Ricordo della Resistenza a Cuneo di Marziano Bernardi

Ricordo della Resistenza a Cuneo Un monumento simbolo di un'epopea collettiva Ricordo della Resistenza a Cuneo Ventiquattro tonnellate di bronzo librate nell'aria sul profilo della Bisalta, la montagna della prima battaglia partigiana (Dal nostro inviato speciale) i Cuneo, giugno. A conclusióne di una vicenda che per quasi otto anni ha interessato gli ambienti artistici italiani e quanti, per la libertà del nostro Paese, diedero alla lotta partigiana sangue, sudore e lacrime, il prossimo 7 settembre sarà inaugurato a Cuneo il monumento alla Resistenza, opera di Umberto Mastroianni. La scelta del giorno non è casuale. Coincide, nella festività domenicale che faciliterà la partecipazione popolare alla cerimonia, con la vigilia di quell'Otto Settembre che vide — da oggi trascorso più di un quarto di secolo, e data quindi per i giovani già « storica » — la scesa in campo di gente che, s'apprestava a combattere, più con la volontà che con le armi, per il riscatto morale della propria dignità umiliata ed offesa. Dignità propria, ma che fortunatamente implicava quella di tutti i connazionali: anche dei pavidi, degli incerti, dei pigri. E ricominciava il Risorgimento. Non si dovette attendere. Dal luogo ove sorge il monumento, nel verde del Parco della Resistenza al fondo di corso Dante, sull'incrocio col viale degli Angeli, fra la selva dei piedritti d'aceiaio che, genialmente studiati dall'architetto Enzo Venturelli, reggono l'enorme massa bronzea si scorgono, oltre l'ampia valle del Gesso luccicante di ghiaieti, lontane le case di Boves. Là il 19 settembre 1943 fu combattuta la prima battaglia ai piedi della Bisalta, montagna sacra dei partigiani, un Atro Monte Grappa. Là si sacrificarono i primi dei «2000 caduti, 1000 assassinati, 1200 invalidi, 1400 deportati» per cui — si legge nella motivazione — Cuneo si fregia della medaglia d'oro al valor militare. Quelle case risorsero dal rogo della notte del 31 dicembre. E non è che imo dei cento episodi della guerra in queste valli. Quando si progettò di dedicare un monumento alla Resistenza in Cuneo, l'insigne storico dell'arte Lionello Venturi dichiarò che « la capitale morale del Partigianato avrebbe dovuto avere un monumento degno di una capitale». Fra due mesi l'avrà. Come si sia giunti a queste 24 tonnellate di bronzo librate nell'aria sul profilo della Bisalta con uno scatto formidabile — forme pensate, artistiche contro forme organiche, naturali, in un voluto significante contrappunto — è ben noto. Dei sessanta progetti presentati nel concorso nazionale del 1962 dieci vennero scelti da una giuria presieduta da Giulio Carlo Argani che invitò gli autori, scultori ed architetti, ad approfondire i loro temi. Emerse dalla seconda gara l'opera di Aldo Calò e M. Manieri Elia, che lasciò perplessa la opinione pubblica locale, anche più disorientata dal fatto che quella gigantesca lastra di bronzo squarciata da una esplosione e sorretta da un basamento architettonico, che avrebbe dovuto simboleggiare la Resistenza, era stata vista alla Biennale veneziana del '62 col semplice, anodino, formalistico titolo di « Piastra »; ciò concordando col commento scritto per il catalogo della mostra dall'Argani «Le lacerazioni improvvise della superficie non nascondono allusioni simboliche né tradiscono lo strazio e il bruciore della ferita: la superficie satura si spacca come la scorza di un frutto maturo, per una spinta dall'interno ». E dunque, dove andava a finire il concetto della Resistenza? Ne seguì una complicata vertenza giudiziaria che liberò da ogni impegno col Calò l'amministrazione municipale di Cuneo. Questa allora si rivolse ad Henry Moore, grande nome mondiale: nessun concorso, facesse lui il monumento. Il celebre scultore inglese ringraziò, rifletté, rifiutò. E fece bene. A parte i suoi impegni, la celebrazione della Resistenza italiana do veva venire da un artista italiano. Così l'invito passò nel 1964 a Umberto Mastroianni il quale, del resto, già aveva presentato, benché con diversa ideazione, uno dei progetti giudicati migliori. E succedere in un invito ad Henry Moore, per qualsiasi scultore vivente non è cosa da poco Mastroianni ne sentì in pieno la paurosa responsabilità. Un artista meno cosciente ed esperto, meno convinto dalla propria visione estetica ripensata e perfezionata in trent'anni di impetuoso audace lavoro, si sarebbe potuto ritrovare schiacciato da questa montagna di bronzo, per la cui fusione, in 70 elementi diversi qui ricomposti, s'è dovuto ricorrere alla più vasta fonderia d'Italia, a Verona. Egli l'ha sorretta sulle proprie spalle. L'ha alzata al cielo fra quest'altre montagne ad indicare una sfida umana agli eventi, un trionfo della volontà sul destino. Per questo l'opera, nella sua strapotente tensione stilistica rigo¬ b rosamente unitaria, ha un aspetto impressionante, sfolgora come una vittoria che nella sua « idea » ha assorbito e quasi reso anonimi gli sforzi degli uomini singoli, dei morti e dei vivi, di coloro che combattevano dal 1922 e di coloro che si disingannarono nel 1943. L'idea e la vittoria della Resistenza. Il nucleo generatore, fantastico d'entrambe, nell'interpretazione plastica di Mastroianni, è l'immagine ed il significato della Bisalta che chiude laggiù l'orizzonte: pre¬ senza trasfigurata con drammatica asprezza, in cui s'annullano quei morti e quei vivi rievocati nell'opera d'arte non da una memoria di forme umane che potrebbero scadere a livello di episodio, ma da dinamici valori di nuda struttura ai quali è affidata l'espressione dell'indomita energia che animò la lotta partigiana. Ed è questa un'altra prova che la scultura dì Mastroianni anche quando rifiuta il « figurare » non è mai scultura astratta perché sempre muove da un'intuizio¬ ne romantica, generosa e appassionata, della realtà dell'uomo e del mondo. Il nostro tempo (e l'arte ne è inevitabilmente lo specchio) sempre più tende a pluralizzare, per non dire « collettivizzare »,' pensieri e azioni, sforzi e risultati: si rifletta sulla qualità del lavoro che porta alla conquista spaziale; un uomo sol?» quasi cinque secoli fa scopriva un continente, oggi cooperano centomila uomini per scoprire il cosmo. Scompare l'individuo nel formicaio delle masse, scompare l'eroe dai cieli dell'arte, che sembra ritornare con le sue iterazioni formali all'anonimato dei costruttori medioevali. Perfino la guerra orrenda non può sintetizzarsi in un solo eroe, che l'età dei Napoleoni è finita. Perfino la Resistenza conobbe innumerevoli coraggiosi. Perciò simbolizzarla con una figura umana, Madre, Caduto, Sacrificio, Speranza, insomma con una statua o un gruppo di statue alla Borghesi di Calais, sarebbe stato oggi un non senso, e per di più un rischio di retorica. Di qui la progressiva metamorfosi del monumento statuario nel monumento architettonico. E da vent'anni, dalla Nuvola a Hiroshima, l'opera di Mastroianni segue questo criterio, che nel bronzo di Cuneo articolato in tre masse su una dimensione di 20 metri per 17, trova la sua superba catarsi. Marziano Bernardi 1 Cuneo. Il monumento alla Resistenza opera dello scultore Umberto Mastroianni (Bedino)

Luoghi citati: Boves, Cuneo, Hiroshima, Italia, Verona