Scendendo lungo la Volga di Ennio Caretto

Scendendo lungo la Volga UN VIAGGIO NEL CUORE DELLA RUSSIA STORICA Scendendo lungo la Volga Dal Valdaj al Caspio, ciascuno dei 3700 km del fiume rappresenta un capitolo di storia - Ma dove un tempo pascolavano i cavalli mongoli, sorgono le centrali elettriche e atterrano le astronavi - La frattura tra vecchio e nuovo ad Uglic: decine di villaggi sommersi dai bacini artificiali, le foreste intaccate dal cemento, ma le fabbriche producono strumenti d'alta precisione (Dal nostro Inviato speciale) Uglic, settembre. Sull'altopiano del Valdaj, presso il villaggio di Volgino, quasi a mezza strada tra Mosca e Leningrado, nasce la mat Volga, la madre Volga. Grande è l'emozione che essa suscita net russi. Hanno oltre 100 mila fiumi, il gelido Ob e il possente lenisej, il placido Don e la Lena sconfinata, ma la Volga è la glavnaja ulitza, la via maestra, la kormilitza, la nutrice, è la Russia medesima. Essa si rinnova di continuo e ogni suo cambiamento si riflette sul paese. Ieri, faceva da ponte tra Oriente e Occidente; oggi, dopo la costruzione di una serie di canali, fa da porto a Mosca e a cinque mari: il Bianco, il Baltico, il Caspio, il Nero e il Mar d'Azov. Un tempo, col grano delle sue steppe, coi pesci delle sue acque, còl sale dei suoi deserti si imbandivano le mense; adesso, l'energia delle sue elektrostanzli, collegate In un solo sistema, alimenta l'industria pesante. Dove prima pascolavano liberi ì cavalli mongoli, ora sì trivellano pozzi dì petrolio, sulle pianure atterrano le astronavi dì ritorno dallo spazio e si svolgono le grandi manovre militari, « Ascolta la Volga » mi ha detto un vecchio « se vuoi conoscere il domani della Russia ». Da Igor a Stalin Dal Valdaj al Caspio, ogni chilometro della mat Volga (3700 in tutto) è un capitolo di storia. Dove più nere erano le sue terre e muschiosi i prati si fermarono nei primi secoli dopo Cristo i nomadi bulgari, ,uiguri, avari e cazari. Sulle sue sponde, al volgere dell'anno 1000, terminò « la grande avventura » di Svjatoslav, figlio di Igor prìncipe di Kiev e di Olga la Santa, conquistatore di Gran Bolgar e Itti. Lungo la bassa Volga, Batù, nipote di Temucin, che noi conosciamo col nome dì Gengis Khan, fondò sette secoli fa il regno dell'Orda d'oro. E la Russia fu unita quando Ivan il Terribile sottomise la tartara Kazan. Con le ricchezze dei volzhane, gli abitanti della Volga guidati dal mercante Minin e dal principe Pozharskij, furono respinti i polacchi nel '600. Per vedere dove sorgeva il sole sul suo impero, la grande Caterina discese il fiume su una nave verde e oro. Nella guerra civile, Stalin a Tsaritsin (poi Stalingrado, oggi Volgogrado) e Kirov ad Astrachan, sconfissero la «Guardia bianca» e salvarono la rivoluzione. Sulla Volga, nel '41, i tedeschi persero il conflitto. Dice una canzone: « Nessun nemico può bere l'acqua della Volga e vincere ». Per secoli, i mercanti furono i padroni della Volga. Su un colle, un terrapieno, innalzavano il cremlino, la fortezza con il palazzo e la chiesa, per difendersi dalle incursioni dei cosacchi. Ai piedi delle mura vivevano i burlakì, contadini cacciati dalla terra, avanzi di galera che dalle rive trainavano i j barconi con le funi, e i byvshie Ijudi, gli « ex uomini » di Gorki. accattoni trovatelli e mostri. Contro i mercanti e i loro zar scoppiarono le due grandi ribellioni della Volga, di Stenka Razin nel '600 e di Pugacev nel '700. Cantavano i loro ex servi della gleba: « No, Razin non è morto I egli muove minaccioso I verso la Neva e Leningrado I il suo spirito non può morire ». Oppure: « Sì sono il cosacco Pugacev I sì, sono un vagabondo che ha spezzato la catena I voglio la libertà, non il rispetto né il potere ». Oggigiorno, i padroni della -Volga sono gli ingegneri delle dighe, i dirigenti degli stabilimenti, i programmatori. Sulle rive, foreste di cemento scalzano le casupole di legno, i villaggi si fondono con le città, si viene inurbando e mecca- nizzando lentamente la campagna. Nel bacino della Volga, vasto da solo Quanto mezza Europa occidentale, spicca, più che in altre regioni, il contrasto tra la pianificazione e il costume e il paesaggio storico. Esso non è il banco di prova dell'ideologia del partito, ma dell'industria e della scienza russe. Si tenta di sostituire a una società contadino-mercantile, anarchica, una società rigorosamente tecnologica. In auesti immensi spazi si misura la validità delle teorie economiche e si collaudano le capacità organizzative degli uomini. Già Pietro il Grande sognava di trasformare il fiume in una proizvedenie iskusstva, un'opera d'arte architettonica. Pensando a esso. Lenin definiva il comunismo con la celebre 'formula: « Il po tere dei Soviet più l'elettrificazione ». Guardando a questa terra. Kruscev prometteva di superare « la cavalla spossata del capitalismo ». Ma soltanto adesso la Russia sembra in grado di compiere lo sforzo finanziario e di suscitare l'indispensabile entusiasmo popolare. La Volga, da tessuto connettivo della cultura del Paese, diventa sempre più. insieme con la Siberia, la base della sua potenza. Ho incominciato il viaggio lungo la Volga a Uglic, 200 chilometri a nord di Mosca. La città risale al decimo secolo, è più antica della capitale. Settanta anni fa, con una popolazione di 10 mila anime, contava 40 tra conventi e chiese: oggi ne è rimasta in funzione so lo una. e il partito vi porta a messa le babushkì, le nonnine, in torpedone. Nel suo cremlino fu ucciso, all'età di 10 anni, lo zarevic Dmi trij, figlio di Ivan e della sua | settima moglie. Marta Nagol « Il popolo insorse », mi ha detto l'insegnante Nata Michailovna Lebiteva. « Suonò a distesa la campana del convento. Trucidarono i colpevoli. Tre giorni dopo, giunsero da Mosca i messi di Boris Godunov. Tagliarono la lingua alla campana, cioè le tolsero il batta¬ glio; ma strapparono anche lingua, occhi e orecchie a 200 uomini. Altri 1000 li esiliarono ta Siberia, con la campana, che tornò a Uglic solo tre secoli più tardi. Nel punto dove lo zarevic morì, venne eretta la rossa chiesa 'Dmitrij nel sangue"». Nata Michailovna mi ha mostrato la campana che non ha più lingua, l'ha suonata: un suono lìmpido, armonioso, perché col bromo venne fuso anche l'argento. Questa è la città di ieri. Ma oggi gli abitanti sono saliti a 40 mila, a monte della Voi- 1 ga sorge la centrale idroelettrica, automatizzata, diretta da Mosca, poi il canale con le chiuse per la navigazione. A valle, la grande diga che ha trasformato le terre di Rybinsk nel secondo bacino artificiale d'Europa (il primo è quello dì Kuibyshev, sempre sulla Volga) seppellendo decine dì villaggi e la cittadina di Goloma: dalle acque, emergono le cupole e le torri stinte delle chiese. Milioni di orologi Tra le foreste, ricchissime tuttora di alci e caprioli, il kolkoz modello di Umetta (il nome è tartaro, significa «mille api») dove si portano con orgoglio gli stranieri, con la sua dom kulturi (la casa .della cultura), le macchine per la mungitura e le coltivazioni intensive. Drammatica è la frattura tra il vecchio e il nuovo. Cadono in rovina molte chiese, capolavori barocchi o medioevali, ma le fabbriche producono strumenti d'alta precisione. Non ci sono auto pubbliche, né strade asfaltate per Jaroslav, il capoluogo, o Mosca; ma da uno stabilimento famoso in tutto il mondo escono oltre 2 milioni di orologi l'anno. In città scarseggiano gli.alloggi, inevitabili sono le pene della coabitazione; ma sulla Voi- r ga sì specchiano centinaia di dacie minuscole, a un vano, per l'estate. Non si trovano buoni ristoranti, ma Uglic vanta i formaggi più gustosi della Russia, il Pikantny e il Rossysskij. La gente è vestita male, o con modestia, ma non ha l'aria scontenta. Il primo segretario del Gorkom (il comitato cittadino del partito) e il sindaco considerano queste contraddizioni come febbri di crescenza. Sono entrambi giovani, sui 35 anni, laureato l'uno in agraria l'altro in ingegneria civile. Funzionari di partito, hanno però l'abito mentale del tecnocrate. Nei loro uffici, le statistiche e i diagrammi industriali hanno soppiantato gli slogans demagogici. Sono ottimisti perché, mi hanno detto, « lo spirito russo è vasto, profondo e forte come la Volga». Ennio Caretto Kuibyshev. Donne che lavano sulla riva della Volga, dinanzi ai battelli all'ancora