«Dal Ricci al Tiepolo» un secolo di capolavori di Marziano Bernardi

«Dal Ricci al Tiepolo» un secolo di capolavori S'inaugura a Venezia la mostra sulla pittura del '700 «Dal Ricci al Tiepolo» un secolo di capolavori (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 6 giugno. La grande, magnifica mostra che con il titolo « Dal Ricci al Tiepolo » riunisce quasi duecento dipinti e disegni di maestri della figura (esclusi cioè i paesisti e i « vedutisti ») del Settecento a Venezia, e che s'inaugura domani nelle sale del Palazzo Ducale, chiuderà il ciclo delle prestigiose rievocazioni della pittura veneta iniziatosi nel 1935 con l'esposizione a Ca' Pesaro di cento capolavori di Tiziano? Intanto abbiamo sott'occhio, in un panorama che Pietro Zampetti ha delineato con la consueta chiarezza, l'altro aspetto — complementare ed in un certo senso opposto al « vedutismo » che incantò il pubblico due anni fa — della pittura del Settecento veneziano. Sono i «figuristi »; specificatamente i pittori di soggetti sacri, biblici, mitologici, storici, i ritrattisti, i descrittori (e si potrebbe dire i cronisti) del costume veneziano accentrato in modo particolare sulle « figure ». Non un panorama, s'intende, che ambisca a una completezza da dizionario o tenda a minute scoperte. Bensì — secondo l'avvertimento dello Zampetti nel poderoso catalogo illustrato ch'egli ha magistralmente curato con la collaborazione, per la bibliografia, di Ileana Chiappini di Sorio, Lina Frizziero, Lucia Casanova Bellodi — un'ampia scelta di quei pittori sui quali si imperniano i fatti salienti che determinarono nel Settecento pittorico veneziano il mutamento del gusto e l'affermazione di nuove idealità. Questi protagonisti, compresi fra la data della nascita, 1659, di Sebastiano Ricci a Belluno, e le date delle morti, 1804 e 1813, a Venezia di Gian Domenico Tiepolo e di Alessandro Longhi, sono, e lo diciamo per doverosa informazione del lettore: il Ricci, Gian Antonio Pellegrini, Jacopo Amigoni (napoletano di nascita ma già nel 1711 menzionato nella Fraglia dei pittori veneziani), Federico Bericovich (di famiglia dalmata), Gian Battista Piazzetta, Rosalba Carriera, Nicola .^Grassi (nativo della Carnia), Gian Battista Cfòsatò 'Ktìen noto ai piemontesi per i lavori eseguiti fra Stùplnigi e ^T'orino), Gian Battista Pitto' ni, Gaspare Diziani, bellunese, Gian Antonio e Francesco Guardi, Francesco Zuccarelli, toscano, ma giunto a Venezia intorno al 1730, Pietro Longhi e suo figlio Alessandro, Francesco Fontebasso, Gian Battista e Gian Domenico Tiepolo. Viaggiatori infaticabili E' ad essi, uomini per la maggior parte avventurosi, viaggiatori instancabili e attivi non soltanto a Venezia e in Italia, ma in ogni parte d'Europa (e il Pellegrini batte tutti i colleghi per la frenetica operosità che influisce sul gusto rococò in Inghil terra e in Francia), insaziabili di novità internazionali tanto che non è difficile scorgere influenze francesi nelle perlacee luminosità delle deliziose Veneri e Betsabee dell'Amigoni, che si deve il prò digioso risalire e sfolgorare della pittura veneziana set tecentesca sopra le sue stanchezze, per non dir bassure, secentesche, svigorito il maestoso flusso della tradizione del precedente secolo. E il grande pioniere è Sebastiano Ricci; legato ancora a manie re del Seicento nella prima parte della sua vita, e quindi anche — notò Roberto Longhi — al « gusto del plagio, dell'imitazione, quasi ad inganno, dai più vari prece denti pittorici » come tutti i secentisti veneziani; ma, nella seconda parte, teso — afferma lo Zampetti — al ricupero di posizioni perdute « attraverso la conquista di valori pittorici assorbiti dal Cinquecento e particolarmen te dal Veronese «, rivissuti in un'esperienza nuova, nel gusto del suo tempo: anzitutto impegnato nella conquista della luce, che liricizza il colore nella vibrazione atmo sferica. Dopo di lui, o contempo raneamente a lui che muore nel 1734, altri operano in direzioni affini. Per il Pellegrini basterà ricorrere alla calzante definizione del l'insostituibile Viatico lon ghiano: « Egli già si muove nel più labile "capriccio" del nuovo secolo con un vagare . blando di forme appena evo cale nell'aria, non più a vortici ansiosi, ma a remoli flut .. tuanti, color di rose ». qualcuno di quei vortici, un « ostinato chiaroscuro, di intenzione apparentemente . caravaggesca », resta legato il Piazzetta, in una posizione - contro corrente che si è - voluto dire «di protesta», di denuncia d'una situazione sociale che la sua attitudine alla penetrazione psicologica favoriva; ed è cosi ch'egli ap ' pare, con la stupenda serie delle sue commoventi immagini, il maggior rappresentante della corrente « patetico-chiaroscurale » veneziana nella prima metà del secolo, con tanta acutezza indicata dal Pallucchini: una «scrpseZfl i e o e i e e a e a « reazione al rococò » che lo stringe intimamente al Bencovich, restando però questi (ch'è uno dei maggiori interessi culturali della mostra) più elegiacamente effuso nei suoi trepidi toni, più sciolto e liquido, come accenna lo Zampetti; tenerezze di cui si farà più deciso interprete il limpido Crosato. Ed eccoci, nel susseguirsi un po' monotono di grandi quadri religiosamente edificanti che dovrebbero potersi ammirare sui loro altari, e di soggetti « obbligati » al tradizionale bagaglio storibomitologico di derivazione letteraria, Angelica e Medoro, ■Bacco" e Arianna, Ratto di Elena, Sacrificio d'Ifigenia, Continenza di Scipione, Morte di Dario, Re Mida, Trionfo di Anfitrite, e via dicendo oltre gl'inevitabili Baccanali, soggetti ch'è bene trascurare per immergersi nelle qualità squisite della loro « pittura », sia essa d'un Pittoni o d'un Diziani, d'uno Zuccarelli od anche di un Fontebasso «mediatore» tra il Ricci e il Tiepolo, — eccoci ai nodi centrali della magica rete pittorica che avvolge del suo incanto lo spettatore. I due Guardi. Non è tempo e luogo da riecheggiare la clamorosa disputa di quattr'anni fa, la « rivalutazione » che volle portare il misconosciuto Gian Antonio (16991760), quasi all'altezza geniale del fratello Francesco (1712-1793), fino ad attribuire al primo le storie dell'^lngelo Raffaele togliendole al secondo. Per conto nostro — non sembrandoci che la disossata Annunciazione della raccolta parigina Cailleux, opera attribuita a Gian Antonio, regga il confronto con le parti della Madonna del Belvedere di Aquileia, pala anch'essa a lui data per intero, nelle quali il Fogolari, già nel 1916, vedeva un preannunzio dell'arte suprema di Francesco, sì che il Fiocco vi avrebbe scorto « il largo aiuto fraterno » — stiamo dalla parte appunto del Fiocco e del Pallucchini, non da quella del Lazareff, dell'Arslan e d'altri studiosi strenuamente appoggiati dallo Zampetti; stiamo con la prima intuizione del Morassi per l'assegnazione a Francesco del Cristo e S. Giovanni Evangelista, meraviglioso capolavoro: il che significa ritornare ad approfondire la distanza fra l'abilità esecutiva di Gian Antonio e i vertici espressivi di Francesco, qui accertato dalla firma del Santo in adorazione. I grandi fratelli A questo punto entra in gioco anche la « malinconia » dei due fratelli, opposta, si potrebbe dire, al trionfalismo soddisfatto del « mattatore » Tiepolo. Malinconia (specie di Francesco) che sarebbe il presentimento sottile e disperato della fine d'una società, d'un costume, insomma di un « mondo » veneziano che andava in briciole nei rivoli d'una fatale decadenza. Arte (in contrasto con « la retorica anacronistica del Piazzetta e del Tiepolo ») supremamente conscia e denunciante, oggi si direbbe engagée, arte che è nello stesso tempo critica e rifiuto di una condizione tristissima per la patria; soprattutto un'arte di assoluta serietà e sincerità che è quella — fra i pittori presenti nella mostra — di Rosalba Carriera, di Pietro e Alessandro Longhi, di Francesco Guardi, di Gstctilcastqr Gian Domenico Tiepolo, persino di suo padre Giambattista quando, squarciando con torrenti di luce i soffitti dei palazzi principeschi, intendeva con quelle iperboli « annullare una certezza ch'egli tentava di nascondere a se stesso » (Zampetti). Tesi bellissima che molta critica moderna ha fatto sua. I ritratti di Rosalba Ma risponde a verità? C'è qui l'incantevole sequenza dei ritratti, di Rosalba, i più raffinati del Settecento veneziano, e soltanto in apparenza frivolmente svaporati, che anzi nell'interno celano un acume psicologico stupefacente. C'è quella, d'un'attrazione irresistibile, dei « ritratti di costume » di Pietro Longhi. Le due sale dove faranno ressa i visitatori, finalmente liberi da Madonne e Santi e Diane cacciatrici. Inutilmente vi cerchiamo quello che tanti critici vi hanno trovato ed esaltato: la coscienza storica, la consapevolezza d'un destino incombente, la denunzia di un'indifferenza socialmente colpevole: e la malinconia che fa dell'artista un giudice. Che Pietro Longhi sia «un formidabile pince-sans-rire » non v'è dubbio; ma, come Goya quando dipinge la famiglia reale di Spagna, un quadro che non ha mai voluto essere una satira o un libello, egli non giudica e non condanna: nel suo piccolo (ma artisticamente immenso) campo cronistico, semplicemente riferisce la realtà. E nessun engagement critico nei personaggi della Passeggiata — dama, marito, cicisbeo, servitore, levriere — dipinta ad affresco per la villa Tiepolo a Zianigo da Gian Domenico circa il 1791, ed ora a Ca' Rezzonico che l'ha prestata alla mostra. E' vero, a Parigi c'è la Rivoluzione, la Serenissima agonizza, fra sei anni Napoleone ridurrà in schiavitù la Repubblica, e quei signori vanno tranquilli a passeggio per la campagna della loro bella villa. Ma non penso che perciò — come pensa lo Zampetti — il Tiepolo figlio metta «in stato d'accusa,, attraverso una satira ormai definita e cosciente, la società frivola ed inutile del tempo ». Anche lui, ' pari del Longhi, è un semplice cronista, che poi si diverte a dipingere Pagliacci all'altalena e Saltimbanchi con Colombina e Pulcinella. Né molto diversamente si comportavano gli altri fornendo valanghe di scene sacre e di allettanti decorazioni profane. Il gusto del secolo glielo chiedeva, ed essi, da grandi artisti ma anche da bravi artigiani, rispondevano alla domanda. Senza secondi fini che non fosse una magnifica pittura: compreso il massimo pittore-artigiano, Giambattista Tiepolo, al quale è inutile rimproverare di non aver creduto in ciò che dipingeva. Ci credeva, come ci credevano coloro che volevano il suo lavoro e lo acclamavano. Marziano Bernardi Uno dei quadri dell'esposizione veneziana: « La passeggiata » di Pietro Longhi