Sconfìtto, ma corteggiato di Gianfranco Piazzesi

Sconfìtto, ma corteggiato IL PARTITO LIBERALE AGO DELLA BILANCIA IN GERMANIA Sconfìtto, ma corteggiato Spinto verso destra dall'ex segretario Mende, fino al 1966 aveva governato con i de, facendosi pagare un prezzo sempre più alto - Escluso dal potere dopo la «grande coalizione», il nuovo segretario Scheel aveva preparato la vendetta avvicinandosi ai socialisti - I suoi trenta deputati possono decidere la formazione del futuro governo, ma sono divisi: chi approva l'accordo segreto Brandt-Scheel, chi l'intesa segretissima Kiesinger-Mende (Dal nostro inviato speciale) Bonn, settembre. Dalle complesse indicazioni elettorali tedesche un solo fatto emerge con certezza: il partito liberale è il vero sconfitto. E' infatti passato dal 9,5 al 5,8 per cento dei voti. Dalle laboriose e sfumate trattative che i leaders dei partiti stanno svolgendo nei corridoi del Bundestag un altro fatto appare evidente: proprio i liberali appaiono gli arbitri del futuro politico della Germania. Walter Scheel ha rischiato di seguire la sorte di Von Thadden e di non far raggiungere al partito di cui è segretario quel 5 per cento di voti necessari, secondo la legge elettorale tedesca, per ottenere l'ammissione in Parlamento. Eppure Willy Brandt, il vincitore morale delle elezioni, lo corteggia apertamente, ed è disposto a offrire a lui e ai suoi amici ben sei ministeri, fra i quali quello degli Esteri. Kiesinger e gli altri democristiani, dimenticando gli sprezzanti giudizi pronunciati in passato, lo corteggiano di nascosto. Grandi opportunisti Furono proprio i democristiani a definire i liberali come Z'Umfallpartei, il partito dell'opportunismo, sempre pronto ad allearsi col più forte. Si era nel 1966 e i liberali avevano per segretario Erich Mende, un esperto di economia e di finanze, amico di banchieri e di industriali, più liberista e conservatore dello stesso Erhard, in quegli anni Cancelliere. Mende aveva escogitato una tattica politica molto semplice, ma altrettanto redditizia. Durante ogni campagna elettorale si adoprava perché i democristiani non raggiungessero la maggioranza assoluta, ma era pronto a offrire la sua collaborazione all'indomani del voto. I deputati libérali erano sempre pochi, ma quasi sempre indispensabili per formare un governo. Il loro prezzo, naturalmente, era sempre elevato. Con questa tattica Erich Mende credeva di essersi assicurato una carriera politica al riparo da ogni sorpresa. E quando il partito democristiano, nel 1966, decise di liquidare il cancelliere Erhard, che non aveva impedito una seria recessione economica, Mende fu l'ultimo uomo politico a scomporsi. A Itti non importava sapere il nome del nuovo Cancelliere; era convinto che il successore di Erhard, chiunque fosse, sarebbe stato costretto a chiedere i preziosi servigi dei liberali. E quello, magari, era il momento per reclamare un ministero in più. Sicuro dì es¬ sere inattaccabile, Mende aveva guardato con occhio distratto a quanta accadeva all'interno del suo stesso partito, dove il giovane Walter Scheel, già ufficiale d'aviazione, mostrava una notevole avversione per Strauss e una certa simpatia per Willy Brandt. Erich Mende è stato uno dei tanti uomini politici che, in Germania e altrove, ha pagato di persona la pretesa di competere con i democristiani sul piano della furberia. Mentre il segretario liberale aspettava fiducioso l'immancabile convocazione, Strauss, Barzel e Gerstenmaier, leaders democristiani dell'epoca, avevano deciso di aprire a sinistra e di offrire ai socialdemocratici la spartizione della torta. Mende lo seppe a cose fat¬ te: gli alleati del giorno prima lo avevano messo alla porta, senza offrirgli neppure il ministero delle Poste. Uno dei più discutibili, ma anche dei più importanti uomini politici tedeschi sì trovò di colpo disoccupato. Strauss gli aveva interrotto la sua carriera di ministro, e Scheel fu pronto ad approfittare di questo infortunio per soffiargli la poltrona di segretario del partito. Il pendolo deU'Umfallpartei si spostava a sinistra. Per consolarsi, Mende' decise dì abbandonare -la politica attiva e di accettare l'offerta di, un finanziere americano. Divenuto presidente di una società che si occupa di fondi d'investimento. Mende fu presto miliardario e paté attendere con tranquillità il giorno della vendetta. La strada era aperta per Scheel, il liberale di sinistra, che radunò intorno a sé i drappelli sconfitti e assunse nel Bundestag il ruolo di oppositore. Mende aveva puntato tutte le sue chances sull' inevitabile logoramento dì un partito di governo che prima o poi, persino in Germania, finisce per perdere la maggioranza assoluta. Scheel scommise su una carta ancora più sicura: sull'insofferenza, alla lunga inevitabile, tra i democristiani e i socialdemocratici per l'esercizio del potere a mezzadria. Da buon liberale tedesco, Scheel si rivelò un uomo saggio e accorto. La sua opposizione fu molto « costruttiva ». Non era proprio il caso di farsi altri nemici. L'apertura ad Est Per tre anni il partito liberale manovrò con abilità. Il più piccolo raggruppamento politico tedesco rappresentato al Parlamento era nello stesso tempo quello dove venivano ospitati gli uomini dalle più diverse opinioni. I vecchi amici di Mende erano dei superconservatori, più a destra dello stesso Strauss, mentre Scheel e i suoi seguaci, che volevano catturarsi le simpatie dei giovani, risultavano talvolta più a sinistra di Willy Brandt. Il partito liberale aveva finito per trovare un curioso equilibrio pendolare. Per accontentare i conservatori, e gli industriali che tiravano le fila, Scheel si era dichiarato decisamente contrario alla cogestione, punto fermo del programma socialdemocratico, che prevede un certo potere decisionale dei sindacati operai all'interno delle aziende. Per accontentare i progressisti, Scheel aveva risolutamente appoggiato la politica estera di Willy Brandt. Per lui la Ostpolitik, l'apertura a Oriente, doveva venir realizzata con decisione ancora maggiore, e si doveva giungere al più presto almeno al riconoscimento de facto del regime di Ulbricht. Il partito liberale, pur così divìso, trovò tutta la sua unità nel marzo scorso, al momento delle elezioni presidenziali. Il desiderio di vendicarsi dei democristiani prevalse su ogni altra considerazione. Grazie ai voti dei liberali, venne eletto il socialdemocratico Heinemann e fu sconfitto il democristiano Schroeder, che sembrava il favorito. E tra liberali e socialdemocratici fu elaborata una nuova strategìa, che avrebbe dovuto portare a Brandt la carica di Cancelliere ed a Scheel il ministero degli Esteri. Negli ultimi mesi Scheel ha abbandonato ogni prudenza e si è posto risolutamente a sinistra. Sapeva di perdere voti, ma non mostrava di preoccuparsene. Evidentemente Brandt aveva promesso a lui ed ai deputati superstiti un compenso direttamente proporzionale all'entità del loro sacrificio. Tutto inizialmente si è svolto secondo ì piani. La sera della domenica, appena conosciuti i risultati elettorali, Brandt ha annunciato di essere lui il vero vincitore delle elezioni; al mattino successivo, prima ancora che si riunisse la direzione del partito, il ministro socialdemocratico annunciava la sua intenzione di reclamare, con l'appoggio di Scheel, il ruolo di Cancelliere. Il socialdemocratico Heinemann, presidente della Repubblica, naturalmente era d'accordo. E la maggioranza, almeno sulla carta, esiste: al Bundestag tra il blocco dei deputati liberali e socialdemocratici e il blocco democristiano corrono dodici voti di scarto. I democristiani, invece, hanno usato una tattica più morbida. Kiesinger, sorridente e impassibile, ha lasciato che Brandt scoprisse tutte le sue carte e si è limitato pure lui, come rappresentante del partito che ha la maggioranza relativa, ad offrire ai liberali di cominciare trattative per la costituzione del nuovo governo. ' Guerra tra furbi Scheel, il grande sconfitto, è venuto quindi a trovarsi come àrbitro del futuro politico della Germania. E a dover prendere subito una decisione: se trattare prima con ì socialdemocratici oppure con i democristiani. Dati gli accordi preventivi con Brandt, non potevano esserci dubbi: infatti nel pomeriggio di lunedi la « minicoalizione » (così è chiamata 'l'alleanza fra socialisti e liberali) sembrava cosa fatta. Ma è spuntato, chissà da dove, il vecchio Erich Mende, da tre anni fuori dalla politica attiva, che però anche in queste elezioni ha mantenuto il suo seggio in Parlamento. Mende aveva dinanzi due scelte: o vendicarsi dei democristiani, che tre anni fa lo avevano brutalmente escluso dal governo, o vendicarsi di Scheel, che con pari decisione gli aveva soffiato il posto di segretario del partito. Mende ha preferito togliersi la seconda soddisfazione e ha dichiarato che i liberali debbono in primo luogo trattare col partito di maggioranza relativa. Scheel dispone di ventiquattro deputati abbastanza sicuri; però Mende ne ha dalla sua cinque, esattamente quanti bastano per negare a un eventuale governo Brandt la maggioranza assoluta. I trenta « onorevoli » più corteggiati della Germania si sono riuniti stasera e dopo una lunga discussione hanno raggiunto un ingegnoso compromesso: prima ascolteranno Brandt, poi ri¬ ceveranno Kiesinger e infine decideranno sul da farsi. Su un punto soltanto conservatori e progressisti si sono trovati d'accordo: sulla ferma volontà di tornare al governo. E' probabile che la « minicoalizione » finisca per nascere; è certo comunque che nasce male. All'accordo segreto fra Brandt e Scheelcorrispondeva un accordo segretissimo fra Kiesinger e Erich Mende. Il leader socialdemocratico e il brillante segretario del partito liberale rischiano di imparare a proprie spese quanto sia diffìcile competere con un democristiano sul piano della furberia. Gianfranco Piazzesi Pi dii Bonn. Il voto del « leader » liberale Scheel, con la moglie Mildred (Teleioto

Luoghi citati: Bonn, Germania, Itti