Gelosia all'italiana con Sharif a Cannes

Gelosia all'italiana con Sharif a Cannes Gelosia all'italiana con Sharif a Cannes Noia anche per la commedia jugoslava - Fuori concorso il «Rubliov» di Tarkovski, degno erede di Eisenstein PAL NOSTRO INVIA TO Cannes, lunedì mattina. «Week end» eterogeneo ma intenso alla rassegna di Cannes. AUo statunitense L'appuntamento diretto da Sidney Lumet («La parola ai giurati », « L'uomo del banco dei pegni ») su un copione di James Salter ispirato al romanzo «La virtù sdraiata» di Antonio Leonviola, è facile pronosticare un successo commerciale, presentando la coppia Anouk Aimée-Omar Sharif (niente meno!) er narrando sullo sfondo d'una Roma piuttosto gastronomica che monumentale un caso di « gelosia italiana », destinato a piacere al mercato Interno americano. L'avvocato Federico Fendi resta fulminato dalla visione d'una bella incognita dall'aria smarrita. Saprà poi essere Carla, un'indossatrice d'alta moda, fidanzata al suo amico Renzo. Ma ecco che il fidanzamento è rotto, in quanto da una spilla, un ippocampo d'oro (un pezzo più unico che raro), quel Renzo ha dedotto che la Carla avesse frequentato tempo prima una casa d'appuntamento tenuta da una ruffiana larvata da antiquaria. Accidentaccio. Il Fendi si spacca in due: il causidico che è in lui vuole andare in fondo alla faccenda della spilla ossia accertare l'identità della colpevole; l'uomo invece s'innamora di quest'ultima, detesta il suo alter ego e si augura che non concluda nulla. Così è: la prova della colpevolezza di Carla non esce, e 1 due si sposano. Ma nel cuore dell'avvocato il tarlo del dubbio rode sempre, e la vita dei coniugi risulta intirizzita. Carla, che già quand'era fidanzata sub judiciò aveva teriiato di avvelenarsi, ripete l'atto e questa volta irreparabilmente. Il maledetto geloso, ora vedovo, continua a restar sospeso, finché una telefonata della signora Valadier (la ruffiana) lo fa certo, senz'ombra di dubbio, che la donna della spilla non era la povera Carla. Accidentaccio un'altra volta. Un film campato nel falso, con presa ferrea, totale. TJn irriconoscibile Lumet vi ha trascinato dentro una psicologia da fumetto con dialoghi adeguati, un'Italia di maniera (sia Roma sia il Lago di Bolsena), sfilate d'alta moda (e qui lo ha aiutato bene il costumista Gherardi) e ripetuti patemi ospedalieri. Omar Sharif, coi baffetti, vi compare come il solito « tenore » qui più steccante del consueto: in molti momenti procura ambascia. Sempre fotogenica la Aimée, dai vivi capelli, e tuttora ligia, dopo « Un uomo e una donna », a un romanticismo manierato. Gli altri sono la tedesca Lotte Lenya, Didi Perego, Fausto Tozzi e, per la durata d'un lampo, Paola Barbara in parte di « madre ». Lustrante fotografia a colori di Di Palma. Se appunto perché fatto così L'appuntamento non è noioso e il pubblico della mattina si è divertito a strapazzarlo, lo è invece l'altro film in concorso Bice skoro propast sveta («Piove sul mio villaggio ») scritto dialogato e diretto dallo jugoslavo Aleksandar Petrovic, di cui nel '67 Cannes premiò e levò alle stelle, con qualche eccesso, « Zingari felici ». Come il precedente anche questo film è la storia rapsodica d'un villaggio, nella pianura serba, povero ma ricco di umori, e col privilegio di avere in un ritornante gruppo di avvinazzati canterini un vero e proprio « coro » che tira le morali. Per malanimo contro gli spiriti liberi qual è il porcaro Tricha, alcuni omaccioni del villaggio prima lo ubriacano e poi lo costringono a sposare Gotza, la scema del luogo. Nasce un figlio che il buon padre del porcaro si assume di allevare. A compiere il diabolico del quadro, una sopraggiunta istitutrice, bella e civetta, si permette un capriccio coll'infelice Tricha, e poi lo mette bruscamente da parte per un nuovo amore con un baffuto pilota agricolo che poi a sua volta pianterà lei. Intanto la demente Gotza è trovata sgozzata, e quando più si sospetta di lui, il buon genitore interviene un'altra volta a salvarlo, accusandosi del delitto. Ma una confessione in punto di morte carpitagli da un poliziotto travestito da prete, ristabilisce la verità, e i brutaloni del villaggio acchiappano il porcaro, lo legano come un orso alle funi delle campane e lo fanno così morire per eccesso di dondolìo. L'istitutrice civetta si affaccia alla chiesa, gettandovi la fredda ombra del maligno. Se questo enfatico bozzetto « nero » ha uno sfondo politico, è appiccicato; il regista ci ha dato una replica della sua bravura nel rappre¬ sentare comunità povere e cialtrone, agitate da un demone melodico, e in più una vivida galleria di volti contadini; ma il colpo dell'altra volta, indubitabilmente d'effetto, non gli è riuscito di ripeterlo, e qui la sua tematica, come la sua regìa, mostrano la corda. Bravo il protagonista, il cecoslovacco Ivan Paluch, e così lo jugoslavo Mija Aleksic; mediocre invece e leziosetta Annie Girardot, il prezzemolo di questo festival che l'ha vista tornare sullo schermo per la terza volta. Che Piove sul mio villaggio sia poi desunto, seppur liberamente, dagli « Indemoniati » di Dostoiewski, è una facezia da provinciali. Sin dal 1067, quand'era appena finito, il signor Favre-LeBret, direttore del Festival di Cannes, fece la corte al film sovietico Rubliov, che soltanto quest'anno gli è stalo concesso ma con la clausola restrittiva del «fuori concorso ». Che cosa ha dunque questo film così severamente trattato dalla stampa, dalla censura e dal comitato per la cinematografia sovietica da cui dipende il «nulla osta » per partecipare alle rassegne internazionali? Diretto dà André Tarkovski, l'autore della « Infanzia di Ivan », vincitore « ex aequo » del Leone d'Oro alla mostra di Venezia del 1962, edifica la figura, .semiavvolta nella leggenda, del famoso pittore di icone Andrei Rubliov fiorito nel 14° secolo, e gli fa da sfondo la vita misteriosa e orgiastica del Medio Evo russo, rappresentata con impetuoso realismo nei suoi monaci folli e nei suoi contadini fanatici. Appunto questo sarà dispiaciuto: che il buon popolo sovietico d'oggi dovesse specchiarsi in siffatti progenitori. Ma poi c'è dell'altro. Rubliov, come lo ha intuito stupendamente Tarkovski, è un esempio di artista coerente a sé stesso e fiducioso nei valori dell'uomo nonostante l'atmosfera di violenza che lo circonda: donde i'« attualità'» del suo messaggio, sgradevole agli occhi del censori. Riservandoci di entrare nel meritò dèi film, se e quando, come si spera, passerà anche ai nostri schermi, Rubliov. costruito in otto episodi, più un prologo e un epilogo, e girato prevalentemente in « esterni » (Vladimir, Suzdal, Pskow, Mosca), è un magnifico esempio di « cinema storico » inteso nel senso stilistico-visionario della grande tradizione (Eisenstein, Visconti). Leo Pestelli L'attrice Marlene Jobert entra al Palazzo del Cinema

Luoghi citati: Bolsena, Cannes, Italia, Mosca, Roma, Venezia