Boom del petrolio e ricordi tartari a Kazan, la porta russa dell'Asia

Boom del petrolio e ricordi tartari a Kazan, la porta russa dell'Asia UN VIAGGIO NEL PASSATO DELL'UNIONE SOVIETICA Boom del petrolio e ricordi tartari a Kazan, la porta russa dell'Asia (Dal nostro inviato speciale) Kazan, settembre. Se Jaroslavl rappresenta la Russia delle icone, la cultura aristocratica dell'Alta Volga, Kazan invece è un crogiuolo di razze, nazionalità, classi ed epoche diverse. Nel mio ricordo, Jaroslavl è come una miniatura, con un ordine europeo; Kazan mi sembra che nasconda una forza primordiale, estranea, e sia la città della rivoluzione. Persino il paesaggio ha toni eroici. Ora è desertico, ora è coperto da smisurate distese di taigà. Paludi selvagge s'alternano a campi amorosamente coltivati. Il sole batte a picco sulla Volga, qui larga sei. sette chilometri. La città è una selva di palazzi in rovina e altri in costruzione; su casupole di legno esplodono depositi, gru e ciminiere giganteschi. La prima impressione è di entrare in Asia. Pittoresca è la confusione nelle strade. Le donne tartare, dai bellissimi occhi neri, portano ancora sulle spalle scialli colorati e alle trecce monete d'argento tintinnanti; gli uomini, secchi e vigorosi, coprono il capo con la tubeteika, lo zucchetto ricamato. I negozi paiono bazar e la gente vi si attarda a contrattare. Vecchi ricurvi attingono acqua ai pozzi e alle fontane; scampanellano i tram per farsi largo tra la folla. Sotto i minareti Sono nell'aria aromi forti, indistinguibili. Tra i palazzi barocchi, d'improvviso moschee e minareti: il venerdì, in ginocchio sulle stuoie, i fedeli ascoltanto il mullah leg gere il Corano. L'illusione dell'Oriente è favorita dalla storia. Kazan. da cinquant'anni capoluogo della Repubblica autonoma dei tartari, è stata dapprima terra di nomadi turcheschi, poi di popoli bulgari convertiti all'islamismo, e, dopo la conquista mongola, capitale dell'Orda d'oro del Gran Khan Batù. Ivan il Terribile l'annesse alla Moscovia; la rase al suolo e sul più alto colle costruì il Cremlino con le pietre bianche della Volga; a Mosca celebrò la vittoria sui « flagelli dì Dio » innalzando San Basilio. Oggi la lingua tartara è tradotta in un cirillico che mescola voci mongole e russe; ma i tartari hanno la loro scuola e i loro corsi all'università, la loro accademia delle arti. Non sono più considerati « esseri sgradevoli come i luterani, i nolaccht, i calmucchi, i cani, i gatti e le scimmie »: l'atavico antagonismo si è placato. Il vicesindaco Nassirov, un tartaro scuro e svelto, mi dice che Kazan (850 mila abitanti, 50 miliardi di lire di bilancio annuo) è una potenza industriale. « C'è più petrolio da noi che acqua nella Volga, un terzo di-quello dell'intera Russia, e al più basso costò di produzione al mondo Per l'80 per cento l'esportiamo. L'oleodotto Druzhba (Amicizia) ci collega con Berlino ». La città produce la metà delle pellicole fotografiche dell'Urea, oltre un terzo degli apparecchi per l'automazione, e le sue pellicce da decenni ottengono ambiti premi. Con la nuova diga la Volga si è alzata, colmando la distanza che la separava da Kazan: è nato così un nuovo porto di una decina di chilometri, col massimo traffico di merci del fiume. Ma non è l'Asia, né il miracolo economico a dare a Kazan la sua vera dimensione; sono i fermenti sociali in essa maturati a cavallo del secolo con una convulsa immigrazione che la Volga Centrale attirava con le sue ric¬ chezze, i suoi principi e mercanti, le sue prime industrie, le sue fiere annuali. E così facendo preparava guerre e ribellioni, « perché indomabile è nell'uomo lo spirito di libertà e di giustizia ». Dove studiò Lenin Vado all'Ateneo, tra i più antichi del paese. Il primo studente fu Sergej Aksakov, autore di Cronaca di famiglia; altri lo seguirono, più celebri: Leone Tolstoj, il teorico della geometria non, euclidea Lobacevskij, e un impetuoso giovanotto dalla parola travolgente, espulso dopo due anni. Si chiamava Vladimir Ilijc Ulianov, noi lo conosciamo come Lenin. All'Ateneo cercò anche di entrare, appena sedicenne, Aleksej Maksimovic Peskov, che per i dolori e le miserie aveva adottato il nome « Gorkij » cioè « amaro »: fu respinto perché aveva solo due classi elementari, e i bassifondi furono la sua « Università ». Parlo coi professori Evgenii Busigin e Chatip Usmanov. Rievocano le gesta dei cosacchi Stenka Razin alla fine del '600 ed Emelian Pugacev nel '700. et Devastarono Astrachan, dove la Volga si getta nel Mar Caspio, poi Kazan, e pensavano alla grande Novgorod e a Mosca. Le loro non furono guerre d'indipendenza nazionale, ma rivoluzioni, poveri contro ricchi, contadini contro latifondisti. Emettevano editti in lìngua russa e tartara. Pugacev si spacciò per Pietro III. marito della grande Caterina, che lo fece poi decapitare. Razin diede il nome dei suoi soldati alle colline di Zhigulì, le più belle dello Volga, e finì squartato ». La loro eredita non fu perduta. Si tramandò nei « russi Uberi » che vivevano al margini delle città e ispi¬ rò La figlia del capitano a Puskin, che venne a scriverla a Kazan. La generazione di Lenin e di Gorkij elaborò quei fermenti primordiali. Quando Gorkij vi arrivò nel 1884, da Nizhnij Novgorod, Kazan sembrava « la corte dei miracoli ». Sotto il Cremlino e nelle paludi si nascondevano migliaia di sventurati e di avanzi di galera; dalle rive i burlakì tiravano le chiatte con le funi e cantavano quell'« inno dei battellieri » che un ragazzo nato e cresciuto a Kazan, Scialjapin, diffuse poi in tutto il mondo. Gorkij fece il facchino, il portinaio, il garzone panettiere, s'impegolò coi populisti e si consumò il cuore in un amore sfortunato. Nel 1887, a 21 anni, vìnto dalla disperazione, tentò il suicidio. Gli estrassero una pallottola da un polmone. Il concistoro lo scomunicò per sette anni. Nel 1888, « rinato nello spirito », Gorkij partì a piedi per un viaggio in Russia: « Ho imparato (disse) che niente al mondo merita l'attenzione più del mio amico e nemico, l'uomo ». Kazan, naturalmente, conserva le case dove vissero, studiarono e lavorarono Scialjapin, Gorkij e Lenin: i contadini inurbati dell'età sovietica le visitano come in pellegrinaggio. Ma conserva anche qualcos'altro: profondi contrasti e forse una violenza latente. La Russia, la Volga, Kazan hanno fatto passi da gigante; eppure il mondo di Gorkij non è del tutto superato. Sono entrato nella chiesa di Nicola Nisskij, sulla via Bauman: traboccava di donne e di bambini, e sul sagrato sedevano mutilati e poveri, ancora in passiva attesa di Dio. Ennio Carette 260 500