A Firenze da tutto il mondo i più bei pezzi d'antichità di Marziano Bernardi

A Firenze da tutto il mondo i più bei pezzi d'antichità Aperta a Palazzo Strozzi la grande "mostra mercato,, A Firenze da tutto il mondo i più bei pezzi d'antichità Presenti 90 espositori (42 stranieri) - In alcuni stands pezzi di tale splendore che pare d'essere in un museo - Imponente rappresentanza francese (Dal nostro inviato speciale) lFirenze, 19 settembre. La « Mostra Mercato Internazionale dell'Antiquariato », giunta alla 6' edizione biennale, ha riempito come un ovo l'immenso Palazzo Strozzi, il più bel palazzo rinascimentale di Firenze, di cose stupende, rare e squisite. Si deve riconoscere esatto quanto dice nella prefazione al catàlogo Giuseppe Bellini, uno dei principali organizzatori della gigantesca rassegna comprendente 90 espositori italiani e 42 stranieri, d'Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Giappone, India, Inghilterra, Israele, Olanda, Perù, Persia, Stati Uniti d'America: « La prima Mostra Mercato nacque nel 1959 per rinnovare il prestigio di Firenze come una delle capitali del mondo nel mercato d'arte. Dal '63 però le nostre aspirazioni divennero più impegnative: Firenze era stata culla del Rinascimento, era giusto e legittimo riproporne i fasti ». E l'impegno c'è, evidentissimo. Girando per i 132 « stands », la prima impressione è di stupore che restino ancora da vendere e da acquistare, dopo gli immani naufragi subiti nei secoli, tanti raffinati esemplari dì produzione artistica. Il fatto è — ci dice uno dei maggiori espositori qui presenti, Tullio Silva — che l'antiquariato è anche una continua selezione, sia dell'antiquario che del collezionista, e fra gli antiquari stessi. Di volta in volta la scelta dell'oggetto si fa più esigente, mentre quello meno pregiato passa in sottordine, per un mercato più corrente. I mirabili cassettoni e comodini dipinti a figure, caso eccezionale nel Settecento veneziano ch'egli ha portato a Palazzo Strozzi, furono già venduti a Londra a prezzo altissimo che adesso, dopo un paziente restauro, è diventato favoloso; e splendono in una vasta sala accanto ad un Rosalba Carriera degno dei ritratti che vedemmo nel Palazzo Ducale a Venezia nella mostra ordinata da Zampetti, a due Maneschi che per qualità non cedono al Canaletto, a un « Bambino » dipinto da Pietro Longhi, ad un affascinante Zais, a un servizio da tavola « Milano » addirittura sbalorditivo. S'intende che ogni espositore ha compiuto in quest'occasione lo sforzo massimo. A confermarlo basti lo stand di Giuseppe e Mario Bellini. Mostra-mercato? Diciamo piuttosto museo. Quattro magnifiche vedute del Canaletto; dei « fiori » di Francesco Guardi; un Magnasco firmato; la tavola centrale, a cuspide gotica, di un Altarolo Dell'Orcagna; paesaggi dello Zuccarelli e dello Zr-s; un immenso arazzo quattrocentesco e un altro inglese con figure nel gusto di Watteau; una delle pa le, con S. Agostino e S. Bia gio di Andrea Di Niccolò già della Pieve a Carli, pubblicate dal Berenson; una « Crocifissione » di scuola giottesca; un « Concerto » del 10 Zugno; sculture toscane e umbre tra Trecento e Cinque cento. La rappresentanza stranie ra è quasi tutta da applaudire. Ottima quella danese specialmente per le pendole inglesi. Londra, con l'Hullman, ha mandato delle interessanti icone russe dell'Ottocento; Parigi, con un gruppo imponente di antiquari, un delizioso « papier peint » cinese, se non erriamo fine Seicento, che tappezza una stanza intera. Ma è il mobile che la fa da padrone della mostra, unendosi in esso la qualità dell'opera d'arte e dell'oggetto d'uso; ed è indiscutibile 11 fascino che il mobile antico continua a esercitare in un'epoca caratterizzata dalle « dissacrazioni »: specie ora che, rinnegato l'ambiente così detto « in stile », propizio alla ignobile falsificazione, più nessuno esita a collocare un quadro cubista sopra una credenza rinascimentale, o viceversa un feticcio della Costa d'Avorio come quello dell'antiquario Delataille accanto a una poltrona di Mies Van Der Rohe. Appunto di questa spregiudicatezza si giova l'antiquariato riunito a Firenze. La scelta, ove se ne abbiano i mezzi finanziari, si è fatta infinitamente più Ubera. Anche l'occhio corre con agio dal servizio di 81 pezzi In porcellana bianca Ginori lumeggiato d'oro con paesaggi e figure policrome, circa 1770, scovato dal Mazzolerà di Milano, agli argenti antichi rus si, portoghesi, francesi dello Zoccai di Sanremo; dai quadroni con feroci tartari che trattengono cani alani dipinti dal secentista Giovanni Francesco Cassana, esposti dal Funghini di Firenze, al ritratto di Santi Di Tito, proprietà Frascione. Non si cercano più i tradizionali accordi; si guarda e giudica l'opera in sé, indipendentemente dalla data e dalla categoria stilistica. Sono venuti gli stranieri In Riva d'Arno dal Sol Levante e dalla riva sudamericana del Pacifico a tener compagnia a 40 antiquari di Firenze, ma i torinesi restano gli eterni « bogianen ». Qualunque sia la causa (probabilmente commerciale) del loro appartarsi « in gran dispitto », gli assenti — lo dicevamo due anni fa per l'analoga mostra — hanno sempre torto: specie quando potrebbero fare splendida figura fra i più agguerriti colleghi. Di Torino ci sono soltanto lo Zabert, che s'è alleato col Luzzetti di Milano (e qui espone fra l'altro un magnifico arazzo della manifattura d'Enghien, mentre Zabert è giunto con quadri sceltissimi, da un Corneilde Vos a un rembrandtiano Van Der Eeckhout); il Silvestri con una natura morta attribuita a Jan Fyt; e l'« arte antica » che reca un contributo stupendo di stampe. Marziano Bernardi