I difensori vogliono dimostrare che il «passivo» di Riva è un «attivo» di Giampaolo Pansa

I difensori vogliono dimostrare che il «passivo» di Riva è un «attivo» MA ALLORA PERCHE È FALLITO IL «VALLE SUSA»? I difensori vogliono dimostrare che il «passivo» di Riva è un «attivo» Scatenata la « battaglia delle cifre » contro il curatore fallimentare - Dai conti dei legali dell'industriale risulterebbe un residuo attivo di sette miliardi - Ma il curatore ribatte che molte di quelle cifre esistono solo sulla carta e non sono trasformabili in moneta sonante Finora, sui 34 miliardi dell'attivo (la difesa pretende che ve ne siano 50) ne sono stati realizzati 13 - E il passivo è di 43 miliardi (Dal nostro inviato speciale; Milano, 13 giugno. Ma insomma, di che morte è morto il « Valle Susa »? E' ■vero che il Cotonificio aveva un attivo di 7 miliardi? E se è vero, come mai è fallito? Sono domande che sorgono spontanee dopo il primo round della «battaglia del passivo » scatenata stamane al processo Riva dal combattivo battaglione dei difensori in direzione di una vittima ben precisa: il curatore del fallimento, dottor Alberto Gambigliani-Zoccoli, uno dei più noti commercialisti milanesi. Anticipiamone subito l'esito per vedere che giudizio si può dare.» Dunque, tradotta in soldoni e cercando di interpretare i misteri fallimentari di cui questo processo è strapieno, la faccenda è così. Da una parte c'è il curatore del fallimento che, ragionando a bocce ferme e attenendosi a quello che sino ad oggi ha realizzato o che può realizzare, ha sempre parlato (sulla base delle valutazioni dei periti fallimentari) di un attivo di circa 34 miliardi contro un passivo di 43. Quindi un « buco » di 9 miliardi che, per un errore materiale sul capo di imputazione, è divenuto di 12 miliardi. Dall'altra parte ci sono invece i difensori di Riva e degli altri imputati che stamane, elencando tutte le attività possibili del «Valle Susa», hanno 'affermato che l'attivo del Cotonificio arriva a ben 50 miliardi contro i 43 del passivo. Quindi, per i difensori, nessun « buco », anzi un residuo di attività di ben 7 miliardi. Cosa deve pensare di queste cifre il lettore? E' lecito porsi la domanda: ma allora, se c'erano questi 7 miliardi, perché il « Valle Susa » è fallito? Intanto — ci spiegano gli esperti di queste cose — un'azienda può benissimo fallire anche se l'attivo supera il passivo. Capita quando l'attivo è di difficile smobilizzo, cioè non può essere realizzato con la celerità necessaria per pagare i debiti che aumentano e che incalzano. E poi spesso questo attivo è fatto di «voci» molto astratte, difficili da trasformare in moneta sonante: edifici, macchine e impianti valutati miliardi ma che nessuno vuole comprare o è 'disposto a comprare solo per molto meno, crediti difficili da riscuotere e incassabili solo dopo lunghe liti giudiziarie. Sembra proprio questo il caso del « Valle Susa », un caso quasi classico di attivo parzialmente astratto e impalpabile. Tanto è vero che dei 50 miliardi iscritti, secondo gli avvocati, nella colonna dell'« avere», sino ad oggi il curatore è riuscito a ricuperare poco più di 7 miliardi (5 miliardi e mezzo con la vendita di merci, uno e mezzo con la vendita di immobili e 250 milioni di crediti ricuperati) oltre ai sei miliardi circa — per di più in parte ancora da realizzare — della transazione di Felice Riva. A tutt'oggi quindi, nell'ipotesi migliore, un incasso di 13 miliardi, al massimo di 13 miliardi e mezzo contro un passivo di 43. Nessuna rivelazione E' in queste proporzioni che vanno viste, ci sembra, le cifre elencate oggi in tribunale. Nessuna meraviglia, quindi, nessuna rivelazione clamorosa, e soprattutto nessun errore del curatore: i conti sono sempre stati giusti. Il « Valle Susa » è morto perché chi lo dirigeva, cioè Felice Riva, avrebbe dovuto fare un altro mestiere. E la « battaglia del passivo » è riportante solo ai fini proctssuali penali. Se il tribunale si convincerà che c'era davvero un attivo sia pure del tutto teorico di 7 miliardi, potrebbe anche cadere l'accusa di bancarotta: gli imputati dovrebbero essers cioè liberati dall'accusa di aver causato il dissesto dell'azienda cagionando un passivo ingiustificato di 12 miliardi come risulta dal capo d'imputazione. Come si vede, siamo in pieno mistero fallimentare. Eppure l'udienza di stamane era cominciata con una notizia chiara, alla portata di tutti. che faceva quasi allegria: l'annuncio che il Pubblico Ministero aveva chiesto il sequestro conservativo penale del panfilo di Felicino. Il panfilo è un magnifico « Baglietto » chiamato « Faella », all'ancora a Santa Margherita e battente, manco a dirlo, la bandiera del Panama, essendo intestato ad una società dall'esotico nome di « Feluragica ». C'era comunque più di un elemento che faceva intravedere dietro questa strana società ì capelli rossi del ragionier Felice. Subito dopo (erano le 9,20) è salito sul podio il dottor Gambigliani - Zoccoli, primo, dei quaranta testi. Il suo interrogatorio è durato quasi tre ore e occuperà anche tutta l'udienza di domani. Un interrogatorio tormentatissimo, con il curatore martellato continuamente ai fianchi da una decina di difensori, a dimostrazione che fare il curatore di grossi fallimenti sarà magari molto redditizio, ma è certo anche molto scomodo. Il curatore ha cominciato raccontando delle cause del fallimento, distinguendole in « esterne » e « interne ». Quelle esterne avevano che fare con la situazione generale: la crisi dei tessili, ormai arcinota, l'aumento dei salari e dei contributi. Fra quelle interne ci fu invece soprattutto il programma di ammodernamento degli impianti del cotonificio. Un quadro nero Presidente — Questo programma era già stato formulato dal cavalier Giulio Riva, padre del ragionier Felice? Teste — Sì, ma allora si trattava di un investimento modesto,- di circa un miliardo e mezzo, un miliardo e 700 milioni. Dopo (cioè con Felice Riva) assunse proporzioni maggiori: un investimento di 14-15 miliardi senza che fosse stato predisposto un piano di finanziamento e di ammortamento adeguato. Il « Valle Susa » trovava i soldi ricorrendo principalmente al credito ordinario, purtroppo a termine non stabilito, per cui le banche potevano ritirarglielo in qualsiasi momento... Presidente — Poteva essere interrotto questo programma di ammodernamento? Teste — Sì: quando si ammoderna una serie di impianti, nulla vieta che il programma possa essere sospeso in qualcuno degli stabilimenti del gruppo, contenendo così le spese generali. Invece al « Valle Susa » non seppero ridimensionare il piano di ammodernamento sulla base delle disponibilità finanziarie. E non solo Felicino non seppe fermarsi in tempo, ma continuò a fare castelli in aria quando ormai la barca affondava. « La recessione non avviene di colpo — ha osservato Gambigliani-Zoccoli —, si manifesta lentamente e l'imprenditore,, sensibileKje responsabile sé né accòrge... ». Il ragioniere, invece, non doveva essere né sensibile né responsabile. Felicino continuò infatti a comprare macchine su macchine anche quando la recessione era ormai in casa e il « Valle Susa » scricchiolava, e ritardò di quasi un anno la richiesta di amministrazione controllata per la quale l'azienda era già matura alla fine del 1964: un ritardo che pregiudicò le ultime speranze di salvezza. Un quadro piuttosto nero delle capacità imprenditoriali del nostro ragioniere, un quadro che il curatore ha ricavato dalla lettura di una montagna di carte. Meno facile risulta invece leggere, i m11111 i 11 i1111111 ; 11111111 i 111111111 il 111111111 ti i ! 11 ;i 111 ti 11111111111111111:1111111111111 » 11111 ti 11 f ! 111: ; i m i m11111 [ 11111111111111111:11111m1111i 111111111uiu s i sempre sulle stesse carte, la consistenza del passivo e dell'attivo del cotonificio. Ed è qui che si è scatenata la battaglia dei difensori. Teste — Il passivo del « Valle Susa » è di circa 43 miliardi. Per quanto riguarda l'attivo i periti fallimentari lo hanno stimato in 34 miliardi e 546 milioni. Questa cifra riguarda il macchinario, gli immobili, le merci. Ad essa va nominalmente aggiunto il ricavo della transazione e si. va quindi a circa 40 miliardi teorici di attivo... Scattano i difensori Presidente — Perché parla di attivo « teorico »? Teste — Perché sino ad oggi i 27 miliardi che dovrei ricavare dalla vendita degli stabilimenti non li ho realizzati. Speriamo nell'asta del 16 giugno, ma sino ad oggi nessuno si è presentato. Ho invece venduto merce per 5 miliardi e mezzo, più qualche immobile... E' a questo punto che i difensori di Riva e compagni scattano. A loro non importa nulla che l'attivo sia « teorico » o « pratico », cioè che si possa realizzare o no. A loro importa solo di dimostrare che non c'è il « buco » di 12 miliardi di cui parla il capo di imputazione, e che quindi l'accusa di bancarotta è, almeno sotto questo aspetto, infondata. E incolonnano una serie di cifre, la cui esistenza viene ammessa anche dal curatore. Il quale però fa osservare più volte e con molta decisione che si tratta soltanto di numeri scritti sulla carta e basta. Eccole in fila, queste cifre, arrotondate per comodità: 34 miliardi e mezzo per impianti, immobili e beni; 7 miliardi e mezzo di crediti; 6 miliardi della transazione; 2 miliardi di depositi in garanzia. Totale: un attivo di 50 miliardi, contro un passivo di 43. Ma è un attivo, insiste il curatore, molto teorico. I crediti del « Valle Susa », ad esempio, sono reali ma in gran parte impossibili da riscuotere o sono contestati dai debitori e incassabili solo attraverso infinite beghe giu- diziarie. Poi ci sono gli stabilimenti valutati 27 miliardi e mezzo ma per i quali finora c'è un'offerta che è solo di un terzo, cioè di 9 miliardi. Anche i depositi in garanzia vanno aggiunti all'attivo solo per una parte minima: «E poi non ricordo quanti sono esattamente — dice il curatore —, non sono un cervello elettronico...». Gambigliani-Zoccoli forse non si aspettava un attacco del genere, ma risponde sempre con decisione. Del resto lui si è trovato di fronte ad un compito difficilissimo. Teste — Nel valutare l'attivo e il passivo ho dovuto spesso abbandonarmi alle congetture. Da una parte, infatti, non ho realizzato l'attivo, dall'altra ci sono ancora 150 creditori che si oppongono al passivo, perché ritengono che il «Valle Susa» deve dargli di più'.. Difensori, (scattando) — Bene! Si prenda atto che ha parlato di congetture... E su questo, in pratica, è finito il primo round della « battaglia dèi passivo ». Domani ci sarà il secondo. Si parlerà di questi crediti difficili da. incassare. Dei depositi in garanzia. E anche del valore dei marchi di fabbrica. E vedremo assieme altri documenti: il presidente Bianchi d'Espinosa ha infatti disposto che il curatore esibisca i volumi contenenti le stime fatte da 20 periti. Montagne di documenti incombono su di noi e rischiano di travolgerci tutti. Tutti, tranne uno, beninteso: tranne Felicino che, secondo notizie freschissime, si sta abbronzando al sole di mezzo giugno sulle splendide spiagge libanesi. Giampaolo Pansa (A pagina 5 - Solo sedici giorni per risolvere il problema del «Valle'Susa». Oltre 5 mila dipendenti rischiano la disoccupazione).

Luoghi citati: Milano, Panama