Chi sono e che cosa vogliono i preti contestatori in Piemonte

Chi sono e che cosa vogliono i preti contestatori in Piemonte DOPO LA RIUNIONE «CLANDESTINA» DI OROPA Chi sono e che cosa vogliono i preti contestatori in Piemonte Presso il santuario della «Madonna nera» si sono riuniti venerdì scorso cinquantadue sacerdoti di diverse diocesi Hanno discusso sull'«autoritarismo» nella Chiesa e sui più scottanti problemi del sacerdozio dei nostri giorni Biella, lunedi mattina. ' T-«preti del dissenso» riunitisi venerdì 23 maggio a Oropa per una « libera assemblea » erano cinquantadue. Provenivano da diverse diocesi dell'Italia settentrionale, b soprattutto dal Piemonte; mancavano un gruppetto di sacerdoti cuneesi, impegnati nelle manifestazioni di solidarietà con il parroco di Borgo San Dalmazzo, destituito dal suo vescovo; e mancava anche una piccola parte dei preti che avevano partecipato alla prima assemblea, svoltasi il 21 aprile nella casa parrocchiale di una chiesa alla periferia di Torino: pare che non fossero stati avvertiti in tempo. Si sono incontrati in un bar, e poi in un ristorante vicino al Santuario; sono stati scambiati per ex-compagni di Seminario, in gita di nostalgia. Chi sono, che cosa rappresentano, che cosa dicono questi preti del dissenso? Fra loro vi sono alcuni nomi noti: don Merinas, il sacerdote che qualche mese fa ha fatto molto parlare di sé e della sua comunità torinese del Vandalino; don Ferrarino,. il, prete casalese che ha lasciato il canonicato e l'insegnamento della religione per creare intorno a sé un gruppo di cristiani « contestatori » e vive con loro e con le loro famiglie; don Pio Ottenio bibliotecario del Seminario di Rivoli e parroco di una frazione di Montemagno. Santo Stefano, piccolo paese in diocesi di Casale, in pieno Monferrato. E-altri parroci,, vice-parroci, che vivono a.Torino o in minuscoli centri di monta gna; li accomuna un'acuta sofferenza per quelli che essi giudicano i mali della Chiesa di oggi: l'autoritarismo, la mancanza di vera comunione fra tutti i componenti del « popolo di Dio » (dal papa fino all'ultimo fedele), l'incapacità di adeguare la parola di Cristo al linguaggio dei nostri giorni, la indifferenza per le ragioni del laicato. Che cosa rappresentano? Quasi certamente una forza superiore al numero dei partecipanti a queste assemblee praticamente clandestine; le ragioni sono facilmente intuibili: la contestazione è scomoda, difficile, rischiosa. Ieri, in casa di uno dei sacerdoti presenti alla riunione di Oropa, abbiamo trovato altri due preti: volevano sapere, informarsi. Abbiamo domandato: « Quali temi sono stati trattati a Torino e a Oropa?». In pratica, ci è stato risposto, tutti i temi che da anni sono all'attenzione di quanti, all'interno della Chiesa e fuori di essa, attendono di vedere la realizzazione di certi principi fìssati dal Concilio come elementi indispensabili alla riforma della struttura ecclesiale: in primo luogo la collegialità del governo della Chiesa, poi l'affermazione di una maggiore libertà dell'individuo (sacerdote e laico). Questo della libertà è il tema più scottante. Nel comunicato emesso al termine della assemblea di Oropa e pubblicato ieri da « La Stampa », si lamenta che il prete sia « impedito di esercitare responsabilmente i suoi diritti fondamentali di persona umana ». Che cosa si nascon¬ de dietro questa formula? La risposta è semplice e perentoria: « Essere liberi significa, innanzitutto, essere lìberi economicamente: perché non ci è permesso di lavorare, di guadagnarci la vita rinunciando — chi è parroco — alla congrua, e comunque ai benefici della condizione ecclesiastica? Essere liberi significa potersi iscrivere a un sindacato, votare liberamente secondo coscienza. Essere liberi significa scegliere il celibato come vocazione, non come unica forma di sacerdozio. Se nessun prete desidera sposarsi, tanto meglio: ma come risultato di una scelta, non di una imposizione che non i-isale ai primi tempi della Chiesa, non è di istituzione divina ». In ogni modo, ci. precisano, l'argomento del celibato è stato tenuto fuori dalle discussioni di Torino e di Oropa, per non fare assumere al movimento di contestazione un aspetto che sarebbe stato giudicato troppo particolare e l'avrebbe posto sotto un'antipatica luce di scandalo. Ma sono state espresse opinioni scottanti sulla povertà della Chiesa e dei singoli sacerdoti, è stata ribadita l'insoddisfazione per una pratica di governo che continua a emanare i suoi decreti (come le encicliche) senza un vero concorso dei giudizi e delle esperienze di tutto il corpo ecclesiale, a cominciare dai vescovi. Ieri, domenica, festa della Pentecoste, molti di questi preti hanno colto l'occasione per parlare, nelle loro omelie durante le Messe, dello Spirito Santo: e hanno insistito sulla molteplicità delle lingue con cui, dopo la di¬ scesa dello Spirito Santo sugli Apostoli, questi potevano parlare ai primi discepoli. Questa molteplicità è simbolo evidente — secondo i « contestatori » — del pluralismo delle voci che hanno il diritto di levarsi nella Chiesa. E' un linguaggio cui forse 1 fedeli non sono abituati; ma ormai nella Chiesa le voci del dissenso sono molte, e qualcuna autorévole. Molte speranze ha suscitato nei contestatori da noi incontrati ieri la recente intervista del cardinale Suenens, primate del Belgio, che il Times ha definito « un colpo d'ariete teologico »; sono le speranze di chi ha ascoltato con sollievo alla propria angoscia parole come queste: « Quale luogo ideale- d'incontri sarebbe Roma se si trovasse, sotto la cupola di San Pietro, qualche luogo di scambi dove non ci si dovesse giustificare di non essere tutti della stessa opinione ». Abbiamo parlato di angoscia. Un prete « ribelle » ci ha detto: « Che cosa resta a un parroco, certi giorni, se non piangere da solo, fino all'ultima lacrima, per le delusioni, le difficoltà, le incomprensioni della sua vita? ». E' un prete che si batte, nella sua parrocchia « difficile », per avvicinare i lontani, stabilire un dialogo con chi non crede più. Si sente solo in questo sforzo, e giudica — a torto o a ragione — la « struttura » lontana, indifferente ai veri problemi degli uomini e delle donne di oggi. Un altro di questi parroci « dissidenti » ha abolito nella sua chiesa ogni forma di pagamento per battesimi, matrimoni, funerali; non manda il chierichetto per la questua durante la Messa; ha chiesto e ottenuto di poter lavorare. I suoi parrocchiani dicono di non aver mai visto tanto fervore alle funzioni come da quando c'è lui. Forse uno di questi giorni il suo vescovo dovrà mandarlo . a chiamare per chiedergli ragione delle sue idee non perfettamente ortodosse, più o meno le idee del card. Suenens. Giuseppe Del Colle

Persone citate: Concilio, Cristo, Ferrarino, Giuseppe Del Colle, Ottenio