Una vedova non può lavorare per allevare i suoi tre bambini di Giorgio Lunt

Una vedova non può lavorare per allevare i suoi tre bambini Un fraterno aiuto di "Specchio dei tempi,, a famiglie in miseria Una vedova non può lavorare per allevare i suoi tre bambini Il marito, un operaio di 34 anni, è morto nei giorni scorsi ad Aosta - Due altri casi penosi segnalati da lettori: un ex alpino vive in indigenza a Vinadio ; a Robilanté un ex maresciallo attende invano la pensione per infermità Nei giorni scorsi è morto all'ospedale di Aosta, per malattia di fegato, un operaio di trentaquattro anni, Antonio Marin. Era immigrato dal Veneto, aveva sposato una donna di Sarre: Leonilde Jacquemod, trentottenne. Dal matrimonio sono nati tre bambini: Roberto di 5 anni, Paola di 4 ed Elda, di due mesi e mezzo. Con il suo salario di ferraiolo il Marin riusciva bene o male a sfamare la famiglia fino a due anni addietro, quando la salute cominciò a declina¬ re costringendolo ad interrompere il lavoro. La moglie — una creatura esile, debilitata dagli stenti — per tirare avanti andava a lavorare in campagna. L'infermità del marito ingoiò a poco a poco il modesto gruzzolo ereditato da una zia. Quando il Marin si spense, in casa non c'erano neppure i soldi per il funerale. Provvidero alle esequie i compaesani. Ma se chi muore può andare al cimitero nel feretro più modesto e senza corone, chi resta ha bisogno di nutrirsi. Soprattutto ì bimbi, che non dovrebbero mai sapere cos'è la miseria. Leonilde Jacquemod è una valligiana coraggiosa, abituata alle rinunce e alla fatica. Potrebbe cavarsela da sola con un lavoro in fabbrica o presso famiglie, ma a chi affidare le tre creature, specialmente la piccina di pochi mesi? Un lettore di Aosta ha segnalato a Specchio dei tempi la penosa situazione della vedova e dei tre orfani. Siamo andati a trovarli nella casupola dove abitano: poche masserizie, un' atmosfera di desolazione. E' triste dover contare esclusivamente sulla comprensione dei vicini, non poter saldare i debiti presso le botteghe. Leonilde Jacquemod sapeva che la nostra rubrica cerca di alleviare i disagi delle famiglie piombate nella sventura, ma non avrebbe mai osato rivolgersi ad essa direttamente. La sua commozione e la sua gratitudine sono state quindi più profonde nel vedersi consegnare un primo aiuto di 200 mila lire. Sono giunte nel momento cruciale, quando l'avvenire le sembrava più buio e la fiducia cominciava a sfaldarsi. Questa è la storia di due uomini che dopo aver servito la patria in pace e in guerra sono costretti a vivere in condizioni avvilenti. Uno ha per dimora un tugurio che perfino una bestia rifiuterebbe, l'altro è in un letto di sanatorio, una clausura dalla quale forse non si sottrarrà più. I due casi sono stati segnalati a Specchio dei tempi, che ha cercato d'alleviarli con un aiuto di 100 mila lire ciascuno. Il problema di fondo non possiamo risolverlo noi: ci auguriamo lo faccia la burocrazia. Siamo a Vinadio, tra le casupole che s'aggrappano alla montagna per non crollare. Cerchiamo Pietro Ugo: pochi lo conoscono con questo nome, tutti sanno invece chi è « Giubìn ». Un pover'uomo di 56 anni, ma ne dimostra dieci di più. A ventun anni è partito per il servizio militare. Negli alpini, naturalmente. Novantasei mesi in grigiover¬ de. Era fidanzato, la ragazza si è stancata di aspettarlo ed ha sposato un altro. Quando l'Italia entra in guerra a fianco della Germania, l'Ugo viene mandato in Albania con la « Cuneense ». Dall'Albania alla Grecia, alla Croazia. Una scheggia di proiettile nella schiena: la ferita non è tanto grave da meritargli il congedo. Dalla « Cuneense » lo trasferiscono alla « Julia » per colmare i vuoti spaventosi durante la campagna di Russia. Un principio di congelamento al piede destro. Pietro Ugo è un montanaro ingenuo, non dà peso al'a malattia e continua a sgambare nel fango e nella neve. Torna a casa, lavora la poca terra dei genitori. Quando muoiono, si sente sperduto. Non ha pensione, anche se la gamba diventa gonfia a vista d'occhio ed ora è grossa il doppio dell'altra. Il presidente degli alpini di Vinadio prepara la domanda di invalidità per cause di servizio, va a Roma a perorare la causa: la pratica si trascina da un ufficio all'altro, manca sempre qualche « certificato » medico. Le 100 mila lire di Specchio dei tempi le abbiamo consegnate al sindaco, rag. Paracone. Prowederà ad acquistargli qualche indumento invernale e ad aprirgli un conto presso i negozi di generi alimentari. Da Vinadio passiamo a Robilanté, nell'« Istituto climatico » per tubercolotici. In una stanzetta giace Giulio Caneparo, di 54 armi. Trentadue di servizio nell'esercito, nove di guerra, diciassette ricoveri in ospedali militari. Era maresciallo maggiore, per qualche tempo ha usufruito della pensione « privilegiata » di sesta categoria. Poi gliel'hanno tolta, concedendogli soltanto quella di anzianità. t Il maresciallo Caneparo è allo stremo delle forze, la sua esile voce è punteggiata di singhiozzi. Ha accettato con gratitudine il nostro piccolo gesto di solidarietà, ma l'ultima speranza consiste nel riconoscimento dell'infermità « per cause di servizio ». Giorgio Lunt La vedova Leonilde Jacquemod nella casa di Sarre in Val d'Aosta con i bimbi

Persone citate: Antonio Marin, Caneparo, Giulio Caneparo, Jacquemod, Paracone, Pietro Ugo