Votare a 18 anni di Carlo Casalegno

Votare a 18 anni H nostro Stato Votare a 18 anni .'on. Fra- L'on. Fracanzóni, deputato della sinistra De, ed altri compagni di partito hanno presentato a Montecitorio una proposta di revisione costituzionale: chiedono che i cittadini possano votare al compiménto del diciottesimo anno anziché a 21, con la maggiore età, ed essere eletti deputato a 21 anno, anziché a 25. Quanto al Senato- resterebbero invariati gli attuali limiti: 25 anni per gli elettori, 40 per i candidati. Prima dell'iniziativa democristiana, già il comunista Ingrao ed il socialista Pellicani avevano avanzato proposte eguali; da tèmpo Fanfani ha promesso il suo appoggio: Mancano quattro anni alla fine della legislatura; per quanto ogni revisione costituzionale sia lenta e macchinosa (occorrono due voti a maggioranza assoluta di ciascuna Camera, con un. intervallo di almeno tre mesi), c'è dunque tempo per far passare questa legge. Gli oppositori, per quanto si può prevedere, dovrebbero essere in minoranza: i gruppi di sinistra sono unanimi nel giudicare i ragazzi di diciott'anni abbastanza maturi per votare. Mi pare che abbiano ragione. Paure infondate Che la riforma sia chiesta dalle sinistre, può mettere in allarme i conservatori; ma a torto: la riforma non ha nulla di sovversivo. In America, la stessa proposta fu avanzata una prima volta, inutilmente, da Eisenhower nel 1954 e ripresa da Johnson nel giugno del '68, troppo tardi per essere discussa prima delle elezioni. In Germania molti liberali e democristiani, oltre ai socialisti, vedono con favore il voto ai diciottenni. In Inghilterra si discute sul limite piuttosto che sul principio della riforma (i laburisti propongono 18 anni, i tories 20); già ora a 21 anno si può diventare deputati, come la « pasionaria » irlandese Bernadette Devin, che fece il primo discorso ai Comuni, il giorno del ventiduesimo compleanno. Negli Usa sono proprio Stati poco « radicali » come la Georgia ed il Kentucky che hanno abbassato l'età elettorale. Se è vero che in oaesi « rossi » come che in paesi « rossi » come Russia e Jugoslavia si vota a 18 anni, la stessa legge vige in paesi piuttosto conservatori, come la Turchia, il Brasile, l'Uruguay, il Venezuela. Da qualche mese in Svezia si vota a 20 anni, come in Svizzera ed in Giappone. I partiti di sinistra, probabilmente, s/attendono qualche vantaggio dagli elettori più giovani; ma nessun esperto coltiva l'illusione di guadagni cospicui. Giovani e adulti differiscono assai poco nelle scelte politiche: ne abbiamo una conferma abbastanza attendibile ad ogni legislatura, confrontando i risultati elettorali per la Camera ed il Senato. I votanti tra i 21 ed i 25 anni dimostrano, forse, di-preferire i partiti di massa ai piccoli partiti; ma ciò favorisce i democristiani non meno dei comunisti. Tra le formazioni di destra, si orientano sui missini piuttosto che sui monarchici; ma anche"in questo caso con differenze lievi. I maschi, probabilmente, hanno una, maggiore inclinazione per le due estreme; tuttavia l'equilibrio è ristabilito dalla tendenza moderata delle giovani elettrici. E' noto che il suffragio femminile è la grande forza della De. Anche i sondaggi d'opinione, per quanto valgono, fanno dubitare del preteso radicalismo dei giovani. C'è indubbiamente una minoranza estremista, arrabbiata, contestatrice, ni hi list a: sono le pattuglie di punta della rivolta studentesca, i militanti dei gruppi cinesi od anarchici, i cattolici del dissenso, e dell'altra parte gli squadristi del neofascismo. Ma rappresentano un'esigua percentuale in una massa che si disinteressa di politica, o evita le posizioni di punta, e si preoccupa soprattutto della sicurezza economica. Nei movimenti di piazza, ''nelle prove di forza, possono imporsi le piccole formazioni di attivisti; nella cabina elettorale prevale la legge del numero. Non c'è dunque nessun motivo per prevedere che il voto dei giovanissimi sposti l'equilibrio politico; si può, anzi, sperare che - l'abbassamento dell'età elettorale li riconduca al « sistema », riducendo il fascino dell'opposizione extra-parlamentare. II problema vero, mi sembra, è il livello di maturità dei giovanissimi. In Italia, per for¬ luna, non vale l'arBomcnti tuna, non vale l'argomento più forte dei diciottenni americani: « Ci giudicate abbastanza cresciuti per combattere nel Vietnam, ma non per votare ». Valgono però gli altri motivi: la istruzione più diffusa, la maggior ricchezza di informazioni offerte dalla tv e dai giornali, gli incontri ed i viaggi più facili, il fatto che i ragazzi crescono più in fretta. -E ce ne accorgiamo, ripensando alla nostra adolescenza. Vecchi pregiudizi Siamo sinceri: se il diritto di voto è concesso agli analfabeti maggiorenni, alle vecchiette della montagna, a pastori non ancora usciti da una civiltà arcaica, alle suore di clausura (e così dev'essere), nessuno potrà dimostrare che sia meno attendibile e meditata la scelta di uno studente universitario, di un apprendista con due o tre anni di fabbrica, di un ragioniere al primo impiego in banca, di un immigrato delle campagne pugliesi o siciliane. La legge afferma la piena responsabilità penale dei diciottenni; se responsabili di un reato li manda in carcere, non in riformatorio. Gli consente di guidare ogni tipo di automezzi. Li autorizza ad assumere impegni di lavoro ed amministrare il proprio salario. Li accetta come contribuenti. Può arruolarli nell'esercito ed affidargli armi da combattimento. Li giudica maturi per il matrimonio, in qualche caso anche senza consenso dei genitori. Ma li considera immaturi per il voto, come se scegliere un partito implicasse una responsabilità più grave che costituire una famiglia, andare in guerra, decidere della propria vita. Il limite elettorale dei 21 anno era ragionevole, e coerente con la realtà sociale, ancora in un passato non lontano: in tempi senza mass media e di suffragio ristretto, di scarsa istruzione, di società chiuse, di più rigorosa disciplina famigliare, di totale esclusione delle donne dalla politica. Oggi gli oppositori al voto dei diciottenni mi sembrano ancorati a vecchi pregiudizi: com'erano i nostri padri o nonni, fermamente convinti che la politica fosse « cosa da uomini » e che le suffragette non minacciassero l'ordine pubblico meno degli anarchici. : Carlo Casalegno « . . i

Persone citate: Bernadette Devin, Eisenhower, Fanfani, Ingrao, Johnson, Pellicani