L'utopismo monastico di Carlo Casalegno

L'utopismo monastico H nostro Stato L'utopismo monastico Si è constatata ancora una volta in questi giorni l'esattezza di una verità ben nota: uno dei mali della vita pubblica, non soltanto in Italia, consiste nella confusione delle parole, e quindi delle idee e delle scelte politiche. Talora le parole sono distorte di proposito, come nella definizione comunista di « democrazia popolare » per indicare regimi che non sono né democratici né popolari (ed infatti non accettano la prova del dissenso né il controllo di elezioni libere). Oppure sono usate quali pretesti o inganni: cosi dai missini, che manifestano per la libertà di Praga ma continuano ad esaltare l'occupazione hitleriana della Cecoslovacchia, rifiutano di associarsi alla condanna del massacro di Filetto ed all'inchiesta sul vescovo Defregger. Ma altre volte, forse più spesso, la confusione avviene in buona fede: miti, superstizioni, schemi ingenui o dogmatici inducono onesti militanti di sinistra a scambiare le parole per realtà, e ad agire in conseguenza. Uno di questi miti verbali è il « socialismo arabo »: qualsiasi regime tra il Pakistan ed il Marocco si professi socialista ed antimperialista, subito ottiene dai più esigenti progressisti italiani un'approvazione entusiasta ed un'attiva solidarietà. I .comunisti ed i « gauchistes » che disprezzano la socialdemocrazia scandinava e condannano il modello svedese, accettano senza riserve i socialnazionalisti egiziani, algerini, iracheni, yemeniti, sudanesi ed ora libici. Dai «progressisti» arabi accettano tutto: la dittatura militare, il terrore poliziesco, i furori nazionalistici, il razzismo, le promesse demagogiche, le riforme sbagliate. Si passa per reazionari ricordando che Nasser si è fatto organizzare i servizi di sicurezza da criminali nazisti, che i colonnelli siriani sono democratici allo stesso modo di quelli greci, che gli ufficiali iracheni imitano la tecnica , dei processi staliniani, e che tutti questi governi populisti, in paesi depressi, dedicano una parte soverchiarne del bilàncio alle spese militari. Siamo in molti a pensare che nel mondo islamico le congiure militari nascano da necessità autentiche: forse rappresentano l'unica possibile via d'uscita dal passato feudale. Concediamo che gli ufficiali « nasseriani » combattano, con metodi discutibili ma con qualche successo, il fanatismo religioso e la corruzione, ri. sveglino masse miserabili ad una primordiale coscienza politica, si propongano riforme sociali. Ma è grottesco che quei regimi siano sostenuti sempre e comunque, idealizzati e addirittura proposti a modello. Se qualche difetto viene riconosciuto ai socialismi arabi, la responsabilità è puntualmente rovesciata sull'eredità coloniale. L'altro giorno si leggeva, nella tribuna libera del Monde, una tesi che sarebbe piaciuta a parecchi lettori italiani. E' vero che l'Iraq conduce una guerra spietata contro la minoranza curda; ma per colpa delle mene prima degli inglesi (partiti da undici anni), poi degli americani. I processi segreti di Bagdad e l'impiccagione di decine di « spie » sono, anziché una vergogna del regime, un difficile gesto di coraggio: servono ad « eliminare la corruzione, consolidare lo Stato, distruggere le basi dell'influenza anglosassone ». Quanto agli ebrei impiccati, la responsabilità è di Israele, « che tante volte ha vantato l'efficacia » dei suoi servizi segreti. II «peccato» d'Israele « C'est la faute à Voltaire »: tutto il male viene dall'Occidente; ed infatti Israele, per il peccato delle sue origini europee, è oggetto di un metodico pregiudizio sfavorevole. Non conta che sia il paese più democratico e socialista del Medio Oriente (l'unico, anzi), ed un asilo di perseguitati, una terra di profughi; ragioni e diritti appartengono solo ai palestinesi, in base a principi che però nessuno accetterebbe di applicare ai tedeschi espulsi dalla Polonia od ai baltici cacciati dall'Urss. Per le sinistre « avanzate », non c'è nulla di buono fuori del Terzo Mondo; l'uomo bianco deve astenersi dal giudicare persino le stragi del Biafra o del Sudan, l'intervento cinese nel Tibet o egiziano nello Yemen, e vergognarsi delle sue colpe passate e presenti. E' un rimorso dogmatico, irrazionale, antistorico, che assolve lo schiavismo arabo ma non concede nulla al colonialismo occidentale, ed immagina che, senza le conquiste europee, i popoli di colore avrebbero conosciuto un'evoluzione pacifica e felice verso il progresso. Cattolici contestatori Su queste posizioni parecchi cattolici occupano le punte più avanzate. E si capisce perché: sentono anche il rimorso per le posizioni reazionarie tenute nei secoli dalla Chiesa ufficiale. Ma mi pare iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii che l'estrema sinistra cattolica contribuisca anche in un altro campo — questo di politica interna — alla confusione delle parole e delle idee. E' un'impressione personale; però mi sembra d'avvertire, in molti tra i cattolici più impegnati, delle motivazioni che non si esauriscono nel distacco polemico dalla Chiesa conservatrice del passato e nella nobile volontà di tradurre il Vangelo in pratica politica. Direi che nella loro condanna della società industriale, del progresso tecnologico « senz'anima », del neocapitalismo materialista entrino — forse inconsciamente — impulsi di tutt'altra origine: preoccupazioni ideologiche e nostalgie che dovremmo definire conservatrici, non progressiste. Mi pare che, nel profondo, essi rimpiangano la vecchia civiltà contadina, e ne sopravvalutino i valori morali, l'attaccamento al campanile ed alle virtù familiari, il distacco dai beni terreni; e che, sentendo la Chiesa « presente » soprattutto tra i poveri, si sentano più vicini alle società agricole del passato che alla moderna civiltà del benessere. E taluni, per una reazione forse più istintiva che cosciente, non perdonano alla società industriale di essersi sviluppata con il liberalismo laico dell'Occidente, di essere in certo modo figlia dell'Illuminismo. Ma i cattolici « avanzati » sono troppo intelligenti e colti per sognare, come i cattolici reazionari alla Pétain, un impossibile ritorno alla campagna; perciò combattono la loro battaglia « religiosa » contro liberalismo, laicismo, neocapitalismo con una fuga in avanti. Sono all'avanguardia nella contestazione, pronti ad allearsi con comunisti e maoisti; tuttavia il loro socialismo ha un colore diverso. A me sembra che ripeta motivi savonaroliani, riprenda in modi nuovi la battaglia ottocentesca contro lo Stato laico, abbia una forte componente integralista. L'utopismo monastico è rispettabile; ma, in politica, è inquietante. Carlo Casalegno

Persone citate: Biafra, Nasser