Adolfo Meciani è morto ieri ai Pisa La moglie grida: «L'avete sulla coscienza »

Adolfo Meciani è morto ieri ai Pisa La moglie grida: «L'avete sulla coscienza » SI ERA IMPICCATO IN CARCERE 46 GIORNI OR SONO Adolfo Meciani è morto ieri ai Pisa La moglie grida: «L'avete sulla coscienza » Si è spento alle 3,05 della scorsa notte - DalP8 maggio, giorno in cui attuò il tragico gesto, non ha più ripreso conoscenza - «Eri innocente e sei finito così» ha mormorato la giovane consorte abbracciando la salma del marito all'Istituto di Medicina legale - Non vuole che si facciano i funerali pubblici Un tragico interrogativo: era innocente? (Dal nostro corrispondente) Viareggio, 24 giugno. Questa notte alle 3,05, dopo quarantasei giorni di coma, Adolfo Meciani è spirato. Un infermiere ha chiamato il medico di guardia. Il dott. Rappazzo ha fatto appena in tempo a cogliere l'ultimo respiro del morente. Già da ieri séra le condizioni dell'uomo apparivano ormai all'estremo. La sorella Elisabetta, che si era recata a fargli visita, era ri tornata a Viareggio ormai convinta di non rivederlo più vivo. Per questo aveva lasciato un numero di telefono agli infermieri, perché l'avvertissero, qualsiasi cosa accadesse. L'aveva scritto su un foglietti), che aveva poi messo sotto" il cuscino di Adolfo. E' stato il suo telefono a squillare per primo, verso le 4, per la tragica notizia. Quaranta minuti dopo alla clinica di S. Chiara giungeva una « 125 » bianca. Dalla macchina scendevano Marcella Meciani, il fratello di lei Arturo, la sorella di Adolfo ed il legale di famiglia, avv. Pieraccini. Marcella Meciani è balzata a terra, di corsa si è diretta verso il Centro di rianimazione. Stringeva fra le dita una sigaretta che non fumava ed entrando nel reparto si è messa a gridare: «Non me l'hanno fatto vedere da vivo e ora nemmeno da morto; dov'è? Ditemi dov'è! ». Ma la salma di Adolfo non si trovava più al Centro di rianimazione: dopo una breve sosta nella cappella dell'ospedale, era stata composta al- l'obitorio dell'Istituto di medicina legale. La povera donna, che era stata indirizzata alla cappella mortuaria, ha trovato anche qui la porta chiusa. Ha vagato come una pazza per i corridoi interni e per i viali dell'ospedale, e finalmente un cronista lira accompagnata al'Istituto di medicina legale. E' giunta fino al cancello dove c'è scritto « depositario » e si vi è gettata contro, ancora piangendo e imprecando: « L'avete tutti sulla coscienza ». Alle 5,10, dopo mezz'ora di attesa, suor Giuseppina del servizio notturno di farmacia si è incamminata con Marcella Mecia-ni ed Arturo verso le sale dell'istituto. Erano le 5,15 quando Marcella e la sorella di Adolfo, che nel frattempo l'aveva raggiunta, sono entrate nell'obitorio. Il fratello Arturo è rimasto fuori. Il cadavere era sul piano di marmo, avvolto in un lenzuolo. La moglie si è avvicinata, lo ha scoperto, lo ha abbracciato e baciato più volte continuando a dire: « Eri innocente e sei finito così ». Alle 5,20 l'obitorio è stato richiuso. Cinque minuti soltanto sono stati concessi alla moglie per vedere la salma del marito. Uscita, Marcella Meciani non piangeva più. Camminava dritta, il volto contratto, livido. Ha gridato a tutti i presenti: « JVon lo deve toccare nessuno, non voglio che 10 tocchi nessuno ». Alle sei è arrivato il dott. Bandettini, il medico che aveva avuto in cura Adolfo Meciani nella clinica di Mozzano. Poco dopo sono venuti via tutti. Il ritorno a Viareggio è stato affannoso. Marcella Meciani è rimasta muta. A casa, si è rinchiusa nella sua camera col figlio Alessandro. Per un'ora non ha risposto a. nessuno. Non ha aperto a nessuno, nemmeno alla madre che voleva darle un po' di caffè. Quando è scesa in sa-* lotto, era già vestita di nero. Con calma, la donna, ha ri-^. sposto alle domande dei fa-: miliari e del legale, ai tanti amici che avevano già affollato la casa; ha dato subito disposizioni per quello che c'era da fare. Il fratello Arturo è stato incaricato dì recarsi al carcere Don Bosco a ritirare tutti gli effetti dì Adolfo, la sorella Elisabetta di portare a Pisa l'abito per rivestirlo. E Marcella ha scelto il vestito per l'ultimo viaggio del marito: quello color antracite, con il quale si era sposato. Nelle tasche ha riposto una fotografia sua e una del piccolo Alessandro. Poi, rivolgendosi all'avvocato, ha disposto che i funerali di Adolfo non si faranno. « Non voglio che siano cattivi con lui, come hanno minacciato di fare. Non voglio che accada qualche cosa di spiacevole», ha esclamato con un gesto di sconforto. La salma del Meciani rimarrà all'obitorio di Pisa. Marcella non vuole che per 11 momento sia portata a Viareggio. Soltanto domani mattina, quando lei sarà ritornata nella vicina città e dopo che il prof. Domenici avrà eseguito l'autopsia, la farà trasportare al cimitero di Viareggio. Aldo Valleroni Muore, con Adolfo Meciani, ìl protagonista numero uno del « giallo » Lavorini. Numero uno non perché fosse il responsabile principale: non si sa nemmeno se fosse colpevole di qualcosa. Il giudice dott. Mazzocchi aveva spiccato contro di lui, il 9 maggio scorso, cioè il giorno dopo in cui si era impiccato nel carcere di Pisa, un mandato di cattura per occultamento di cadavere, ma non si può sapere quale sarebbe stata la decisione del magistrato a conclusione dell'istruttoria, perché con la morte dell'imputato si estingue l'azione penale a suo carico. Meciani era il protagonista numero uno per la sua notorietà a Viareggio e perché trascinato nella vicenda dall'accusa di giovani — prima Marco Baldisseri, poi Andrea Benedetti, infine Rodolfo Della Latta — i quali, nelle loro successive versioni accusatorie, gli avevano fatto coprire ruoli sempre più gravi e sempre più foschi, mettendolo al centro di presunti balletti verdi con la partecipazione di ragazzini da luì stesso corrotti. E un'accusa di questo genere aveva suscitato ancor più sorpresa e morboso interesse in quanto il Meciani, proprietario dello stabilimento balneare « La Pace », era stato conosciuto fino allora per un uomo niente affatto incline al mondo degli anormali, ma piuttosto dedito all'ammirazione del sesso gentile, oltre che alla passione del poker. Alto, leggermente curvo, biondo, il naso pronunciato, il tratto distinto e il fare flemmatico, Meciani aveva dunque la fama del dongiovanni e del giocatore che sa calcolare con freddezza le proprie mosse. Quando « Foffo » Della. Latta ..lo accusò-di avere partecipato all'orgia, nella, quale. Ermanno Lavorini trovò la morte, la curiosità e l'interesse su di lui aumentarono a dismisura. Per Marco Baldisseri e per Andrea Benedetti egli si era soltanto occupato dèi seppellimento del cadavere del povero Ermanno che, a sentir loro, era morto a Marina di ■Vecchiano in seguito a una lite per una raccolta di bossoli. Per- 4L Della Latta, invece, era staio lo stesso Meciani ad uccidere il ragazzo nel carso dì un convegno turpe. Modalità e ubicazione di questo incontro variarono molte volte a seconda delle versioni: egli avrebbe preso a pugni Ermanno mentre era trattenuto da Marco,, perché non voleva sottostare ai suoi voleri, e poi lo avrebbe soffocato con un cuscino perché non gridasse; lo avrebbe ucciso praticandogli una iniezione di droga e il fatto sarebbe accaduto ora nello stesso alloggio del Meciani, ora in quello sottostante, ora nella villa di Rita Verdi. E, sempre secondo i vari racconti di « Foffo », al tragico fatto sarebbero stati presenti ora soltanto i ragazzi e il Meciani, ora anche altri adulti, tra cui Giuseppe Zacconi. Adolfo Meciani ha sempre negato ogni addebito, ammettendo soltanto una circostanza: di essersi incontrato nel tragico pomeriggio del 31 gennaio, circa alle 19, nella pineta di ponente, con Marco Baldisseri il quale era anche salito sulla sua auto rossa, l'Alfa Duetto. Il giocatore di poker, sempre sicuro di sé aveva avuto, in marzo, un esaurimento nervoso. Il giorno 9 di quel mese era stato scoperto, sotto pochi palmi di sabbia a Marina di Vecchiano il cadavere del Lavorini. Le indagini avevano ripreso un nuovo, serrato ritmo. Sui giornali si parlava di una macchina rossa e di un uomo di 40 anni sui quali si puntavano dei sospetti. Meciani aveva 40 anni e la Duetto rossa. Era agitato, avrebbe voluto prender contatto con gli inquirenti per dire che non c'entrava, ma aveva paura. Si recò da un avvocato a chiedere consiglio e il legale gli disse di presentarsi all'autorità, ma lui non lo fece. Andò da un medico per una cura e il medico lo mandò alle « Ville » di Nozzano, una clinica per le malattie nervose. Entrato verso la fine del mese di marzo, rimase ricoverato una ventina di giorni. Fu sottoposto a sette elettrochoc; ma era libero di uscire quando voleva - e, infatti, talvolta saliva in auto con la moglie e andava a fare una gita fino a sera. Si dice che in quel periodo abbia tentato due volte il suicidio, ingerendo dei barbiturici e facendo l'atto di gettarsi da una finestra. Dimesso il 17 aprile, tornò a casa giusto in tempo per sentirsi convocare dai carabinieri. Il 19 entrò nella caserma e vi rimase fino all'indomani. Rilasciato, fu di nuovo fermato il 25 per le continue chiamate di correo da parte di Marco Baldisseri. Il 27 sera, nell'ufficio del cancelliere, nel carcere di Pisa, afferrò un tagliacarte e cercò di piantarselo nel petto. La notte stessa fu rilasciato e l'indomani accettò un incontro con i giornalisti, nel suo elegante alloggio dì quartiere Duca d'Aosta 13, a «Città giardino». Fu una schei maglia combattuta da parte sua con coraggio misto ad emozióne. « Conosceva Andrea? ». « Mai visto ». « Conosceva Baldisse¬ ri? ». «Non posso dirlo, segreto istruttorio ». « Si incontrò con i ragazzi il 31 gennaio? ». « Non posso dirlo ». «Di che cosa lo accusano?». « Non posso dirlo ». Le mani gli tremavano, i suoi occhi cercavano il conforto degli occhi dell'avvocato e di quelli della moglie che gli stavano al fianco. Sua moglie, Marcella Farnocchia, 25 anni, aveva invece molta sicurezza di sé. Si stringeva a lui, affermava con voce sicura: «Non mi sono mai preoccupata minimamente, io non ho dubbi su mio marito, sono convinta che queste accuse sono tutte false». Non ha mai cambiato parere, questa donna. In tutto il tempo durante il quale il Meciani era in ospedale, larva d'uomo, lei ha battagliato in sua difesa. Anche contro il parere dei tre difensori, ha convocato una conferenzastampa per accusare chi, secondo lei, aveva permesso che suo marito potesse attuare il disperato gesto dell'impiccagione. «Io so che è innocente — diceva -4 e voglio che lo sappiano tutti. Lo faccio per il nostro bambino, Alessandro ». Ora è rimasta sola con Alessandro, che ha 17 mesi, a combattere contro le accuse dette, modificate, ritrattate, ma che comunque restano con la loro pesante ombra. Ha già incaricato gli avvocati di sporgere delle denunce di calunnia e di costituirsi parte civile per riabilitare il marito. La morie di Meciani è un'altra tragica tappa del « giallo » Lavorini; la soluzione oggi è forse più lontana di ieri. Remo Lugli Adolfo Meciani, è morto dopo 46 giorni di agonia