono la civile tradizione del paese. La Svizzera era assurta nei secoli a simbolo di terra promessa degli uomini liberi: da Pellegrino Rossi a Lenin, da Mazzini a Ignazio Silone, da Cattaneo ai quattordicimila rifugiati cecoslovacchi. Igor Man *