Il Meciani aveva già tentato il suicidio tre volte in un mese di Remo Lugli

Il Meciani aveva già tentato il suicidio tre volte in un mese Un angoscioso dramma nel «giallo» di Viareggio Il Meciani aveva già tentato il suicidio tre volte in un mese Alla fine di marzo, poco dopo la scoperta del cadavere di Ermanno, si fece ricoverare in una clinica - Qui attuò i primi due tentativi - Poi, al secondo fermo, cercò di togliersi la vita con un tagliacarte - Per questo era stato sottoposto a stretta sorveglianza Come mai ha potuto impiccarsi? Inchiesta della magistratura - Le sue condizioni sono stazionarie, ma il cervello è sempre spento Fermati a Milana i tre ragasi&i fuggiti da Viareggio (Dal nostro Inviato spedale) Viareggio, 10 maggio. Il cortile degli Ospedali Riuniti di Pisa, nel quale si apre l'accesso al Centro di rianimazione, è tornato quieto. Passano medici e infermieri con il camice bianco, malati in pigiama, qualche visitatore. Davanti alla porta del Centro nel quale è ricoverato Adolfo Meciani non c'è più la ressa di ieri; tutt'al più si fermano due o tre persone a scambiare qualche parola. Ma si sa che le condizioni del quarantenne proprietario del bagno « La pace » di Viareggio sono stazionarie e che per il momento non dovrebbero serbare brutte sorprese. Un encefalogramma praticato stasera al Meciani ha posto in luce un leggero miglioramento, ma è cosa insignificante per la devastazione cerebrale già verificatasi che ha colpito soprattutto le parti nobili del cervello: i centri della parola, della memoria e del ragionamento. Le radiografìe hanno escluso che esistano anche delle fratture nelle vertebre cervicali per cui non c'è il pericolo di paralisi alle braccia e alle gambe. Il malato è sotto lo stretto controllo di parecchi medici. Oggi lo hanno visitato ancora il prof. Mangiavacchi, del Centro di anestesia e rianimazione e il prof. Gomirato, direttore della clinica per le malattie nervose e mentali dell'Università di Pisa. Adolfo Meciani fu in passato ammalato di tbc e i medici intervennero chirurgicamente sul polmone destro. Era guarito, tuttavia la malattia aveva lasciato una certa debilitazione dell'organismo, la quale ora inciderà sulle possibilità di recupero o su quelle di resistenza. Stamattina Marcella Farnocchia, la moglie, ha ottenuto dal magistrato un altro permesso per trascorrere qualche minuto al capezzale del marito. Ha raggiunto l'ospedale insieme con il fratello, Giuseppe, che in questi giorni l'ha sempre accompagnata per proteggerla dall'assalto dei fotografi. Ieri si era verificato un episodio increscioso: all'uscita dalla stanza dell'ammalato si era trovata nell'impossibilità di passare per lo sbarramento dei fotografi. Il fratello era intervenuto per proteggerla, c'era stata una colluttazione durante la quale la macchina di un fotografo era volata a terra e la signora Meciani era stata colpita al naso da un pugno. Stamattina si è sottoposta ad una radiografia che ha messo in evidenza ima leggera incrinatura al setto nasale; è stata giudicata guaribile in sette giorni. Oggi invece il cortile era quasi deserto e lei è potuta entrare senza difficoltà. E' rimasta nella stanza circa una mezz'ora sempre seduta vicino a una parete, immobile a guardare il volto cereo del marito. Quando è uscita aveva gli occhi bagnati di pianto. « Sembra che dorma — ha detto —. Se non fosse per le sonde che gli hanno infilato nel naso e nella gola, sembrerebbe proprio che dormisse ». Ha taciuto per qualche momento poi ha scosso la testa sconsolata: « Avrebbero potuto impedire che cercasse di uccidersi, è come se me l'avessero ridotto loro in queste condizioni. Sapevano che era ammalato, dovevano controllarlo meglio ». Era presente anche il dott. Gemignani, medico di famiglia, che aveva curato il Meciani sin dal primo momento in cui gli si era manifestato l'esaurimento nervoso. « E' vero — ha detto —. Avevano sequestrato la cartella clinica nella quale erano specificate le sue condizioni psichiche, quindi erano a conoscenza del suo stato e dei pericoli che ne potevano derivare, avevano l'obbligo di effettuare un controllo rigoroso su di lui ». Gli avvocati del Meciani sostengono questa tesi fino al punto di non richiedere, per protesta, la libertà provvisoria. Adolfo Meciani verso la fine di febbraio si era presentato nell'ufficio dell'avv. Pic«td.. Era in uno stato di gran¬ de eccitazione. Raccontò che i giornali, nelle cronache del caso Lavorini, parlavano insistentemente di sospetti su un uomo di circa 40 anni, un po' calvo, proprietario di una auto rossa, e poiché lui aveva 40 anni, era un po' calvo e possedeva un'auto di quel colore, si sentiva bersagliato dai sospetti. L'avvocato lo aveva consigliato di presentarsi ai carabinieri per cercare di chiarire che lui non c'entrava nella vicenda. I] Meciani se n'era andato dicendo che ci avrebbe riflettuto. Un altro giorno aveva avuto una crisi più violenta mentre si trovava con l'aw. Pieraccini, che è suo amico e che ora lo difende assieme a Picchi. L'aw. Pieraccini aveva chiamato un medico, il dott. Gemignani, che gli aveva praticato un'iniezione cal¬ mante e aveva consigliato il suo ricovero in una casa di cura. Adolfo Meciani si fece ricoverare verso la fine di marzo, cioè una quindicina di giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Ermanno. Fu ospitato nella Clinica neurologica Ville di Nozzano, che è diretta dal dott. Bandettini di Poggio. Si è saputo che in quel periodo gli furono praticati sette elettrochoc per cercare di combattere la sua crisi depressiva. Sembra accertato che per due volte tentò di uccidersi: lo fermarono in tempo mentre stava per gettarsi da una finestra, e un'altra volta lo scoprirono mentre stava per ingerire numerose pastiglie di barbiturici. Uscito dalla clinica il 17 aprile, due giorni dopo il Me¬ ciani fu fermato dai carabimeri per un primo interrogatorio, seguì poi un secondo fermo nel corso del quale, in carcere, afferrò un tagliacarte e cercò di piantarselo in petto; ma fu fermato in tempo. Il dott. Di Stefano, sostituto procuratore della Repubblica di Pisa, sta conducendo l'inchiesta per accertare se vi sono delle responsabilità da parte di qualcuno. II dott. Occhipihti, direttore del carcere, afferma che nessuno gli trasmise la cartella clinica del detenuto, né gli comunicò verbalmente che doveva essere sottoposto ad una particolare sorveglianza. Il direttore del carcere, non conoscendo le particolari condizioni psichiche del detenuto, ma sapendo cha doveva I restare in isolamento, lo ave¬ va sottoposto di sua iniziativa alla grande sorveglianza. Come si è visto, non è stato sufficiente: l'agente cui era affidato questo incarico doveva controllare altri otto detenuti e l'intervallo di tre o quattro minuti tra un controllo e l'altro è bastato al Meciani per attuare il suo sciagurato piano. Se l'ischemia cerebrale è ad uno stato così avanzato è segno, dicono »i medici;, che l'uomo è rimasto impiccato per oltre due minuti, durante i quali il sangue non ha più potuto raggiungere il cervello attraverso le carotidi e le arterie cerebrali che erano chiuse dalla compressione. La vigilanza a vista, certo sarebbe servita ad impedire questo tentativo di suicidio. Oggi nel carcere pisano è stata comunicata a Rodolfo Della Latta la notizia dell'impiccagione di Adolfo Meciani. Il giovane. necroforo, suo accusatore, ha abbassato la testa ed ha mormorato, senza tradire alcuna emozione: « Mi dispiace, speriamo che si salvi ». Nell'ambito delle indagini sul caso Lavorini si inserisce la fuga, avvenuta qualche giorno fa, di tre ragazzi viareggini, due dei quali sono ricercati per furto: Fabrizio Bresciani, di 17 anni, Giancarlo Martelli, di 16, Raffaele Matrone di 19. Pare che fossero amici di Marco Baldisseri e di Massimiliano Giannini, Dinamite. Rintracciati oggi a Milano, sono stati riaccompagnati a Viareggio. Remo Lugli ii sedicenne Fabrizio Bresciani, a sinistra, Raffaele Matrone e Giancarlo Martelli fermati a Milano (Tel. A. P.)

Luoghi citati: Milano, Pisa, Viareggio