Una rivolta apparente di Nicola Chiaromonte

Una rivolta apparente Padri e figli Una rivolta apparente « La crisi del principio d'autorità ora è esplosa, si estende a tatti i campi. Stato, Chiesa, scuola, famiglia. La vorreste mite, graziosa? » (Da un articolo di Guido Piovane). A proposito del «lamento dei padri» sui figli che non si lasciano amare e capire, Guido Piovene osservava giorni fa che non esistono anziani che hanno torto c giovani che hanno ragione, né, inversamente, anziani che hanno ragione e giovani che hanno torto, ma «solo uomini, di varia età, nei rapporti di convivenza, necessariamente tesi, di un tempo rivoluzionario e agonistico », Nei discorsi cosi confusi, così esitanti, c troppo spesso così bassamente adulatori dell'età giovane che si sentono fare attorno, questo è un punto fermo. Sia dunque, questo nostro tempo, « rivoluzionario » e « agonistico » quanto si vuole. Prendiamolo per quello che è, senza protervia e senza rispetti umani. Prendiamo, cioè, sul serio, fatto per fatto e idea per idea. Nell'articolo di Giovanni Arpino, da cui Piovene citava in epigrafe una frase, era riferito il discorso di un giovane di Viareggio che, seduto al caffè con la sua ragazza, così si esprimeva: « Moralismi, scandalismi. Fatti vostri, non nostri... A me non va bene niente. Né Viareggio né Cuba. Però non mi piace giudicare. Quello che succede è sempre di questo mondo, e questo mondo non l'ho inventato io. Vizi e virtù li ho inventati io? Mi diverto, ma so anche che divertirsi fa parte dell'esser giovani... ». Non suona nuovo, un simile parlare. E', all'incirca, il parlare di un personaggio di Moravia. C'è poco di rivolur zionario, nell'atteggiamento di questo giovane, il quale del resto si esprime più come un signorino viziato che come un ribelle. E anche poco di agonistico, visto che egli tronca senz'altro i rapporti, con quel suo dividere i fatti del mondo in « vostri » e « nostri.» e dichiarare che questo mondo non l'ha inventato lui. Sicché per il momento si diverte; ma quasi per automatismo: perché «divertirsi» fa parte dell'* esser giovani»; quindi con un partito preso d'apatia che toglie ogni senso ai divertimento stesso. E tuttavia la sua contestazione è globale, non c'è che dire. Cercar di discutere con un giovane che parla così non avrebbe molto senso. Egli non è tenuto a dialogare con noi. Lasciamo che vada a divertirsi. Ma non prima di avergli fatto notare che, lo sappia o non lo sappia, parlando come fa, egli rivela che la sua iniziazione al mondo degli adulti è già avvenuta, ed è Moravia (insieme con parecchi altri anziani) ad aver presieduto al rito di passaggio. Questo non per via del noto paradosso secondo-cui la natura imita l'arte, ma per un motivo molto più serio, e cioè che non si sfugge alle leggi che reggono qualunque società, anche la più disordinata. Stando le cose come stanno nella società contemporanea, i fatti che anticamente avevano forme rituali avvengono oggi senza formalità, per influenze di secondo o terzo grado, attraverso la divulgazione cinematografica o le mode. Ma avvengono comunque. E il loro carattere è che, quanto all'essenziale, ossia il modo d'intendere la vita, i giovani non possono, per cominciare, che assumere le idee degli anziani e portarle a un qualche estremo. Ne consegue che la contestazione, quanto più si Vuole globale e immediata, tanto più è costretta a svolgersi nell'ambito di idee, di schemi, di esempi già dati. Del che la ragione è appunto che questo mondo non è un'invenzione degli ultimi venuti. H margine, di libertà e di creazione — la .vera j rivolta, se si vuole — lo si raggiùnge per altra e 'opposta via: considerando le idee, le norme (o la mancanza di norme) e il comportamento degli- anziani come dei fatti da soffrire e da capire, a fondo, degli ostaceli da superare. Cominciare dalla rivolta, dando per scontato che le idee sono lì bell'c pronte e non c'è che da usarle, significa rimaner prigionieri del mondo degli adulti e non far uso della propria libertà che per aggiungere disordine a disordine, senza cambiar nulla di sostanziale. E' la mancanza del senso della libertà che più colpisce, nelle forme attuali della rivolta, per sfrenate e violente che siano, anzi quanto più sfrenate e violente sono. Andare all'università col fucile a tracolla, come gli studenti negri di Cornell University giorni fa, è uno sfogo teatrale, uno «psicodramma», come ha detto Raymond Aron della, sommossa parigina del maggio scorso, non il principio di una rivoluzione. D'altra parte, di fronte a manifestazioni così superficiali e così violente insieme, la crisi dello Stato; della Chiesa, della scuola,' della famiglia rischia di sboccare in una cristallizzazione davvero globale delle vecchie forme, anche se vestite a nuovo, 0 ulteriormente svestite. Mancanza di senso della libertà, significa, in ultima analisi, mancanza di modi di pensare e d'essere che trascendano veramente i limiti contro i quali ci si urta. Quando 1 giovani contestano col metodo in apparenza radicale dell'azione diretta lo Stato borghese, neocapitalista o come altro vogliano chiamarlo, essi in tal modo non possono che ottenere la restaurazione del principio d'autorità contro il quale a ragione sono scesi in campo. Giacché, anche ammesso che riuscissero a sconquassarlo, tale Stato, e a impadronirsene pezzo per pezzo, la questione dell'autorità e del potere risorgerebbe immediatamente da ogni suo troncone, come le teste dell'Idra' di Lerna. Il principio d'autorità monarchico e chiesastico derivato dal jus imperii romano è, infatti, certamente perituro, e in realtà non ne rimangono che le vestigia burocratiche; ma l'autorità, il potere,-la forza sono fatti connaturati alla società umana, e non si possono distruggere, solo dargli forme definite e tenerli a freno con una tensione costante. La libertà è precisamente questa tensione. Lo stesso discorso si potrebbe fare per la crisi della Chiesa. E' facile chiedere che la Chiesa s'inserisca nel mondo moderno, abolisca le forme e diventi progressista in politica. Più difficile, però, è affrontare la questione della fede cristiana in sé e per sé, oggi: che cosa ne rimanga, una volta modernizzata, come nutrimento dell'anima e rapporto fra l'anima e Dio. E, quanto alla libertà, il matrimonio dei preti potrebbe essere una concessione inevitabile; ma la libertà si manifestava certo con più energia negli uomini dei quali Dante fa dire a San Benedetto: « Qui son li frati miei che dentro ai chiostri - Fermar li piedi e tennero il cor saldo ». Più diffìcile ancora, poi, sarebbe render giustizia, fuori di ogni religione stabilita, all'esigenza religiosa insita nell'animo umano e nei fondamenti stessi della società. La libertà, in questo campo, si manifesterebbe nel dar forma a una nuova ragione, per l'uomo, di stare al mondo: a un significato dell'esistenza che non sbocchi nel nulla, come inevitabilmente vi sbocca l'attuale modo di vivere e di concepire la vita. Ma questo, certo, non è un fatto che si possa provocare con l'azione diretta. Anche qui, la questione è soffrire e capire. Parlando in generale, la stortura tipica del nostro tempo è di ostinarsi a ogni proposito, e particolarmente a proposito delle questioni più gravi, nella domanda: « Che cosa fare? », rifiutando quella: « Che cosa pensare?», la quale certamente viene prima. Il risultato non può essere, che di disordine. Sicché, più che rivoluzionario e ago? nistico, questo nostro tempo appare dissolvitore da una parte, sopraffattore dall'altra, inseparabilmente. Nicola Chiaromonte

Persone citate: Giovanni Arpino, Guido Piovane, Guido Piovene, Moravia, Piovene, Raymond Aron

Luoghi citati: Cuba, Viareggio