Quattrocento cacciatori in un solo giorno hanno decimato i camosci di Vinadio

Quattrocento cacciatori in un solo giorno hanno decimato i camosci di Vinadio È stata la più grande strage avvenuta in Piemonte Quattrocento cacciatori in un solo giorno hanno decimato i camosci di Vinadio Erano trenta i capi che si potevano abbattere, ma il numero è stato largamente superato - Le battute ora sono state proibite - Gli animali avevano sconfinato nella zona dalla riserva di Valdieri-Entracque - Metodi disumani per colpire la preda (Dal nostro inviato speciale) Vinadio, 17 settembre. La caccia al camoscio in alta Valle Stura è cominciata domenica scorsa ed in pratica si è conclusa la sera stessa, anziché protrarsi fino al 12 ottobre. Per motivi tecnici — l'impossibilità cioè di rendere pubblico in tempo utile il bando di chiusura — era stata concessa ancora la giornata di ieri, ma, come s'è detto, è come se fosse terminata domenica. La giornata feriale ed il tempo avverso — nei valloni Ieri pioveva a dirotto e c'era nebbia — hanno tenuto lontani i cacciatori. Bisogna, però, tenere in debito conto anche la decimazione delle prede; ieri sono stati ufficialmente uccisi solo un paio di capi; due camosci contro 1 sessanta e forse più di domenica: 45 registrati col « piombino » e almeno 15-20 non denunciati per negligenza, ignoranza delle leggi o più probabilmente per desiderio di non rinunciare ad ulteriori bottini. In ventiquattro ore sì è dunque consumata in una sola valle del Cuneese (ma sarebbe più esatto dire nel settore limitato al comuni di Vinadio, Aisone, Sambuco, Pietraporzio ed Argenterà) la più grande strage di camosci della nostra regione. Nemmeno ai tempi delle grandi battute effettuate nel secolo scorso dal « Re Galantuomo » (e cacciatore) In Valle d'Aosta e nella riserva di Valdleri non ne erano stati uccisi così tanti in una volta sola. Il bando sulla caccia in montagna per il 1969 aveva suddiviso il territorio delle Alpi in 21 settori, ognuno dei quali sottoposto ad un regime particolare. Il direttore del settore dell'alta Valle Stura, rag. GiavelH, aveva fls- sato in 30 capi il numero massimo di camosci che si potevano abbattere fino al 12 ottobre. Si poteva cacciare tre giorni alla settimana ed ogni cacciatore avrebbe avuto diritto ad una sola preda che doveva essere denunciata e « piombata ». Dopodiché, i seguaci dì Diana avrebbero dovuto riconsegnare il tesserino ottenuto per la caccia in quel settore. Trenta prede in un mese sembrava un numero ragionevole. Lo scorso anno, i camosci uccisi nella zona di Vinadio il primo giorno di caccia furono una decina; poi si andò avanti al ritmo di due o tre capi per ogni giorno di caccia. Il 14 settembre 1969 è stata invece una giornata nera per le povere bestiole che, avendo sconfinato, come era stato reso noto, dalla riserva di Valdieri-Entracque, erano ora braccate da non meno dì quattrocento carabine scese in campo da ogni dove, dal Piemonte come dalla Liguria. La caccia è stata condotta da taluni con criteri mdiscriminati e disumani: lo dimostra un fatto. Ieri, nel vallone di Rio Freddo, due cacciatori, rimasti sconosciuti, collegati addirittura con il radiotelefono, hanno centrato entrambi un camoscio dì pochi mesi, facendone scempio. Due persone, Domenico Masoero di Vinadio e Vincenzo De Giovanni di Aisone, li hanno scorti da una cresta. Così in un giorno solo è stato ucciso un numero doppio di camosci rispetto a quello preventivato nell'arco della stagione venatoria. Di fronte a tale risultato, per non correre il rischio di compromettere la sopravvivenza del patrimonio faunistico si imponeva un solo provvedimento, prontamente adottato: la chiusura della caccia nel settore di Vinadio. Che fare ora per l'avvenire, per impedire che quattrocento cacciate ri muovano arma al piede tutti in un colpo solo e in un solo vallone? Il dott. Bruno Vigna, presidente della sezione provinciale cacciatori e medico condotto di Vinadio, dice: «Per il futuro bisognerà che le autorità preposte alla regolamentazione del settore si rendano conto che la caccia in montagna ha caratteristiche ben diverse da quella di pianura. In montagna la selvaggina si ripopola solo naturalmente; perciò non è possibile equipararla alla selvaggina della pianura che può essere riprodotta anche con sistemi artificiali. Occorre pertanto proteggere dal pericolo dello sterminio i camosci, i fagiani e tutta la restante fauna alpina. In che modo? Limitando il numero dei cacciatori oppure quello dei capi uccisi. Bisognerà arrivare ad una rotazione dei cacciatori iscrìtti in un certo settore: un determinato numero caccerà il -"-imo anno e gli altri in avvenire. Questo principio è già stato accolto dalle leggi che disciplinano la caccia di alcune regioni a statuto speciale come la Valle d'Aosta». NinQ Manera Vinadio. Un cacciatore ha recuperato un piccolo camoscio ucciso da sconosciuti

Persone citate: Bruno Vigna, Domenico Masoero, Manera, Vincenzo De Giovanni