Il padre aveva lasciato a Felice Riva tutte le azioni della società Valle Susa di Gino Mazzoldi

Il padre aveva lasciato a Felice Riva tutte le azioni della società Valle Susa CLAMOROSA DEPOSIZIONE AL PROCESSO DI MILANO Il padre aveva lasciato a Felice Riva tutte le azioni della società Valle Susa Lo ha rivelato ieri in aula un consulente dell'Imi (Istituto mobiliare italiano) - Alla notizia il fratello Vittorio si è sbiancato in volto ed ha detto: «Finalmente si è saputo come stanno le cose» - Perché non venne concesso il finanziamento di dìciotto miliardi (Dal nostro corrispondente) Milano, 26 giugno. D fitto mistero sulla effettiva proprietà delle azioni del VaUe Susa è stato svelato stamane al processo contro Felice Riva e gli altri 16 ex-amministratori del cotonificio fallito: un consulente deU'Imi ( Istituto Mobiliare Italiano) ha dichiarato che l'unico ad avere la completa disponibilità del pacchetto azionario era Felice Riva. Lo aveva deciso suo padre prima di morire. Fino ad oggi nessuno era stato in grado di affermare questo: nemmeno il fratello Vittorio, che quando ha appreso la verità si è sbiancato in volto ed ha sussurrato a denti stretti: « Finalmente si è saputo come stanno le cose». Felice Riva, dunque, non si era appropriato del pacchetto azionario, come era sembrato finora, a danno degli altri soci, ma suo padre, che credeva di fare del figlio un abile capitano d'industria, gli aveva messo nelle mani un ingente patrimonio senza tener conto degli altri figli. Con le affermazioni fatte oggi cade anche la tesi secondo la quale la maggioranza del pacchetto azionario apparteneva ad altri gruppi internazionali. Il teste che ha fatto l'importante rivelazione è U dott. Arnoldo Marcantonio, un noto commercialista consulente dell'Imi, che ha spiegato la tecnica usata dal cavaliere del lavoro Giulio Riva, per favorire il suo primogenito che avrebbe dovuto continuare la sua opera. « Le azioni del Valle Susa — ha detto il teste — erano un milione: 909 mila 91 di queste erano intestate a tre società del Liechtenstein che le avevano depositate presso il Credito Svizzero di Lugano. Esisteva però un "patto fiduciario" dal quale risultava che in realtà erano proprietà di Felice Riva ». Il presidente dott. Bianchi D'Espinosa ha pregato a questo punto il teste di spiegare che cosa fosse questo « patto fiduciario ». « Tutte le società svizzere — ha detto il dott. Marcantonio — che abbiano un capitale di almeno 50 mila franchi e con azioni al portatore, possono stipulare con stranieri dei "patti fiduciari", in base ai quali figurano come proprietarie di azioni acquistate attraverso il mercato borsistico: la effettiva disponibilità di- queste azioni è però del mandante che ne gode tutti i diritti, proventi e dividendi. La società svizzera in pratica riceve solo una commissione regolarmente pagata: non corre alcun rischio né deve sopportare oneri. Il fisco della Confederazione, infatti, si rivale sullo straniero che ha stipulato il "patto fiduciario". Nel caso del Valle Susa, il "patto fidu¬ ciario" era stato sottoscritto da Giulio Riva e alla sua morte rinnovato a nome del figliò Felice ». Era logico che il presidente, visto che finora sulla proprietà del pacchetto azionario non si era mai potuto sapere nulla di preciso e si era persino pensato che Felice Riva se ne fosse impossessato arbitrariamente, cercasse di sapere come effettivamente il pacchetto azionario era finito nelle mani del giovane industriale. « E' stato suo padre a volerlo: ho potuto prendere visione di un documento nel quale Giulio Riva stabiliva che le azioni del Valle Susa alla sua morte dovevano passare al primogenito». E' stato a questo punto, che Vittorio Riva che aveva seguito attentamente la deposizione del dottor Marcantonio ha mormorato: « Final¬ mente sappiamo la verità ». Il giovane era pallidissimo e visibilmente emozionato. Sulla richiesta del finanziamento dei 18 miliardi aveva avuto inizio l'udienza odierna e tutti i quattro testi convocati dal Tribunale non hanno risparmiato critiche severe a Felice Riva. Il primo a deporre è stato l'avv. Giorgio Giuxzzugli-Marini. un alto funzionario dell'Imi che già era stato sentito martedì scorso: « Quando l'ex amministratore delegato del Valle Susa chiese l'intervento dell'Imi, l'ente pubblico gli aveva dato tempo 11 giorni per decidere sulle nostre richieste, che consistevano in garanzie personali e nel suo allontanamento dall'azienda. Il termine scadeva il 12 agosto 1965: Felice Riva però non si fece vivo ». « Nel settembre del 1965 — ha detto ancora il teste — venni a Milano d'urgenza per trattare un finanziamento di 800 milioni che dovevano servire per paghe arretrate: il mio incontro con Felice Riva si svolse in una strada del centro, perché l'amministratore delegato doveva recarsi ad un altro appuntamento. Gli parlai paternamente e cercai di convincerlo a fornire le garanzie di due sue società finanziarie, la " Epi " e la " Sfise ", nell'interesse degli ottomila dipendenti del Valle Susa. La risposta di Felice Riva fu negativa e senza alcuna motivazione ». Quanto dichiarato dall'avvocato Giorgio Guazzugli-Marinì è stato confermato anche dal teste successivo, il cavaliere del lavoro Silvio Borri che fu direttore dell'Imi fino al luglio 1968 e ora fa parte del consiglio di amministrazione.« Felice Riva venne da me, per avere 18 miliardi, nel febbraio del 1965 accompagnato dall'on. Donat-Cattin: parlai della possibilità di un finanziamento al governatore della Banca d'Italia Guido Carli e relazione sulla situazione del con la Eti (Esercizi tessili industriali) che gestisce ora gli stabilimenti del Valle Susa Fu dato allora incarico al dott Marcantonio di preparare una cotonificio, in quanto fra l'altro il presidente dell'Imi aveva ricevuto una lettera da parte della sorella di Felice Riva, la signora Ida Dragone che chiedeva venissero tutelati anche i suoi interessi». Il processo riprenderà martedì prossimo. Gino Mazzoldi »

Luoghi citati: Lugano, Milano