«Barnabooth» di Larbaud
«Barnabooth» di Larbaud QUASI UN TESTAMENTO DELLA VECCHIA EUROPA «Barnabooth» di Larbaud Valéry Larbaud morì settantaseienne nel 1957. Ma da tanto tempo non era più lui. Paralizzato, costretto a sfogare l'antico gusto per l'eleganza in gesti disordinati delle mani ormai troppo bianche e scarnite, di lui più che lo scrittore restava il personaggio: un fioco simulacro dell'uomo un tempo fortunato e felice, innamorato della poesia, delle donne e del mondo con la golosa raffinatezza di un dilettantismo tanto innocente e geniale quanto pericoloso. Nulla di strano, insomma, se i necrologi di ima dozzina d'anni fa ricordarono il Larbaud amico di Gide e di Joyce, il sovrintendente alla traduzione francese del joyciano Ulisse, 11 letterato snob che non aveva mai sbagliato la scelta di ima cravatta o di un vino. Nulla di strano specialmente in Italia: dov'egli viaggiò e dimorò e ambientò non poche immaginose fantasticherie, ma rimase figura gelosamen- te schiva, da ricordare nel giro di pochi iniziati, quasi commemorandone il passaggio su una scia odorosa di lavanda e di buon tabacco. Il suo capolavoro, del resto, era comparso tra noi negli anni meno adatti: mentre l'ultima guerra finiva col vento ghiaccio di tante morti, di tanti furori, e quel capolavoro —' capolavoro davvero! — parve un fiore da gettare nel pozzo più buio dell'Europa. Giusto, dunque, che ora ricompaia. E' A. O. Barnabooth: un racconto — « Il povero camiciaio » —, diverse poesìe e quattro quaderni di « Diario » riuniti sotto il nome del miliardario sudamericano inventato da Larbaud come controfigura. Prima apparenza del volume — già sconcertante per la varietà delle forme e dei temi — è certo quella di un'ideale autobiografia in chiave di capriccioso, provocante snobismo. Ecco infatti questo Barnabooth — « amante dei luoghi solitari, dolce sognatore crepuscola¬ re » — eroe in terza persona del racconto d'apertura, nonché immerso hi aristocratica schermaglia di distaccate ironie. Ed eccolo, nel « Diario », oscillare fra sensazioni squisite — come certe immagini di Firenze: « ...l'Arno illividito dal vento, il cielo di feltro grigio e blu e la cupola triste di San Frediano, con le colline d'oltr'Arno dove gli ulivi hanno la leggerezza delle felci...» — e impennate di arrovellata superbia: « "Odio ì poveri!". Li odio, e con tutto l'odio che può nutrire un basso animo di paria per le caste superiori». Ma ridurre tutto alla semplice dimensione dello snobismo sarebbe far torto à Larbaud e a noi stessi. Forse qui hai un testamento della vecchia Europa: una voce di tempi tanto lontani da sfumare in leggenda. Ferdinando Giannessi VALÉRY LARBAUD: A. O. Barittibooth Ed. Bompiani; 342 pagine, lire 3200.
Persone citate: A. O. Barittibooth, Della Vecchia, Ferdinando Giannessi, Gide, Larbaud
Luoghi citati: A. O. Barnabooth, Europa, Firenze, Italia
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