Papillon e Edith Piaf di Sandro Volta

Papillon e Edith Piaf La vigorosa tradizione "canaille,, Papillon e Edith Piaf Le memorie d'un ex forzalo e una biografia della grande cantante sono i libri di maggior successo in Francia - Un'esperienza che non ha riscontro in Italia Parigi, ottobre. In testa ai best-seller; frantesi, fino dall'uscita in libreria e con la prospettiva di rimanervi ancora per molte settimane, si trovano due libri scritti da illetterati: Papillon, in cui l'ex forzato Henri Charrière racconta le vicende della sua evasione dalla Caienna, e Piaf, in cui Simone Berteaut, la sorellastra di Edith Piaf, racconta la vita della grande canzonettista. Tutti e due sono editi da Laffont. Di Papillon in tre mesi si sono vendute 400 mila copie e le traduzioni sono in corso in ogni Paese dell'Occidente. La critica è unanime nel riconoscere che l'immenso successo non dipende tanto dalla trama avventurosa quanto dalla forza dello stile, che presenta al lettore la storia di una esperienza eccezionale e drammatica con l'evidenza emotiva della cosa vissuta. Il grande antropologo Lévi-Strauss, specialista negli indiani del Centro America, vi ha anche rilevato l'esattezza delle annotazioni di carattere etnografico, raccolte dall'ergastolano fuggiasco attraverso le proprie osservazioni personali, nell'assenza di ogni corredo culturale. Piaf è stata, per me come per molti altri, una lettura avvincente, che mi ha rivelato la straordinaria vita di Edith, iniziata nell'abiezione e conclusa nella gloria d'una notte d'estate quando, dall'alto della Torre Eiffel, la sua voce di cristallo venne diffusa nel cielo di Parigi ed ascoltata dall'intera popolazione. Quella vita è per se stessa appassionante, ma solo un grande scrittore avrebbe potuto ricostruirne l'immediata presenza, con un linguaggio sempre appropriato e un taglio magistrale che non lascia mai una pagina vuota. Da tutti gli amici italiani, ai quali ho parlato di queste mie impressioni di lettore, mi sono sentito dire: « Chi sa chi gliel'ha scritta t. A nessun francese verrebbe di fare un commento di questo genere. Da noi, infatti, non si può concepire che un bel libro, un capolavoro, possa venir prodotto fuori dall'attività letteraria professionale. La nostra lingua è un privilegio di classe: ebbe, magari, origini popolati (De vulgarì-eloquentia), ma a mano a mano che sostituì l'uso del latino diventò sempre più uno strumento riservato a una ristretta categoria di persone colte, fuori delle quali nessuno è veramente in grado di servirsene. Il francese, invece, è una lin- gua di tutti: l'adoperano- con la stessa precisione nei bassifondi come nelle accademie. Con la sostituzione, puramen¬ te tecnica, di pochi vocaboli, è la lingua di Diderot, di Descartes e della « canaglia t. A questa disponibilità della lingua, per cui chiunque ne abbia la stoffa può diventare un autentico scrittore (non ha, infatti, l'ostacolo del mezzo di espressione), si deve la tradizione di un particolare aspetto della letteratura francese, che va da Jacques Villon a Francis Carco, per cui l'esistenza sordida della malavita diventa materia di arte, generalmente per opera degli stessi protagonisti. Nella letteratura italiana una certa analogia si potrebbe, forse, trovare in Benvenuto Celimi, ma è un caso unico e non bisogna dimenticare che la Vita fu scritta dopo la lunga permanenza a Parigi: non si può affatto escludere l'influenza della tradizione francese. In tempi recenti, va ricordata La canzone dei carcerati, che Ottone Rosai pubblicò nel 1914 in Laccrba di Firenze; anche il successivo Diario d'un teppista dello stesso Rosai è l'ope¬ ra italiana più vicina alla letteratura canaille francese. Però, nonostante la sua potenza popolaresca, la scrittura di Rosai ha un tono becero, senza la finezza che i francesi sanno tirar fuori dalla rappresentazione degli ambienti più squallidi. Gli manca il sostegno d'una lingua che, a parte minime differenze lessicali, sia comune a tutti gli italiani: per esprimersi deve ricorrere alla parlata sanfredianina. In quanto, poi, ai Ragazzi di vita, non si può certo dire che Pasolini sia uno scrittore popolare, perché la sua opera, d'altronde ammirevole, è il risultato di ricerche filologiche d'ispirazione intellettualistica. In Francia, invece, non è affatto incredibile che Henri Charrtère e Simone Berteaut abbiano potuto scrivere due capolavori: non mancano i precedenti vicini e remoti. Pochi anni fa, dal carcere, dalla prostituzione, dal vizio, un'altra illetterata, Albertine Sarazin, si rivelò una delle maggiori scrittrici contemporanee. Sandro Volta L'avventuroso Papillon

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