L'esempio degli altri

L'esempio degli altri I PROBLEMI DELLE GRANDI CITTÀ ITALIANE L'esempio degli altri Le vaste aree urbane sono in crisi, da Mosca a New York - Non tutte le soluzioni tentate all'estero sono adatte all'Italia: sarebbe assurdo importare le « new towns », mentre abbiamo tante piccole città che attendono una nuova vita - Il nostro male più grave è però il ritardo: non si sono ancora realizzate le sopravvie previste per Milano da Leonardo da Vinci (Dal nostro Inviato speciale) Milano, settembre. La lega degli studenti americani contro la guerra e la violenza ha dedicato il numero di agosto della sua rivista. Win, alla lotta contro l'inquinamento dell'aria e dell'acqua, contro l'alterazione dell'ambiente naturale che ci circonda. Sono i primi segni d'uno spostamento delle tensioni giovanili verso le città, sempre meno adatte alla convivenza civile di masse umane enormi e crescenti. La « megalopoli » confusa, incubatrice di individui asociali, spauriti o violenti, non si profila soltanto negli Stati Uniti (80 milioni di abitanti previsti sulla fascia atlantica, da Boston a New York e Washington). Uh dubbio confine La grande pressione demografica è industriale della Ruhr-Renania sale verso i confini olandesi, minacciando la saldatura col « Randstad Holland », il sistema interurbano ben equilibrato che comprende Rotterdam, l'Aia, Amsterdam. Mosca, superati gli otto milioni di abitanti, non riesce ad assorbire le ondate di nuova popolazione e gli addensamenti industriali, mentre i programmi sovietici di « nuove città » decentrate vanno a rilento. Tutti questi fenomeni hanno aspetti tecnici analoghi: anzitutto, congestione e penuria di alloggi. Gli abitanti delle grandi e medie città europee erano 73 milioni nel 1960: saranno 99 milioni alle soglie di quel 1980 che segna i confini di 1, Hi pianificatori europei (per Stoccolma e per le città americane si parla del 2000, misura più idonea a progetti anticipatori con ampio margine). Inquinamento dell'aria e dell'acqua: « Non passerà molto tempo e vedremo la morte di tutti gli alberi di York », annuncia Costantinos Apostolos Doxiadis, l'urbanista greco-americano divenuto profeta di una nuova scien- za, l'« echistica », rivolta agli insediamenti umani. Scadimento dei vecchi centri e dilatazione'confusa dei sobborghi: Detroit è il modello di quel che potrebbe accadere a Milano (sul piano strettamente urbanistico) se le attuali tendenze non venissero modificate. Ira il '50 e il '60 gli strati medi lasciarono in massa la vecchia Detroit, appestata e inabitabile, spargendosi nei « sobborghi » di villette con giardino. Il vecchio centro si gonfiò di negri e diseredati, troppo poveri per dare vita nuova ai quartieri, bisognosi di assistenza e di ser¬ vizi sociali. Il seguito è no- to, ed esce dai confini del nostro discorso. Asfissia del traffico: a Londra mancano 11 mila miliardi (in lire) per la sola viabilità e per i trasporti collettivi, in vista delle nuove ondate di abitanti sull'area della « greater London »: 15 milióni nel 1980. A Parigi, dove il 50 per cento delle abitazióni è sprovvisto in tutto o in parte dei servizi igienici fondamentali, si dovrebbero costruire 250 chilometri di nuove ferrovie sotterranee per alleviare la congestione. New York, «città ingovernabile » da quindici anni, cerca 25 mila miliardi per riscattare la sua condizione caotica. Cifre da capogiro. Ma riferendosi agli immensi impegni del programma per la rinascita , e l'umanizzazione delle città Robert Kennedy disse: « E' il programma minimo perché la nostra società possa definirsi civiltà ». Sarebbe sterile un confronto consolatorio, ristretto all'osservazione che « le città degli altri non hanno mali minori delle nostre ». Vediamo, piuttosto, quali esperienze possono esserci utili per evitare la ripetizione di errori non necessari e per guadagnare tempo. L'esperienza britannica delle crisi urbane risale al secolo scorso. Dal '900 agli anni '50 Londra arrivò alle punte massime della congestione e dell'inquinamento: lo smog uccideva per strada. Ma nello stesso arco di tempo la Gran Bretagna produsse gli studi urbanistici più efficaci per armonia di apporti empirici e scientifici, e i piani più coraggiosi, anticipatori, come il famoso « piano Abercrombie » che prevedeva le fasce verdi attorno alla capitale. Alcune leggi britanniche del dopoguerra sono modelli ricchi di risultati: la legge per l'«aria pulita » ormai vecchia di 15 anni, quella contro l'inquinamento dei fiumi, quella per l'uso del territorio rurale e per la conservazione dei suoi caratteri. Risultati visibili: fiumi limpidi o meno contaminati, campagne verdi, con immense prospettive da arcadia nei dintorni della capitale. L'aria di Londra è oggi respirabile; rifioriscono piante che lo smog aveva condannato al letargo. Il modello olandese C'è un comune orientamento nei Paesi dove la pianificazione urbana ha avuto successo (almeno nell'evitare congestioni insopportabili); formare gruppi di città vicine, per ordinarne lo sviluppo in modo armonioso e con integrazione di sforzi. Il « Randstad Holland » è un tessuto di residenze, di attività agricole e industriali, di Università e di uffici governativi: l'abitante di Amsterdam ha, gra¬ zie ai trasporti efficienti, un rapporto economico e culturale quasi continuo con Rotterdam, l'Aia, i centri minori contenuti nel semicerchio. Non c'è sostanziale differenza fra campagna e città: forse il « Rand-y stad » olandese è il modello più interessante per i pianificatori italiani che devono realizzare gli schemi dei futuri «sistemi di città». I francesi ne hanno tenuto conto nella legge del 1966 per le « comunità urbane », alcune delle quali abbracciano fino a 80 comuni. «Dovremmo valerci di questi precedenti, dopo le tristi prove dei nostri piani intercomunali. Basti pensare a quello milanese », annota il prof. Paolo Biscaretti di Ruffia, direttore del Dipartimento di amministrazione pubblica comparata all'Isap. In Germania, in Francia, in Olanda, in Gran Bretagna molti pubblici servizi sono organizzati da tempo su scala regionale (trasporti, sanità, acqua) e non comuruile. con evidenti vantaggi. I centri storici Fra le esperienze straniere più ricche e discusse è quella delle new towns, ideate e costruite col fine di attirare almeno una parte degli abitanti fatalmente diretti verso le metropoli congestionate. Non « cittàgiardino », pure residenze per chi lavora nella grande città, ma organismi completi e autonomi. Nel 1946 cominciarono gli inglesi con Stevenage, a sollievo di Londra. Oggi le new towns dell'Inghilterra sono venti e accolgono complessivamente un milione di abitanti, con 110 mila posti di lavoro nelle industrie locali. Altre cinque new towns sono sorte in Scozia e due nel Galles. Superate le difficoltà iniziali per gli investimenti (acquisto o esproprio dei terreni, opere di interesse pubblico per urbanizzarli) le development corporation^ riescono a incamminarsi sulla strada dell'autofinanziamento. All'origine di questo successo, in Italia forse problematico (si pensi alle aree per l'edilizia popolare, bloccate e inutili) stanno alcun: fattori: elasticità degli organismi, disponibilità delie imprese private per costruire case di abitazione a prezzi vincolati, concorso di enti che lavorano senza scopo di lucro. Attorno a Stoccolma sono state costruite new towns come Farsta, che offrono abitazioni e servizi pubblici a costi molto contenuti: la amministrazione pubblica aveva fatto incetta delle aree fabbricabili, da molli anni, sostituendosi in pratica ai grandi speculatori che hanno dominato lo sviluppo edilizio nei dintorni di Roma. L'idea delle new towns 1 non è ripetibile in un paese come il nostro, ricco di centri storici minori da restaurare e rivalutare, ben più umani dei « centri civici » artificiosamente imposti alle nuove città nascenti in Siberia o in California. Ci è utile, però, conoscere lo sforzo di paesi diversi per ideologie, sistemi politici, forza economica, nell'affrontare il problema delle città su scala'mai fino a ieri immaginata. Gli Stati Uniti prevedono ben 110 new towns, dopo i primi tentativi, piuttosto discussi, di Reston, Columbia, Irvine. Rischiamo di trovarci in co¬ da al movimento dei paesi avanzati per città rinnovate o nuove, mortificando le nostre tradizioni culturali. Le new towns, ricorda Mumford, furono già un'idea di Leonardo da Vinci, come le strade a diversi livelli per eliminare gli incroci. Ne aveva progettato venti attor-' no a Milano, « allo scopo di disgregare tanta massa di popolo che a somiglianza di capre l'uno addosso all'altro stanno ». Mario Fazio (I precedenti articoli dell'inchiesta sono apparsi il 18, 21, 25 e 27 settembre). Roma. Sole e rifiuti dinanzi alle case occupate dagli ex baraccati in via Pigafetta (Foto Frassineti)