Un film "cinese" su Régis Debray e l'audacissima opera di una donna

Un film "cinese" su Régis Debray e l'audacissima opera di una donna Tanta celluloide, poca arte cinematografica a Venezia Un film "cinese" su Régis Debray e l'audacissima opera di una donna cSierra Madre» di Ansano Giannarelli: la guerriglia boliviana vista dall'estrema sinistra - «La fidanzata del pirata» di Nelly Kaplan: un diavolo in abiti femminili distrugge la pace di un villaggio (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 1 settembre. Giornata di quasi paralisi alla XXX Mostra del Lido nonostante l'enorme spinta di celluloide (soltanto nella rassegna principale, circa cinque ore di proiezione per due film di esordienti). Ansano Giannarelli, viareggino, 37 anni, autore pregiato e premiato di rrt alti documentari, ha presentato il suo primo lungometraggio « Sierra Madre », un film di parte (estrema cinese), ispirato dalla vicenda di Régis Debray, recatosi in Bolivia per osservarvi i guerriglieri e catturato dai nazionalisti che tuttora lo trattengono in carcere. Il suo sosia del film è l'italiano Franco, un teorico della guerriglia che ha intrapreso lo stesso viaggio per lo stesso motivo e ha incontrato lo stesso destino. La presenza nella sua cella di due altri prigionieri, un fotografo e un guerrigliero, serve a determinare le differenziazioni ideologiche che sfumano il comunismo e a metterle in rapporto dialettico. Parallelamente ai discorsi e ai martirii dei tre, vediamo balenare la vita degli amici che Franco ha lasciato a Roma; vita anch'essa fatta di discorsi, ma inzuppati di trepidazione per lo scomparso. La sua mamma si reca nell'America Latina e non cava un ragno dal buco: Franco resterà in prigione (come Debray), il fotografo sarà liberato, il guerrigliero giustiziato. E' chiaro che essendo il film molto lungo, la sua sostanza sono le ideologie, magari acute e stimolanti, ma avvolte in forme leziose, misticheggianti e per ciò stesso fascistoidi che danneggiano principalmente il protagonista Antonio Salines (un piccolo « San Sebastiano » della nostra televisione) e poi l'argentino Fernando Birri (il regista di « Los inundadós », premiato nel '62 a Venezia), l'ecuadoriano Fabiàn Cevallos, e la stessa Carla Gravina, stivalata e perentoria. Ma la maggiore spia del fanatismo sono i dialoghi, che potrebbero ben essere quelli che si .l'anno, ai tavolini di .piazza Navona o nelle redazióni1 di rivistine di sinistra1/ ma che 'qui son messi, compatti nel lord gergo, in boccia a poveri torturati nell'atto che sono torturati. ' L'impressione d'insieme è quella d'una cucitura di articoli staffilanti, o, più cinematograficamente parlando, d'una rigogliosa antologia di luoghi comuni del cinema ideologico di sinistra, volutamente disordinato e scabro. Un montaggio certamente abile nel gioco delle alternanze e dei contrapposti tien vivo l'interesse visivo e più l'auricolare; ma anche dove il film si fa più valere (come nell'arioso e acuto inserto concernente la Sardegna, agguagliata, sotto certi aspetti, a uno staterello del « Terzo Mondo ») la sua tempra è documentaristico-oratoria e riconduce il Giannarelli (autóre anche della sceneggiatura con Birri e Vittorina Bortoli) alla sua vera vocazione. Si chiama Nelly Kaplan, è nata a Buenos Aires, fu assistente e collaboratrice di Abel Gancè e firmò nel '67 un bel documentario su Picasso, la regista del francese « La fidanzata del pirata », fornito d'una canzone, « Mai je me balance », che dovrebbe attaccare. Il sesso come arma' di vendetta sociale è un trovato femminile che forse risale alla notte dei tempi. E' anche l'argomento del film., Maria con la vecchia madre è venuta a stare nel villaggio di Tellier senza uno straccio di documento. Morta là Vecchia sotto un'automobile, i' notabili oppongono difficoltà al suo seppellimento da cristiana. Al che Maria s'incarica lei della bisogna, muta la veglia funebre in festino, buAÙeliano e facendosi aiutare da molti di quei notabili riscaldati dal vino e dàlie sue lusinghe di femmina principiante, sotterra il cadavere nel bosco. Conscia che il diavolo è nei lombi, la-ragazza ha già architettato la sua vendetta contro la pressura feudale del luogo. Quella scocca quando divulgatosi lo scandalo della gozzoviglia funebre, uno dei più scandalizzati le uccide il caprone, suo unico amico. Maria si rimpannuccia di vestaglie traforate, minigonne ecc., stabilisce tariffe esose, si mette a prostituteggiare a tutto potere. I notabili, dal più .scalcinato fino al duca cascano tutti nella trappola e vengono clienti anche di fuorivia. Ci si prova il prete a placare quel satanasso in gonna, ma si spezza i denti; Maria ha stabilito che la maschera d'ipocrisia venga via tutta dal volto del villaggio; e viene: l'ultima vittima è un boy scout, circonvenuto con biscotti. Dopodiché essa dona i guadagni alla Madonna svergogna in chiesa i notabili mediante incisioni su na¬ stro, appicca fuoco alla sua capanna (dove'dovrebbe esser rimasto un vecchio nonno) e lascia Tellier soddisfatta. Verso dove non si sa; personaggi come il suo non hanno prospettiva d'avvenire. Nell'apparato del film si legge che da una chiave realistico-maupassantiana (ultraevidente) si passa a una chiave allegorica. Veramente il salto non si vede; anzi è proprio la schiacciante uniformi¬ tà di tono che costituisce il grave limite di « La fidanzata del pirata» (un titolo così obliquo che ci vorrebbe troppo spazio a spiegarlo), film che potrebbe essere stato tranquillamente girato nel 1930, salvo le imposizioni contemporanee d'un crudo erotismo (con l'immancabile pennellata lesbica) e di una risentita formulazione della tesi, che è quella secondo cui l'immoralismo, quando si batte contro il moralismo, diventa esso la morale. Senza mancare in nulla al rispetto dovuto al gentil sesso, tanto senso pratico-spettacolare dentro gli argini della moda, tanta ostinazione di tesi, e soprattutto una così assoluta mancanza di ironia riflessa (sebbene al film non manchino buffonate), dipinge bene la donna regista. G. Geret, M. Costantin, J. Guiomar e molti altri circondano Ber¬ nadette Lafont; la quale non è poi quella femmina incendiaria che vorrebbe l'assunto. Ma i produttori, quando possono, tirano al risparmio e si ricordano di quel proverbio spagnolo che dice: « Se la possiamo dare col naso rincagnato, non la diamo col naso aquilino » (senza nessuna allusione al naso di Bernadette che è invidiabilmente regolare). Leo Pestelli Venezia. I realizzatori del film francese « La fidanzata del pirata », presentato alla Mostra. Da sinistra, lo scenografo Claude Makovski, la regista Nelly Kaplan e gli interpreti Bernadette Lafont e Georges Geret (Tel. Camerapboto)

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