Elettronica e "concerti umani,, di Massimo Mila

Elettronica e "concerti umani,,IL FESTIVAL DI MUSICA CONTEMPORANEA DI VENEZIA Elettronica e "concerti umani,, Divertito il pubblico per alcune irriverenti « variazioni » di autore italiano - I Solisti veneti presentano composizioni del gruppo romano - Lavoro di ricerca per i musicisti elettronici (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 10 settembre. Anche ieri la solita tripla razione. A mezzogiorno dibattito sul concerto dei « Pierro* Players », preceduto dall'audizione del medesimo concerto su nastro. Presidenza di D'Amico, relazione di Gioacchino Lanza Tornasi, interventi del pubblico prò e contro l'esecuzione del Pierrot lunaire. Ma di autori ed esecutori, anche questa volta, neanche l'ombra, sicché il senso dell'iniziativa, che dovrebbe promuovere un incontro diretto del pubblico coi protagonisti musicali, viene a mancare. Nel pomeriggio, seconda puntata di composizioni elettroniche annunciate da Angelo Paccagnini, che nel dibattito mattutino aveva fornito qualche informazione, sulla loro origine e sui loro possibili significati. Dopo il quasi onomatopeico Cambrìan Sea dell'americano Klausmeyer, si sono sentite diverse composizioni provenienti dal «Groupe de recherche» dello studio elettroacustico dell'O.R.T. F. di Parigi: un Dahove del jugoslavo Ivo 'Malec, Espaces inhabitables di Francois Bayle e Captare èphèmere di Bernard Parmeggiani. Chi più chi meno, sembrano tutti puntare sulla valorizzazione per contrasto di qualche relitto di sonorità' tradizionali inserito nel contesto elettronico: un'interrogativa strimpellatina di corde pizzicate il Malec, suoni di chitarra il Bayle, un ritmo di due note Parmeggiani. Abbastanza potente e di lunga lena Cybernetics III del tedesco Roland Kayn, realizzato allo studio di fonologia di Milano, ma schiacciante nella prolungata uniformità. Qua e là affiorano, voci e vocaboli irriconoscibili: tali potrebbero essere le parole che pronunciano le bocche aperte e nere delle figure di Bacon. La sera, alla Fenice, cort-'; cèrto dei solisti veneti, qué? st'oftima orchestra d'archi, diretta da Claudio Scimone, che invece d'accontentarsi di suonare Vivaldi e Geminiani, è diventata un elemento attivo nella vita musicale contemporanea, capace di sollecitare e promuovere un certo tipo di produzione, alla maniera di alcuni grandi solisti. Un concerto di prime esecuzioni assolute, secondo un « dada » che il Festival della Biennale ha sempre coltivato, assolvendo anche una funzione d'incoraggiamento a giovani autori, che sarebbe meglio lasciare ad altre iniziative, così come in pittura la Biennale è altra cosa dalla onniaccogliente Quadriennale. Il concerto di ieri sera, appena ne era stato noto il programma, era subito stato battezzato « la marcia da Roma », perché con la sola eccezione di Donatoni, gli autori eseguiti gravitano tutti nell'ambiente musicale romano. Allievo" di Petrassi è Mauro Bortolotti, che in Lin\s indugia ancora in esperimenti aleatori, assegnando al primo violino e al contrabbasso quasi tutto il materiale del pezzo, e confidando che gli altri strumenti, o l'iniziativa del direttore, riescano a svilupparne le possibilità « auto-organizzative ». Ma il pezzo è sembrato per l'appunto principalmente un dialogo dei violini primi col contrabbasso. Metafora del giovane Guido Baggiani, allievo di Boris Porena, vietandosi ogni « tentativo di racconto s», dà luogo a una specie di surplace interminabile, un poco alla maniera delle composizioni a fasce e a reticoli di Aldo Clementi. Variazioni 3 di Domenico Quaccero ha abbastanza esilarato l'uditorio, sia per una certa sua irriverenza da moderno « carnaval des animaux », sia per ritorsione polemica. In una elaborata disposizione triangolare si associano ai solisti veneti il soprano Michiko Hirayama, che emette gemiti e strilli, lo straordinario fagotto di Sergio Penazzi (quello che sa trarne anche più suoni contemporanei), e l'autore con la collaborazione d'altri compositori, intenti ad emettere « suoni corporei », modulati poi at¬ traverso un tavolo di mixaggio e amplificati da altoparlanti. Nessuna irriverenza, invece, nessuna ostentazione d'avanguardia in Natura renovatur di Giacinto Scelsi, l'anziano compositore che fu per tanto tempo tenuto al bando dalla nostra vita musicale, e ora ci ritorna come un precursore, sulla scia, si dice, dei giovani compositori americani che l'ap¬ prezzano molto. Scelsi è un patito del violino e degli strumenti ad arco, ma non per violentarli e trattarli a contropelo. Natura renovatur è una invenzione da-alchimista e da certosino, di microintervalli sovrapposti che si differenziano e si allontanano per frazioni infinitesimali, creando una crescente tensione sotterranea e risolvendola poi con la sorpresa d'una fine smorzata. Unanimi applausi, con molta simpatia per l'autore. Gli Agréments di Marcello Panni impegnano due violini, due viole e due violoncelli per stuzzicare le corde con tutto un repertorio di brevi note staccate, balzellate, suoni flautati, bicordi, che in verità hanno poco a vedere coi tradizionali « abbellimenti s» di cui si era occupato Tartini nel suo « Traité des agréments *. Infine Solo, di Franco Donatoni, un pezzo per dieci strumenti ad arco, tratto, si dice, dal materiale sonoro dell'omonima partitura di Bussotti. Non sapremmo proprio far la parte dell'uno e dell'altro, ma è certo che nel pezzo ascoltato ieri sera si ritrova quella specie di trepidazione per iterazione ravvicinata, quella specie di fermentazione musicale fino alla frenesia, che ha fatto la fortuna di Puppenspiel II. In certi punti il discorso polifonico, di strettissimo ambito melodico, ' si propaga fino a dieci parti reali, creando un formicolio politonale quasi insostenibile. La chiusa, ove il discorso si spegne a poco a poco, lasciando cadere uno strumento dopo l'altro, dà luogo a due minuti dei più poetici che la musica d'oggi abbia mai offerto. Massimo Mila 4

Luoghi citati: Milano, Parigi, Roma, Venezia