La frontiera degli industriali oggi è il mercato mondiale di Ferdinando Di Fenizio

La frontiera degli industriali oggi è il mercato mondiale relazione di giovanni agnelli al convegno di studi di ischia La frontiera degli industriali oggi è il mercato mondiale Tre obiettivi: unità europea, collaborazione con l'Est e l'Ovest, industrializzazione dei paesi in via di sviluppo - Gli interventi di Ferdinando di Fenizio e Angelo Costa (Dal nostro inviato speciale) Ischia, 24 maggio. La seconda giornata del Convegno di studi della Con/Industria è stata interamen. te assorbita dal dibattito sulle due relazioni dei professori D'Alauro e Cianci. La loro tesi di fondo — essere la massimazione del profitto l'obiettivo insostituibile di tutte le imprese industriali, anche di quelle pubbliche — è stata condivisa da molti, ma criticata piuttosto severamente da un numero forse maggiore di oratori. Il prof. Angelo Amato ha osservato che il massimo profitto non assicura una produzione che realizzi il massimo benessere; può anzi creare, o accentuare, squilibri settoriali e territoriali che possono risultare intollerabili. L'Inter, vento dello Stato o dell'impresa pubblica è spesso diretto ad attenuare questi squilibri. Il dott. Vallarino Gancia ha insistito sulla necessità che il massimo profitto sia ricercato in una concezione di lungo periodo, tenendo conto di tutti i fattori interni ed esteriori che influiscono non solo sulla redditività, ma anche sulla « reputazione » dell'azienda, specie di quella di grandi dimensioni. Il presidente della Fiat, dott. Giovanni Agnelli, ha allargato ulteriormente il dt scorso. Riassumendo le proprie esperienze recenti, egli ha ritenuto di ricavarne le due seguenti conclusioni: 1) l'impresa industriale tende sempre più a essere riconosciuta come lo strumento'organizzatore del lavoro umano con finalità d'efficienza; 2) il mercato mondiale è già oggi la vera, reale frontiera per tutti gli industriali, anche se molti continuano ad occuparsi in modo troppo esclusivo del mercato nazionale. Ci si deve rendere conto, ha proseguito Agnelli, che l'impresa capitalistica sembra avviata a trionfare della lunga contestazione ideologica iniziata dal marxismo, che ha dato vita — sul piano pratico — alle nazionalizzazioni e alla pianificazione imperativa. Alla formula della nazionalizzazione si preferisce ormai quella della « impresa manageriale a capitale pubblico »; la pianificazione imperativa ha fallito nei Paesi socialisti, tanto che ora si cerca di conciliare la pianificazione con forme crescenti di autonomia aziendale. Ma, con la sua stessa vittoria, l'impresa ha modificato la vecchia società a base agraria, dando vita ad una società centralistica assai più complessa nella quale si trovano a dover convivere dìversi e distìnti centri decisionali (politici, sindacali, intellettuali e imprenditoriali). Assurte a fattori di punta dello sviluppo tecnologico ed organizzativo di intere socie-, tà, le imprese industriali debbono evitare ogni «.tentazione di autosufficienza» e ricercare il dialogo e la collaborazione . n gli altri centri decisionali. Banco di prova di questo dialogo tra politici, intellettuali, sindacalisti e imprenditori sarà nel prossimo futuro la realizzazione dei piani di sviluppo; se è indubbio che spetti al politici l'iniziativa della loro formazione, è altrettanto certo che là realizzazione concréta dei piani dipenderà in larga misura dalle imprese. Queste ul*!,.ie dovranno perciò conca. rere, con gli altri centri di decisione, alla scelta degli obiettivi da raggiungere. Anche ì politici, a loro volta, dovranno liberarsi da atteggiamenti di autosufficienza, superando il concetto storico dello stato-nazione, che comprìme da un lato la spinta propulsiva delle imprese e rende cronica dall'altro lato la crisi dell'amministrazione statale dei servizi pubblici. A questo punto Agnelli ha illustrato i problemi gravi dell'attuale situazione nel mondo: « Mantenimento della pace, sviluppo della collaborazione internazionale, eliminazione degli squilibri fra ì paesi industrializzati e gli altri paesi ». Riconosciuta la stratta interdipendenza fra i ire problemi, egli ne ha dedotto le tre direttrici valide per le imprese italiane: 1) la unità politica dell'Europa; 2) 10 sviluppo dei rapporti di collaborazione con l'Ovest atlantico e l'Est europeo; 3) l'industrializzazione dei paesi del Terzo Mondo. Circa la direttrice europea. Agnelli ha lamentato che solo le grandi imprese l'abbiano finora perseguita; i tempi sembrano però maturi perché anche le piccole e medie imprese si adoperino per rendere irreversibile il processo di integrazione economica e politica dell'Europa. Sui rapporti con gli Stati Uniti, avv:uti da tempo, e quelli con l'Unione Sovietica, appena all'inizio, il presidente della Fiat ha osservato che il fatto che i due colossi mondiali abbiano orientato i rispettivi sistemi . economici verso le tecnologie militari, offre all'Europa — come anche al Giappone — ampio spazio per una fruttuosa collaborazione. Infine, per quanto riguarda 11 Terzo Mondo, Agnelli ha sostenuto che i primi tentativi dì industrializzazione sono stati compiuti dalle imprese multinazionali, le quali si rendono ben conto della necessità di superare il vecchio sistema del commercio mondiale, che vedeva quei paesi esportatori soltanto di materie prime ed importatori di manufatti. Lungi dal rinchiudersi nel proprio guscio, le imprese debbono « concorrere allo sviluppo economico dell'intera umanità ». Fra gli altri interventi citeremo quelli del prof. Ferdinando di Fenizio e del presidente della Confindustria, dott. Angelo Costa. Il primo, dopo aver lamentato che i relatori avessero ignorato del tutto Keynes e le sue be nemerenze come stratega dello sviluppo economico, ha detto di ritenere sempre più insufficienti sul piano scienti fico i discorsi a carattere set toriate. A suo avviso, solo ricerche interdisciplinari sistematiche (politiche, economiche, sociologiche) possono consentire di affrontare me no impreparati i nuovi prò blemi delle grandi imprese e della prograjnmazione, della guerra moderna e dei « futu ribili » (cioè delle straordinarie conquiste tecnologiche del prossimo avvenire). Costa, dal canto suo, ha sostenuto che il profitto ha nel nostro paese una cattiva stampa perché si chiama con questo nome anche la ren dita di monopolio o il maggiore reddito derivante dal rialzo dei prezzi: profitto economicamente e socialmente valido è invece solo quello che deriva dall'aumento della produttività dei fattori impiegati. Ha quindi affermato che in Italia i veri profitti sono di solito iìisufficienti per garantire la copertura di tutti i costi di produzione. Arturo Barone

Luoghi citati: Europa, Giappone, Ischia, Italia, Stati Uniti, Unione Sovietica