I giganteschi impianti della chimica di base di Mario Salvatorelli

I giganteschi impianti della chimica di base Dove va l'industria italiana I giganteschi impianti della chimica di base Richiedono forti investimenti, lavorano 24 ore su 24 per 330-350 giorni l'anno - Permettono di colmare con i loro prodotti il crescente divario tra risorse naturali e bisogni dell'uomo (Pai nostro inviato speciale) Milano, 17 maggio. Fra le industrie italiane, la chimica è buona seconda, dopo la meccanica, per il valore della sua produzione. Al suo fatturato, che è salito nel •68 a circa 2800 miliardi di lire, abbiamo visto che concorrono con il 18 per cento il settore di base, con il 32,8 per cento i derivati e col 49,2 per cento i parachimici. Dopo lo sguardo d'insieme, proseguiamo l'inchiesta con il settore di base, che fabbrica prodotti inorganici e organici. Gli inorganici comprendono: Di prodotti usati per i fertilizzanti, che hanno bisogno di elementi nutritivi del suolo (azoto, potassio e fosforo); 2) la soda, che viene venduta alle altre industrie (tessili, carta); 3) il cloro, che è fondamentale per la fabbricazione delle materie plastiche. L'industria di base organica nel 90 per cento dei casi è oggi in Italia a carattere petrolchimico, cioè deriva le sue materie prime dagli idrocarburi: petrolio e metano. Produce acetilene, etilene e propilene, aromatici (benzolo e altri). Sono questi i prodotti che, con l'« inorganico» eloro, saranno trasformati dall'industria chimica dei derivati in materie plastiche, fibre sintetiche, gomma e detergenti. Il fatturato dell'industria chimica di base è passato da 255 miliardi nel 1960 a circa 500 nel '68. Ma, mentre alla cifra del '60 concorrevano per 145 miliardi i prodotti inorganici e solo per 110 gli organici, oggi la proporzione è invertita: 215 miliardi gli inorganici e 285 gli organici. Questo perché, dopo il 1960, la chimica ha dovuto tener dietro al formidabile sviluppo registrato dalle materie plastiche, dalle fibre sintetiche e dalla gomma. Gli impianti della chimica di base sono tra i più colossali di ogni tipo d'industria e richiedono investimenti non solo dell'ordine di decine di miliardi ma che di anno in anno diventano più costosi. Esempio: mentre nel 1960 un impianto di produzione dell'ammoniaca, per essere economicamente conveniente doveva avere una capacità di 100.000 tonnellate all'anno, oggi deve fornirne 350.000 e richiede investimenti per 15 miliardi. Nel 1960 un impianto « ottimo » per la produzione di etilene doveva avere una capacità di 50.000 tonnellate all'anno; oggi deve essere in grado di produrre 300 mila tonnellate l'anno e vuole investimenti per 30 miliardi. Essenziale la ricerca Da ciò deriva la caratteristica del settore chimico di base: grossi impianti a livello sovranazionale, cioè con capacità quasi sempre esuberanti rispetto al fabbisogno interno, modernissimi perché l'invecchiamento è rapidissimo a causa dei nuovi ritrovati, dei nuovi processi produttivi e, come abbiamo visto, delle dimensioni sempre maggiori. Il logorio per usura è ormai diventato in questo, come in altri settori industriali, la meno importante tra le cause d'invecchiamento degli impianti. Quindi l'ammortamento è brevissimo: da cinque a sette anni, pure per impianti così costosi. Altra esigenza di questo settore è la ricerca, per adattare continuamente i cicli di fabbricazione ai nuovi ritrovati e soprattutto per sfruttare adeguatamente i sottoprodotti. J sempio tipico: quando si produce un quintale di etilene si ottengono contemporaneamente 50 chili di propilene. Si deve poter utilizzare entrambi, in modo da distribuire i costi su ambedue i prodotti. E la ricerca punterà alla scoperta di impieghi anche per il propilene, che è il sottoprodotto dell'impianto che era stato costruito per produrre etilene. E' questo uno del motivi per cui le spese per la ricerca nella chimica sono più alte che in molti altri settori e nelle grosse società rappresentano il 2-3 per cento del fatturato. L'esigenza di grandi impianti comporta la necessità di avere a disposizione anche i grandi mercati, quindi di essere competitivi nei confronti delle analoghe imprese estere. Conseguenza: in tutti i Paesi, anche in Italia, il set tore di base è quello che vede i più grossi complessi e ha assistito — e tuttora assiste — a un continuo processo di concentrazione. L'esempio più recente in Italia è la Montecatini, che si è fusa con la Edison, all'estero (è di questi giorni) l'assorbimento della Progil da parte della Rhòne Poulenc. Senza contare •te 1 fero giganti tedeschi, na¬ ti dallo smembramento della Parben per cause post-belliche, lavorano più d'accordo che in concorrenza tra loro. Nell'ambito del Mec, la criimica di base è rappresentata da una dozzina di giganti: la Montedison e la' Sir in Italia, la Basf, la Bayer e la Hoechst in Germania, la Rhdne Poulenc, la Ugine Kuhlman e la Péchiney-St-Gobain in Francia, la Solvay in Belgio, la Royal Dutch-Shell e la Staadsminijnen in Olanda. La graduatoria in base al fatturato vede al primo posto la Montedison, al secondo la Hoechst, al terzo la Bayer, seguite dalla Basf, dalla Rhdne Poulenc, dalla Ugine Kuhlman, dalla Solvay, dalla Péchiney-St-Gobain. La Royal Dutch-Shell va considerata a parte, sia perché anglo-olandese, sia perché opera prevalentemente nel settore petrolchimico ed è difficile distinguere nel suo fatturato, che è di oltre 5000 miliardi di lire, quanto sia rappresentato dalla chimica. ì i Immense prospettive L'industria chimica di base italiana è attualmente a livello internazionale, sia perché vanta il più grosso gruppo del Mec, sia perché ha mantenuto il passo della concorrenza, creando nuovi impianti, tutti nel Mezzogiorno: a Brindisi (Montedison); a Pisticci, nella Valle del Basento, il paese di Carlo Levi (Anic); a Priolo, vicino a Siracusa (Montedison); a Gela (Anic); a Cagliari (Rumianca); a Porto Torres (Sir.). Questi impianti si sono aggiunti a quelli già esistenti nel. Nord: a Marghera, Mantova e Ferrara (Montedison), Ravenna (Anic). Hanno da un minimo di 2500 a un massimo di 4000-5000 addetti, con l'eccezione del più grosso, che è il complesso di Marghera, che ne ha 9000. Tutti hanno varie unità produttive,,, per avere il ciclo completò di lavorazione. Ognuno costa quindi decine o centinaia di miliardi. Infatti, come abbiamo visto, solo un impianto moderno di ammoniaca costa 30 miliardi. Il peso delle materie prime e dei prodotti che passano attraverso questi impianti si calcola a milioni di tonnellate, il consumo di energia elettrica a miliardi di chilovattore. Gli impianti sono a ciclo continuo: 24 ore su 24, per 330-350 giorni l'anno (si fermano solo, a lunghi intervalli, per la necessaria manutenzione), sono ad alto contenuto tecnologico, perché si tratta di una lavorazione molto delicata, che deve tener conto di altissime pressioni, da 300 a 350 atmosfere (per dare un'idea, in un pneumatico d'automobile la pressione non arriva a due atmosfere), delle temperature, dei fenomeni di corrosione, della esplosività dei prodotti trattati. Quali prospettive di sviluppo ha la chimica di base? Immense. L'umanità ha assunto un ritmo d'incremento demografico vertiginoso che supera di gran lunga le disponibilità di prodotti naturali della terra. La domanda di beni a sua volta cresce ancor pili velocemente della popolazione, perché il potere d'acquisto, precede e segue l'accentuarsi e l'estendersi dei progressi economico e socia¬ le. Solo la chimica può far fronte alle crescenti necessità dell'uomo, con i fertilizzanti per stimolare ì raccolti delle campagne e assicurargli la nutrizione, le fibre sintetiche per vestirlo, i prodotti che serviranno a fabbricare medicine per la sua salute, detergenti e cosmetici per la sua igiene, le materie plasti¬ che che si affiancano e sostituiscono un'infinità di oggetti che prima erano fabbricati con materie prime provenienti dal suolo e dal sottosuolo. E più ci si addentra nel regno della chimica, più si scopre che non ci sono limiti alle sue meravigliose possibilità. Mario Salvatorelli