Dallo Jonio con pistola di A. Galante Garrone
Dallo Jonio con pistola Dallo Jonio con pistola (La vicenda dell'onore vendicato 10 anni dopo) Due coniugi, sposati da sei anni, partono dall'estremo lembo della Sicilia sud orientale alla volta di Mila no* per uccidere un tale che, prima di quel matrimonio, aveva avuto una relazione intima con la donna: un delitto meditato e preparato a freddo, con ripetuti viaggi in aereo, appostamenti, tranelli. Il malcapitato, ferito dall'uomo con tre colpi di pistola a bruciapelo, e accoltellato dalla donna, è in fin di vita. Riesce difficile immaginare un misfatto più assur do e insensato. Non si può tecnicamente parlare del «delitto d'ono re», previsto dall'art. 587 cod. pen.: il quale assicura la quasi impunità a chi uccide o ferisce il coniuge, la figlia o la sorella (o il loro compagno) «nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dal l'offesa recata all'onor suo o della famiglia». Infatti la relazione della donna col commerciante di Pachino era un episodio esauritosi ancor prima del matrimo nio, tale pertanto da non poter costituire offesa al l'« onore » di un coniuge ancora di là da venire. Senza contare che le modalità stesse del delitto esclude rebbero in questo caso l'elemento della immedia tezza della reazione che, sia pure inteso in senso non assoluto e letterale, è ri chiesto dall'art. 587. Ma, fatta questa distinzione, dobbiamo riconosce re che la matrice del delit to è sempre la stessa, e va cercata in un distorto concettar dell'onore, in una bar barica mentalità che con sente, e quasi impone, Vad sassinio come riscatto del la violata onorabilità di una persona o della sua famiglia. Una mentalità trasmessa da remotissime usanze, ancor viva, come relitto ancestrale, in alcune zone socialmente arretrate, e purtroppo ammantata, in qualche aula giudiziaria, di rancida retorica; ma anche mentalità che, se Dio vuole, va perdendo terreno ogni giorno, anche là dove con più tenacia si annidava. Ci si comincia ad accorgere del viluppo di pregiudizi che sta al fondo di tali delitti: una particolare integrità anatomica della donna scambiata per integrità morale; uno stolido furore di odio e di « vendetta » nei confronti di chi, in tempi passati e lontani, ha avuto rapporti con la donna a cui poi ci si è uniti; la moglie considerata oggetto, cosa posseduta, strumento e succuba del marito, non persona umana, di pari dignità e libertà; l'esteriore «rispettabilità » assunta a regola suprema della vita associata; la mascolinità innalzata a prova di carattere. Anche un delitto come quello d'oggi sembra affondare le sue radici in questo fermentare di bassi istinti. E' una mentalità non ancora definitivamente debellata. C'è tuttora chi, magari a mezza voce, va mendicando scusanti o addirittura si sforza di nobilitare i moventi. Di fronte al serpeggiare di queste larvate indulgenze, non basta affidarsi al naturale evolversi del costume. Anche i legislatori e i giudici debbono fare qualcosa. E' lamentevole che i primi non abbiano ancora attuato una semplicissima riforma, già invocata da queste colonne una decina di anni fa: l'abolizione dell'art. 587. E quanto ai secondi, c'è da augurarsi che siano inflessibili nel non riconoscere, nella « causa d'onore » solitamente tirata in ballo in casi del genere, una circostanza attenuante: né quella dell'art. 62 n. 1 («l'avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale»), né quella dell'art. 62 n. 2 cod. pen. (« l'aver reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui»). Non ci sembra affatto paradossale dire che, in taluno degli episodi siffatti, sarebbe piuttosto da ravvisarsi una circostanza aggravante: quella dell'a averè agito per motivi abietti o futili» (art. 61 n. 1 cod. pen.). A. Galante Garrone
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