Musiche (quasi) d'avanguardia presentate al Festival di Venezia di Massimo Mila

Musiche (quasi) d'avanguardia presentate al Festival di Venezia Strumenti elettronici e "Pierrot Players,, Musiche (quasi) d'avanguardia presentate al Festival di Venezia Nel programma un dibattito col pubblico, un concerto dello stùdio di fonologia di Milano, F« Anticristo » di Peter Maxwell Davies - Una interpretazione schònberghiana inconsueta (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 9 settembre. Ieri a mezzogiorno, nella bella saletta dell'Ateneo veneto, presso La Fenice, prima riunione per discorrere del concerto inaugurale, relatore Mario Messinis, critico del Gazzettino, moderatore Fedele D'Amico. Inizio un po' timido di questa innovazione, ma presto il gelo si è rotto e gli interventi del pubblico si sono protratti a lungo — fin troppo — sul tema inesauribile dei rapporti tra suono e colore nel Prometeo di Scriabin. Perché, però, non coinvolgere nella conversazione il regista e qualcuno degli esecutori? Al pomeriggio, nella medesima saletta, stracolma, primo concerto di musiche elettroniche a cura dello studio di fonologia musicale della Rai di Milano. Presentazioni di Angelo Paccagnini, in verità troppo sobrie: nome e cognome dell'autore, titolo dell'opera, studio di provenienza e basta. Neanche l'ombra d'un programma scritto. Peccato far le cose a questo modo. Era meglio eseguire un pezzo di meno, e dare sugli altri un minimo di ragguagli. Un gruppetto di lavori eseguiti allo studio di Varsavia sono parsi stimolanti. Non tanto le convenzionali Aficrostructures di Kotonski né l'ambizioso concertò per nastro magnetico di Boguslav Schaeffer, ma i brevi Hi-lo Joy Honk di Arthur Maddox, Dixì di Eugenius Rudnik e il tragico Epitaphium di Bohdan Mazurek. Il primo, una specie di scanzonato dialogo.tra la bella e la bestia con impiego « pop » di suoni naturali; il secondo chiuso in un bell'arco di forma ternaria; il tèrzo si direbbe sorretto dà ima 'robusta vena d'ispirazione civile: par di sentirvi ruggire fiamme d'un rogo, e impazzire cariche ossessionanti di-tamburi di latta. Meno significativi Alan's Piece Again dell'inglese George Newson e Funktitn Rot di Gottfried Michael Koenig, ancorché si avvalgano delle ricche attrezzature degli studi rispettivamente di Milano e di Utrecht. La sera, ritorno alla Fenice, ricondotta a condizioni pressoché normali di rarefazione di pubblico. Di scena i Pierrot Players, piccolo gruppo strumentale composto di flauto, clarinetto, violino, violoncello, pianoforte e percussione. Da qualche tempo c'è a Londra un gruppetto di compositori interessanti (dopo quanto s'è sentito non si saprebbe se chiamarli d'avanguardia), qualche volta designati come « i giovinastri di Londra », sui quali siamo in Italia poco e malissimo informati. Peter Maxwell Davies dirige il proprio Antechrist. E' un brunetto di trentacinque anni, veste calzoni neri e un maglione giro-collo colore indaco, riesce simpatico al primo apparire per la vivacità scattante dei modi. Che razza d'inglese! Si direbbe uno spagnolo. Ma non manca di « humour ». Ha compiuto studi di perfezionamento a Roma con Petrassi. Ha il gusto della musica antica — fine Medioevo e primo Rinascimento — ed è ossessionato dalla figura di un certo John Taverner, musicista ch'era passato dalla fede papale al servizio di Cromwell, o vicevèrsa, non so bene. Insomma, era soggiaciuto alla tentazione. Antechrist è la continua confrontazione d'un mottetto duecentesco. Deb confltemini domino, e d'una melodia gregoriana che lo interrompe, con il suo diabolico scardinamento in termini musicali d'avanguardia: una ris sa tra bene e male, tra sacro e profano, l'evocazione di un'epoca in cui il diavolo era personaggio familiare. L'opera finisce sopra un lungo tritono, che era il Diabolus in musica, cordialmente applaudito dal pubblico inconscio. Anche Harrison Birtwistle coetaneo di Davies e cofondatore e condirettore dei Pierrot Players, è un patito dell'antico. Ci dà un'elegante trascrizione strumentale di uno splendido mottetto attribuito a Ockeghem e un pezzo, Linoi 2, ch'è una monodia di clarinetto, appena intercalata da punteggiature di pianoforte e di percussio ne: occasione per ammirare l'arte d'un clarinettista stra ordinario (di cui il program ma tace il nome), inchiodato su una poltrona a ruote. A Garldnd for Dr. K. è una raccolta di pezzi brevi, quasi telegrammi gratulatori, che undici compositori hanno messo insieme per festeggiare gli 80 anni del dr. Alfred Kalmus, direttore della editrice musicale Universal, benemerita della musica moderna. Ne è stata data un'esecuzione parziale, di cinque pezzi attribuiti, in ordine alfabetico, a Berio, Birtwistle, Boulez, Rands, Stockhausen. Le difettose indicazioni del programma non consentono di arrischiare attribuzioni. Diremo solo che il primo pezzo è parso un gioiellino d'eleganza, e si direbbe attinente alla cultura francese: il secondo non lascia ricordi particolari, né in bene né in male; il terzo è una danza antica piovuta lì non si sa come; il quarto è puntinista; il quinto contrappone tre volte una coppia di versetti stru¬ mentali, con ottavino e pianoforte, da una parte, gli altri strumenti e il vibraphon dall'altra. Infine, 11 Pierrot lunaìre di Schoenberg, insigne classico della musica, moderna, che determina l'organico e la ragione sociale del gruppo. Ahimè! La nozione autentica dello Sprechgesang sta diventando così favolosamente remota come quella del bel canto rossiniano. A parte certe confidenze disinvolte, come quella di finire un'ottava più su il sesto pezzo, Madonna (è il titolo, non un'esclamazione di chi scrive), il soprano Mary Thomas contravviene sistematicamente t.lla prescrizione schoenberghiana di non preoccuparsi d'astrarre dalle parole il senso e il carattere d'ognuno dei ventini pezzi. Bisogna dire che non è tutta colpa sua: hanno avuto la triste idea di vestirla da Pierrot, con la faccia infarinata, e inquadrarla nella luce d'un riflettore, con pochi elementi scenici italianeggianti. E' fatale che, conciata a quel modo, la povera creatura soggiaccia alla tentazione di « interpretare», e infiori l'esecuzione di continue moine, purtroppo non solo gestuali (basterebbe chiudere gli occhi), ma anche vocali. Siccome l'esecuzione strumentale, diretta dal Davies, è in complesso buona (ma il pianista non fa certo dimenticare Scarpini), si stabilisce uno strano divario, incolmabile, tra voce e strumenti. Applausi vivissimi: ebbene, se ci vuole la messa in scena, perché ci si accorga delia grandezza di Pierrot lunaìre, sopportiamo pure, provvisoriamente, anche la messa in scena. Massimo Mila