Il giorno più nero della tragica vicenda di Sandro Viola

Il giorno più nero della tragica vicenda Il giorno più nero della tragica vicenda DAL NOSTRO INVIATO ABIDJAN, lunedì matt. Il 2 giugno è il giorno più nero, più angoscioso da che la vicenda è cominciata. Nelle piazzuole in terra battuta di Kwale, tra le baracche sforacchiate dai proiettili, ci sono undici cadaveri. E nello stesso tempo, i diciotto prigionieri di Ojukwu non sono mai stati in pericolo come oggi. In tre giorni, insomma, la situazione è precipitata. Dalle pur esili speranze di ritrovare vivo qualcuno degli undici di Kwale, si è passati alla certezza della strage. Dall ' attesa ottimistica che la trattativa di Abidjan si concludesse relativamente presto con il rilascio dei diciotto prigionieri, si è passati alle notizie che provengono dal Biafra, notizie che lasciano tutti col flato sospeso. I diciotto europei in mano di Ojukwu, comunica il giornalista danese Ritzaus alla sua agenzia, sono già stati processati e condannati a morte; Ritzaus ha dato la notizia da Owerri (una delle due capitali biafrane) sabato sera, mentre scriviamo non c'è ancora stata una qualsiasi conferma da parte delle autorità secessioniste. La notizia può dunque essere inesatta; ma è certo che in queste quarantotto ore la trattativa di Abidjan si è intorbidita, ha perso velocità. La nostra delegazione parla di « decorso normale » nei colloqui', si rifiuta di considerare compromessi i tentativi dj. ottenere da qui, per il tramite del presidente della Costa d'Avorio Houphouet Boigny, il rilascio dei prigionieri. Ma le posizioni prese dai biafrani, ufficialmente, negli ultimi due giorni, giustificano questo ottimismo? Duro documento Sabato sera è venuta da Owerri, gonfio di una minacciosità che nessuno si attendeva, il primo documento sui prigionieri dei campi petroliferi. Parlando ad un gruppo di giornalisti, il portavoce del governo biafrano, dott. Ifegwu Eke, ha detto infatti: A gli uomini di Kwale e di Okpai sapevano benissimo di trovarsi in zona di guerra; essi hanno usato le armi contro le truppe biafrane; £t sono stati catturati con le armi in mano; Q hanno aiutato le truppe nigeriane, in vari modi, negli- scontri con i biafrani; 0 il fatto che siano operai petroliferi li rende simili, addirittura più peri colosi, ai mercenari: perché il petrolio è la forza economica della Federazione, il mezzo per continuare la guerra e lo sterminio degli Ibo. Questi i punti più importanti del documento biafrano. Ce n'è abbastanza, come si vede, per portare i dìciotto dinanzi a un tribunale speciale. Nel consegnare il testo delle dichiarazioni di Eke ai giornalisti, il vice capo della legazione biafrana ad Abidjan, Peter Chibo, ha aggiunto di suo parole che non mitigavano certo la gravità del documento. «Non capisco la vostra fretta — ha detto —; i marinai della "Pueblo" non hanno dovuto attendere un anno prima di essere liberati? ». Poche ore dopo, alle dichiarazioni di Eke e di Chibo, si è aggiunto il testo del discorso fatto da Ojukwu il 30 maggio (ma giunto qui solo domenica), nel secondo anniversario dell'indipendenza del Biafra. Ojukwu ha fatto un accenno ai prigionieri, definendoli « delinquenti » e affermando che essi si erano battuti in tre occasioni contro le truppe Ibo. Ma non è solo da parte n o e l e , i a i i o biafrana che sono giunte, in queste ultime ore, le cattive notizie sulle possibilità di effettivo rilascio dei diciotto prigionieri. L'atteggiamento preso dall'ambasciata di Nigeria a Roma (che rispecchia certamente il punto di vista del governo di Lagos) rappresenta un altro colpo alla trattativa di Abidjan. Minacce nigeriane I contatti fra il governo italiano e quello di Ojukwu, dicono in pratica i nigeriani, stanno ormai configurando un riconoscimento de facto del Biafra da parte italiana. Ora, se' la cosa dovesse giungere davvero a questo punto, se la prosecuzione dei colloqui, o un incontro, un atto politico, facessero capire che c'è un riconoscimento, la Federazione della Nigeria romperà i rapporti diplomatici con l'Italia, espellendo t diecimila italiani che si trovano in Nigeria. Alle minacce biafrane ecco aggiungersi d'improvviso le minacce nigeriane. Presa tra questi due fuochi, la missione del sottosegretario Pedini appare in difficoltà. Forse non è un caso che il presidente dell'Eni Cefls, il quale aveva seguito da qui la trattativa al livello di governi, sia improvvisamente partito per Sao Tome. Forse l'Eni si prepara a una nuova azione diretta nei confronti del Biafra. ,.f?:~e un.segno*fiW.,che fa pensare come pròprio i biafrani stiano cercando in questo momento contatti con l'Eni. Nelle prime due settimane dall'agguato di Kwale, gli uomini di Ojukwu avevano sempre rifiutato i visti d'ingresso in Biafra ai rappresentanti dell'Eni. Tre giorni dopo l'inizio della missione Pedini, e nelle stesse ore in cui Ojukwu aveva dato il primo segno di vita, ecco che Cefls viene avvertito che a Libreville, nel Gabon (un altro dei Paesi africani che ha riconosciuto il Biafra), ci sono i visti per lui e un paio dei suoi collaboratori. Egli può entrare in Biafra quando vuole, il governo biafrano gli garantisce la scorta di un suo diplomatico e un incontro coi prigionieri. Quali spiegazioni si devono dare a queste tortuose incostanze dei biafrani? Qui ad Abidjan se ne presentano due. La prima (che si fonda su indiscrezioni di buona fonte) è che i biafrani tendano a tenere separate due trattative, una con il governo italiano per ottenere un prezzo politico, una con l'Eni, per ottenere contemporaneamente un prezzo economico. L'altra spiegazione .verte sulla lotta di potere in atto in Biafra, su uno scontro del tipo « falchi-colombe » in cui si sarebbe articolato anche il problema dei prigionieri europei: i «falchi» sarebbero intenzionati a processare i tecnici dell'Agip, le «colombe» convinte dell'opportunità di rilasciarli al più presto. Sarebbe questo gioco di pressioni a rendere tanto volubile e contorta la posizione di Ojukwu. «Escalation» verbale? Alcuni osservatori pensano anche che le voci di processi e le 'accuse ai tecnici di avere combattuto contro i biafrani, rappresentino una pura escalation verbale, un modo dì rendere più spettacolare — il giorno che verrà — la liberazione dei prigionieri. Certo, è un'ipotesi. Ma se si guarda alle dichiarazioni di Eke (quando ribadisce per esempio che la tensione internazionale sul caso dei petrolieri dell'Agip è « ridicola » di fronte al milione di morti biafrani, o quando afferma che « la voce » secondo cui alcuni europei sarebbero stati uccisi a Kwale è «assurda e divertente»), e si riflette, dicevamo, su queste parole, viene in mente che i biafrani hanno messo in moto un meccanismo irrazionale, fanatico, e che armai è meglio, dòpo tanto ottimismo dimostratosi purtroppo. . senza, fondamento, essere il più cauti possibile. In queste ore, intanto, i funzionari dell'Eni, giunti sabato a Kwale, stanno ricomponendo i poveri corpi dei dieci italiani e dell'inserviente giordano, semisepolti qua e là, negli immediati dintorni della radura. I corpi sono per ora irriconoscibili (« presumiamo », dicono i dirigenti dell'Eni, « a causa dell'avanzata decomposizione »). Domani dovrebbe già essere possibile sapere qualcosa di più: di che ferite sono morti, se c'erano cadaveri di soldati nigeriani, tutto ciò Che servirà a ricostruire, in maniera meno approssimativa di come si può ora, il dramma di quella mattina. Una cosa diventa sempre più chiara: che non si è trattato d'una fatalità, e che molti errori si sono mischiati ponendo le premesse del dramma. Campanelli d'allarme Il presidente dell'Eni elencava l'altra sera, amaramente ma con ordine, i « campanelli d'allarme » che erano suonati a Kwale. Ventisette marzo: i nigeriani che lavoravano con alcuni appaltatori locali spariscono dalla zona quando si ac¬ corgono che è infestata di pattuglie biafrane; 2 maggio: i biafrani occùjoano Aboh; 3 maggio:, la notte, il guardiana.di und.-dei pozzi già chiusi (a pòche centinaia di metri da Kwale e Okpai) incontra una pattuglia di Ibo che gli chiede notizie dei due campi ancora attivi, il numero delle persone, i lavori ecc.; 4 maggio: gli operai nigeriani di una ditta italiana che lavora alle strade dei pozzi ri fiutano di restare nella zona, e la ditta smette i lavori; 8 maggio: scomparsa dei due tedeschi e di Silvio Barbera. Del dramma di Kwale si può dire tutto, meno che sia giunto improvviso. Sandro Viola Un gruppo di soldati biafrani esce da un villaggio per recarsi nella zona delie operazioni

Luoghi citati: Abidjan, Costa D'avorio, Gabon, Italia, Lagos, Libreville, Nigeria, Roma