Il problema della casa in Italia

Il problema della casa in Italia TAVOLA ROTONDA DE "LA STAMPA,, SULL'EDILIZIA PUBBLICA E PRIVATA Il problema della casa in Italia Per raggiungere il limite di una stanza per cittadino in Italia è necessaria una produzione annua di 400-450 mila alloggi - L'anno scorso si sono costruiti 270 mila appartamenti - L'intervento dell'edilizia pubblica si è limitato al 7 per cento del totale - Le cause della crisi: nessun Comune dispone di strumenti di urbanizzazione completi, manca l'urbanizzazione delle aree, i finanziamenti sono scarsi e macchinosi.- Duemila miliardi giacenti in attesa di impiego - Le proposte: massiccio intervento dello Stato e razionalizzazione del processo produttivo Qual è la situazione italiana nel settore edilizio? Quali le necessità e i programmi? Esistono buoni strumenti legislativi? A che punto i sono i piani regolatori e di costruzione? Che cosa ha fatto l'iniziativa privata? L'intervento pubblico risponde alle esigenze della casa per i meno abbienti? Come si può ricuperare il tempo perduto? Questi sono i temi dibattuti alla tavola rotonda organizzata da La Stampa sull'edilizia. La discussione ha portato a una serie di proposte di cui dovrà tenere conto chi cerca una efficiente soluzione del problema della casa. E' un altro capitolo dell'inchiesta sulla crisi delle città che stiamo conducendo in Italia. Al dibattito hanno partecipato: ing. Casimiro Dolza, presidente del Collegio costruttori di Torino e presidente nazionale del settore edilizia residenziale in proprio; ing. Gabriele Alciati, vice presidente dell'edilizia residenziale e membro della commissione urbanistica dell'Ance - Roma; dott. Elio Capodoglio, presidente Comitato centrale programma decennale case per lavoratori (Gescal) Roma; dott. Francesco Cerchio, direttore Ufficio provinciale del lavoro e presidente Comitato piano decennale case lavoratori di Torino; avv. Mario Dezani, presidente Istituto Case Popolari di Torino e direttore della rivista Edilizia Popolare: dott. Luciano Rufino, segretario confederale UH Roma. Per La Stampa erano presenti il vice direttore Giovanni Giovannini, il capo cronista Ferruccio Borio, il redattore di queste note Sergio Devecchi. « Manca una politica organica della casa » Dolza — Bisogna impostare il problema con una visione globale. Le difficoltà dei grossi insediamenti urbani sono analoghe in tutte le società del mondo moderno: in quelle di tipo occidentale e nei paesi socialisti. Sono problemi che nascono dalla trasformazione della società. Quello che noi possiamo constatare è che nel nostro Paese finora tutti i governi che si sono succeduti hanno affrontato il problema della casa con carattere di estemporaneità, attraverso interventi straordinari o sotto la spinta di esasperazioni sociali, con obiettivi anticongiunturali per incrementare o frenare il settore dell'edilizia a seconda dei casi. Occorre invece una volontà politica che è espressione di maturità civile in una società moderna. Bisogna considerare tutti i problemi infrastnitturali che sono propri del fatto abitativo. Parlo delle scuole, degli ospedali, del traffico, dei parchi, luoghi di riposo ecc.. Se da questa « tavola rotonda », della quale noi costruttori siamo veramente grati a La Stampa, venisse fuori la necessità di esprimere una volontà politica che indirizzi ed inquadri la politica della casa in Italia, penso che il problema potrebbe essere avviato a soluzione. Faccio un solo esempio: i Comuni non sono in grado di predisporre con i soli loro mezzi i piani regolatori ed i piani particolareggiati e senza questi strumenti noi, finite le costruzioni della « legge ponte », non potremo più operare. Alciati — La premessa generale fatta da Dolza tocca il problema di fondo dell'abitazione in Italia: la mancanza di una politica organica della casa. Uno degli aspetti più clamorosamente negativi di questa mancanza è l'andamento ciclico dell'industria produttiva. In questi ultimi dieci anni ci sono stati alti e bassi che arrivano alla punta record di 450 mila appartamenti prodotti in Italia nel 1964 per precipitare poi, tre anni dopo, a un minimo di 267 mila. Questo strano andamento sinusoidale della produzione edilizia è dovuto proprio alla mancanza di una politica organica e generale della casa. Nel 1967, per esempio, si imputò la crisi a un eccesso di produzione degli anni precedenti, mentre dal programma nazionale si desume che per poter raggiungere l'obiettivo di assegnare una stanza ad ogni cittadino è necessaria una produzione annua al di sopra dei 400 mila appartamenti. Il che significa che la produzione del 1964, che era stata messa sotto accusa per il suo turgore, era in effetti una produzione solo leggermente al di sopra di quella necessaria per risolvere il problema dell'abitazione in Italia. In realtà la produzione cadde perché il mercato assunse una posizione d'attesa, creando dell'invenduto di fronte alle promesse illusorie ed ingannevoli di un abbattimento del costo della casa. Oggi a che cosa si deve la nuova lievitazione produttiva del settore? Essenzialmente agli effetti della legge urbanistica. Il congestionamento delle iniziative deriva dalla necessità di utilizzare le licenze edilizie prima della scadenza. Roma ha costruito 7 mila vani sulla 167 LA STAMPA — Quanti sono oggi in Italia i Comuni che dispongono di strumenti urbanistici completi? Alciati 'dopo una rapida consultazione con gli altri partecipanti al dibattito) — Nessuno. Il solo piano regolatore non serve. Per costruire sono necessari il piano di dettaglio o il piano volumetrico della 167 o il piano particolareggiato o la lottizzazione convenzionata. Prendiamo, per esempio, il caso di Roma. Roma ha un piano che è diventato legge nel dicembre 1965. Ebbene, oggi, a quattro anni di distanza, Roma manca di strumenti urbanistici che consentano una operatività concreta. Le aree disponibili per l'edificazione sono ridotte ad oggetti di alto antiquariato. LA STAMPA — I' altre parole, i Comuni nor dotandosi di strumenti urbanistici favoriscono la speculazione sui terreni. Alciati — Esatto. E' questa deficienza di una pianificazione tempestiva che finisce col fare il gioco della speculazione fondiaria. A Roma. l'Istituto delle case popolari, per esempio, ha a sua disposizione 44 miliardi di finanziamenti bloccati da diverso tempo perché il Comune non riesce a predisporre le aree assegnate all'Istituto. Mancano le opere di urbanizzazione. LA STAMPA — Quante aree della 167 bloccate da anni in Italia sono state utilizzate finora? Alciati — Conosco i dati di Roma. La 167 ha congelato 5 mila ettari per 700 mila vani. Fino a questo momento sono state realizzate abitazioni per 7 mila vani. LA STAMPA — E a Torino? Dolza — Nel caso che l'attuazione della 167 a Torinò continuasse a svilupparsi con lo stesso ritmo che ha avuto finora, alla fine del piano, cioè nel 1974, si sarà utilizzato il 27 per cento delle disponibilità di aree. Dezani — Mi permetto di contraddirti. A Torino sulla 167 abbiamo costruito molto di più. Torino è stata la prima città italiana ad applicare la 167 e sono stati bloccati 630 ettari di terreni pari al 70 per cento delle aree fabbricabili, per 160 mila vani. Finora sono stati impegnati terreni per 40 mila vani, costruiti, in corso di costruzione o in progetto. I terreni per i restanti 120 mila vani a mio giudizio dovrebbero servire per le nuove costruzioni con i 70 miliardi della Gescal, per il piano case proposto dalla Fiat e per la convenzione che si dovrebbe fare tra il Comune, il Collegio dei Costruttori e l'Unione Industriale per costruire a prezzi di edilizia economica. In questo modo entro il 1974, Torino utilizzerebbe quasi tutti i terreni bloccati con la 167. sa dicono i rappresentanti dell'edilizia pubblica? Capodaglio — Il grado di intervento dell'iniziativa pubblica rispetto a quella privata nell'edilizia è andato diminuendo dal 1951 ad oggi: mentre nel 1951 rappresentava il 25 per cento del totale degli investimenti nell'edilizia, nel '63 e '64 ha rappresentato il 4,1 per cento e nel '68 è risalito soltanto al 7,4 per cento. Basta questo per provare che l'intervento pubblico non può assolutamenfó |soddisfare le esigenze di quelle và^te, fasce di lavoratori che* disponendo di un reddito basso "non possono accedere al mercato privato dell'abitazione né per affittare né tanto meno per comperare. In questa situazione credo che il primo problema sia quello di un intervento massiccio dello Stato nel settore dell'edilizia. Questo però non basterebbe. Occorre anche che lo Stato proceda ad una radicale riorganizzazione dei sistemi d'intervento. Nel giugno del 1967 il Cnel (Consiglio nazionale dell'Economia e del Lavoro) indagò sullo stato attuale dell'intervento pubblico nel settore edilizio, mettendo in evidenza la lteplicità degli enti e delle . J che si accavallano in questr settore^det e i-minando so\ apposizioni, doppioni, sperperi di denaro pubblico, disorganizzazione; tutti fenomeni che portano ad un aumento del costo della casa ed anche ad una utilizzazione non economica dei pur scarsi mezzi pubblici. LA STAMPA — Sono denunzie coraggiose di condizioni intollerabili. Che cosa bisognerebbe fare? Capodaglio — Occorrono tre cose: aumento degli investimenti da parte dello Stato; miglior modo di spenderli; eliminazione delle difficoltà e delle cause di ritardo che colpiscono anche la edilizia privata. Mancano gli strumenti urbanistici ed i programmi di investimento vengono decisi a singhiozzo, impedendo alle stesse imprese di costruzione di fare dei programmi. I Comuni non hanno i mezzi per urbanizzare le aree. Finché non disporremo a sufficienza e tempestivamente di aree urbanizzate, noi non possiamo sperare che, anche se lo Stato aumentasse del triplo o del quadruplo la misura dei suoi investimenti, le cose possano andar meglio. Non sapremmo su quali aree costruire. Il discorso sulla urbanizzazione è prioritario. Così dicasi per i sistemi di espropriazione. In Italia andiamo ancora avanti con leggi vecchie di un secolo. Alciati — Il nostro paese cent'anni fa era all'avanguardia in campo urbanistico. Capodaglio — C'è un'altra importantissima riforma da fare subito. Quella del sistema di assegnazione degli alloggi. In teoria lo Stato dovrebbe intervenire per aiutare gli strati più bisognosi della popolazione. Invece lo Stato finisce per aiutare colui che ha già i diciannove soldi per fare una lira. Voglio dire che spesso l'edilizia pubblica, attraverso il ginepraio di leggi esistenti, è andata sovente a vantaggio degli strati intermedi della popolazione, assai più che di quelli meno ab¬ bienti. Può accadere che due operai inquilini nella stessa casa avuta dall'iniziativa pubblica paghino fitti molto diversi: il primo magari paga il doppio o il triplo del secondo. E' inutile pretendere di spiegare che si tratta di due leggi di finanziamento diverse. Bisogna anche rivedere le norme di assegnazione. Con la Gescal, in base ai criteri stabiliti dalla legge, si finisce col favorire, in proporzione, più gli impiegati degli operai, più i lavoratori anziani che non quelli giovani, che sono maggiormente bisognosi di alloggio. Cerchio — A Torino nel primo settennio dell'Ina-Casa si è data la preferenza alle famiglie numerose. Nel secondo settennio si sono favoriti gli immigrati. La Gescal, terza fase, applica i criteri illustrati ora dal presidente. LA STAMPA — Gli investimenti della Gescal avrebbero potuto essere superiori se 1 Comuni avessero offerto terreni idonei? E' vero che ci sono circa 700 miliardi, non utilizzati? Capodaglio — E' pura fantasia. La Gescal ha una giacenza che si aggira sui 400 miliardi, ma questa somma non si poteva spendere tutta anche se si fossero realizzate tutte le condizioni necessarie. Il provvedimento per 1 185 miliardi del terzo piano triennale è stato varato solo qualche mese fa e quindi il terzo piano non è neanche cominciato. LA STAMPA — Quali sono i Comuni dove incontrate le maggiori difficoltà nel reperimento delle aree? Capodaglio — Considerando che le aree devono essere reperite nell'ambito della 167, la maggiore difficoltà si trova nei comuni sprovvisti della 167. I Comuni che sono stati gli ultimi ad applicarla sono quelli che sono, non fatemi fare l'antimeridionalista perché non lo sono. Il Sud è arrivato più tardi, però abbiamo anche numerosi Comuni del Nord che hanno tardato ad applicare la 167. Bisogna riconoscere che Torino è stata tra le prime. LA STAMPA — Come avviene la ripartizione dei fondi Gescal? Capodaglio — Nei tre trienni dal '63 al '71 abbiamo stanziato 769 miliardi. Questi fondi sono stati assegnati per il 40 per cento al Sud e alle isole, come prescrive la legge, ed il restante 60 per cento al Centro-Nord. Il Sud ha avuto 316 miliardi ed il Centro-Nord 453 miliardi. Le cifre, per le singole città, vengono stabilite tenendo conto dell'apporto di contributi, dell'indice di affollamento, del fabbisogno di alloggi, dell'indice di disoccupazione. La coperta è piccola: si cerca di coprire la testa, si scoprono i piedi. Poiché non ritengo sia possibile aumentare il contributo dei lavoratori e dei datori di lavoro, è necessario aumentare il contributo dello Stato. E se lo Stato si decide a dare questi quattrini, li dia su un solo e ben regolamentato filone, come la Gescal, anziché disperderli in mille rivoli. Non è il caso di fare polemica tra Nord e Sud. Il Sud è protetto dal tetto del 40 per cento, mentre il Nord è tutelato dall'indice dell'apporto di contributi versati. Resta nel Centro una vasta zona scoperta: Emilia, Toscana, Marche e Umbria, dove facciamo assegnazioni ridicole rispetto alle necessità. Mutui troppo cari per le case economiche LA STAMPA — Si parla di provvedimenti speciali della Gescal per- Torino e -Milano stilla base di una settantina di miliardi per ognuna delle due città. Capodaglio — Occorreranno decisioni particolari. Ma sappiate che in base al solo fabbisogno di alloggi, Napoli e Palermo, per esempio, si trovano in condizioni molto peggiori, sia come situazione igienica e sia come affollamento. Dezani — Il programma di sviluppo '66-'70 prevedeva investimenti per l'edilizia abitativa di 2030 miliardi annui. di cui il 25 per cento, 510 miliardi all'anno, da effettuarsi nell'ambito dell'edilizia statale e sovvenzionata. Nel triennio '66 - '68 gli investimenti effettuati complessivamente per l'edilizia sono ammontati a 7638 miliardi, con un supero di circa 1548 miliardi rispetto alle previsioni del piano. Però l'edilizia pubblica ha investito solo 552 miliardi, pari al 7 per cento. E' evidente che siamo ben lontani dalla quota prevista. Ma se esaminiamo l'ammontare totale degli investimenti pubblici nel settore dell'edilizia, programmati sulla base delle leggi in vigore, saliamo a molto di più; cioè dai 552 miliardi effettivamente spesi a 2428 miliardi. LA STAMPA — Ci sarebbero quasi 2 mila miliardi stanziati o previsti per l'iniziativa pubblica solo per i tre anni '66-'68. Dezani — Sì. Questo sul piano teorico perché Teffettivamente costruito è pari al 7 per cento. Le giacenze sono da attribuire a tutti gli enti: Case popolari, Gescal, edilizia statale e sovvenzionata. LA STAMPA — Quali sono le maggiori difficoltà nello spendere queste somme? Dezani — Gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dei programmi di edilizia sovvenzionata sono: 1 Comuni non possono accollarsi le spese di urbanizzazione della « 167 »; 1 progetti non tengono conto dei vantaggi economici derivanti dalla standardizzazione; mancanza di coordinamento tra concessione dei contributi e reperimento del finanziamento per cui trascorre anche un anno con aumento dei costi; alto costo del danaro richiesto dagli enti mutuanti (si va dal 5,50 per cento praticato dalla Cassa Depositi e Prestiti, che non ha più fondi, al 7,80-8 per cento degli | Istituti di credito fondiario). Da destra: Dezani delle' Case Popolari, il sindacalista Rufino, Capodaglio della Gescal e Cerchio, Ufficio del Lavoro