I gioielli di Jacqueline

I gioielli di Jacqueline Brevi incontri I gioielli di Jacqueline Diceva una volta un umorista che questo è un mondo pieno di contraddizioni: chiamiamo « padre » un uomo che, indossando la tonaca, non può avere dei figli, e « casa di salute » un posto « dove molti vanno a morire ». Guardavo un quotidiano: c'era, in prima pagina, la fotografia del ribelle don Mazzi che celebra un matrimonio, e in seconda, più piccola, quella del Papa che deplora l'ondata crescente dell'erotismo. Leggevo la cronaca: i giornali greci polemizzano con il columnist americano Jack Anderson a proposito delle spese che Onassis farebbe per rendere felice la quarantenne Jacqueline Bouvier vedova Kennedy. Chi dice tre miliardi all'anno, chi addirittura dodici, e segue una non approssimativa descrizione dei doni: si parla, tra l'altro, « di una corda d'oro da legare alla vita a mo' di cintura », di una parure di gioielli del valore di novanta milioni (un'occasione, insomma) e poiché il famoso armatore non è insensibile alle conquiste dello spirito e della tecnica, di un gentile omaggio suggerito dall'attualità: un paio di orecchini che celebrano l'impresa dell'Apollo 11. Vedrete che il leggendario evento sarà ricordato anche per questo. Ora, nel colorito resoconto, non c'è nulla di sorprendente o di straordinario: che una coppia di ricconi spenda, come riferiscono gli allenti reporters, seicentomila lire per una sera al night, è un fatto del tutto normale: le aranciate costano. - Ciò che mi ha colpito era un involontario e, qualcuno dirà, demagogico confronto, provocato da un titolo dall'apparenza innocente, buttato là da un disinvolto impaginatore: « La morte di don Marella ». Mi venne in .mente un vecchio prete, dalla grande barba candida, il sorriso mite rassegnato, che conoscevo fin da quando ero studente (insegnava filosofia in un liceo), e che ho visto per tante notti, nelle strade di Bologna spazzate dal vento, fuori dai teatri a domandare la carità per i poveri. Da giovane, dicevano, era stato un po' scapestrato, poi Dio lo aveva voluto al suo servizio, e don Marella, padre Marella, Dio lo andava a cercare fra i bambini abbandonati, fra gli ex carcerati, tra i senzatetto e senzalavoro, e apriva le case dei pellegrini, gli ambulatori, i campi da gioco, le mense, e al mattino presto correva al mercato, e raccoglieva in un cesto le offerte degli ortolani, e la sera si sedeva davanti all'ingresso dei cinematografi, la mano tesa, e gli occhi stanchi per la fatica e per l'età si aprivano solo per dire « grazie ». Padre Marella è stato più prodigo e generoso di Onassis: raccontano che, in trent'anni, ha cresciuto ottomila orfanelli, gli ha dato un lavoro, un avvenite e una speranza, e anche nelle ore difficili, non si è mai sgomentato: il Signore provvede a tutti,»ai gigli dei campi, agli uccelli dell'aria, ai bambini soli e alle vedove male accompagnate. Proteste Non conosco né la vita né le opere di Roberto Faenza, autore del film « H2S » sequestralo per ordine della magistratura, e chiedo scusa. Leggo che, durante una conferenza stampa che ha convocato vincendo, suppongo, il naturale riserbo, ha dichiarato che il suo film faceva troppa paura. Questa affermazione accende la mia stanca curiosità:, chissà r-he cosa ha da dirci di. terribile questo Roberto Faenza, chissà che cosa ha scoperto di sconvolgente se in questo paese dove ormai tutto è concesso, gli impediscono di parlare. Lui offre una spiegazione che mi sembra però approssimativa: «La realtà è che t giovani danno fastidio e per toglierli di mezzo li si vuol far tacere ». Oh Dio, certi atteggiamenti, certe forme di presunzione o di protesta possono anche dar noia, ma nessuno ne proibisce la libera manifestazione: se c'è un tempo che offre ampie possibilità di esprimersi anche a giovanotti dal flebile talento e dall'incerto avvenire- è proprio questo. Verso la fine del dialogo, l'atteggiamento di Roberto Faenza si è fatto anche minaccioso: « Basta! Passo alla Tv ». Con la vocazione che ha a far paura, non si dimentichi, almeno, che la televisione la guardano anche i bambini. - Enzo Biagì La posta di Biagi « A proposito del "mangiare la suocera " (Stampa dell'11 settembre) devo innanzitutto notare che il signor Tedeschi, nel suo confuso ricordo, ha mancalo di fare le dovute distinzioni. Di quale suocera si sarebbero gli ospiti nutriti, di quella di lui o di quella di lei? « Se, come mi sembra tuttavia di capire, è della prima che si tratta (vale a dire della madre della sposa), la notizia letta in qualche luogo dal richiedente milanese non è poi conipletamenle infondata. Secondo alcune testimonianze, infatti, presso gli Anatumo, nell'alto Congo, esisterebbe un'usanza non molto dissimile. Ne riferisce un etnologo di indiscussa fama, quale era Ewald Volhard, nel suo volume: "Kannibàlismus ". «Alle nozze della figlia la madre, che ormai non serve più a nulla, viene mangiata come arrosto festivo. A tale scopo viene con grande devozione sollevata sul più allo ramo di un albero solitario, al quale si deve attaccare fino a che non può più resistere e cade. Frattanto si ripete continuamente, fra danze tristi, il canto melanconico: " Tienti bene, vecchia, tienti bene. Appena il frutto è maturo, cade per terra " ». Dott. Eugenio Gaddini , Roma « Se non vado errato una disposizione di legge, che risponde a requisiti di profonda umanità e di alio senso civico, dà il diritto a qualsiasi cittadino italiano di tralasciare, nella denuncia delle proprie generalità, la dichiarazione fino a poco tempo fa obbligatoria della paternità. Ebbene, tutto questo accade solo in teoria. Recentemente sono sceso in un albergo di una grossa città ed avendo esibito un documento in cui non era indicata la paternità, mi sono sentilo pregare dì completare in un foglio a parte i dati mancanti. Ora fortunatamente io sono figlio, come diceva Mark Twain, di pochi ma onesti genitori e quindi non provo l'imbarazzo di chi deve dire a tulli che è figlio di ignoti. Tuttavia ho cercato di obiettare qualcosa e mi sono Sentilo rispondere che è vero che esiste una legge in proposito, ma che la questura vuole egualmente sapere la paternità di tutti coloro che scendono all'albergo. Ora, per concludere, se esiste veramente questa legge, perché proprio certe questure devono ostinarsi a ignorarla? E se questa legge, nonostante la sua ragione umanitaria, intralcia i compiti della questura, perché è stata approvata? ». Giovanni Pettinatoli Torino Che dire? Non c'è merito ad avere un padre disposto a presentarsi come tale, non c'è colpa nell'essere figli di N. N. Si è fatta una giusta legge per evitare a tante persone un immeritato disagio, ma per la comodità di qualche commissario di P. S. la volontà del Parlamento viene ignorata e c'è gente che deve raccontare a un portiere d'albergo vicende che appartengono alla vita intima del cittadino.

Luoghi citati: Bologna, Congo, Roma, Torino