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Il cuore malato di Detroit di Nicola Caracciolo
Il cuore malato di Detroit Inchiesta sulla crisi delle grandi città americane Il cuore malato di Detroit La metropoli continua a crescere sparpagliandosi, ed i quartieri centrali a decadere - Se ne allontanano anche gli uffici; non vi restano che i negri, i «poveri bianchi», i falliti - Si aggravano i problemi dei trasporti, dell'ordine pubblico, dell'economia; per chi vive nel centro, è difficile persino cercare lavoro (Dal nostro Inviato speciale) Detroit, maggio. Al terso piano di City Hall, negli uffici della Commissione per la programmazione urbana, riunione di un gruppo dì consulenti. « Bisogna (spiega un giovane architetto con una lunga barba) che il centro della città torni ad essere vitale. Come ottenere questo? Nel centro debbono essere costruiti edifici che abbiano significato per la vita dl tutti i cittadini. E visualmente bisogna che essi siano costruiti seguendo una serie di criteri: il 'Building deve-, essere " stimolante " fcr bello da veder-: si, cioè; bisogna dal primo colpo d'occhio poter capire a che serve; bisogna che attraverso di esso si generi un senso di fiducia tra il cittadino e le istituzioni che 10 governano» su una parete sfilano mappe dopo mappe, colorate in varia maniera. All'uscita dalla riunione Charles Blessing, direttore dell'ufficio per la pianificazione cittadina, spiega: « Stiamo cercando di costruire a Detroit un centro come c'è a Londra, Roma o Parigi ». 11 valore d'una piazza E' un'idea su cui in America si discute molto. Le grandi città di oggi, mi ha detto per esempio Lewis M/umford, non?' panno ,f più jina agorà, la piazza, delle nostre città rinascimentali. Sono luoghi dove la gente abita e lavora, ma hanno perso, o stanno perdendo, la capacità di essere punti d'incontro tra gente diver- sa. Il centro di Detroit, infatti, è un centro solo fino a un certo punto.. Non c'è una- strada, od un gruppo di strade in cui si possano trovare i negozi più belli della città, o I migliori ristoranti, o i teatri o i night-clubs. Dopo le sei di sera, il centro è deserto e abbandonato. Le strade si svuotano e, incolonnate lungo le autostrade, file interminabili di automobili lasciano la città per andare verso i sobborghi: la fascia verde di villette che circonda tutte le metropoli americane. 1 flel cenfrq^di Dtetjroil.phir rimane? I poveri,: per usare questo tèrmine in voga oggi nella sociologia americana, cioè quel dieci-quindici per cento della popolazione che, per un motivo o per un altro, è stata esclusa dalla prosperità generale. Ne fanno parte la maggioranza dei negri; i «poveri bianchi» che lasciano le montagne dell'» Apalachia » alla ricerca di un lavoro in città, e vi arrivano altrettanto impreparati, anche se meno discriminati, dei negri del Sud; e poi chi non ce la fa perché non riesce a farcela: ì nevrotici incapaci di mantenere un lavoro stabile, gli alcolizzati, i drogati e così via. E' una differenza di fondo, questa, tra l'America e gran parte dell'Europa: la miseria (con la sua cultura anarchica e disperata descritta da Oscar Lewis) non viene relegata alla periferia, gli slums sorgono accanto ai grattacieli dei centri direzionali. E' uno dei motivi per i quali non c'è vita notturna a Detroit, mi dice Blessing: la gente ha paura di venire in centro la sera. Forse, aggiunge, paura è un termine troppo forte; preferisce comunque non farlo, a meno di averne la necessità. Mi fa vedere all'ultimo piano di City Hall un plastico enorme, accanto all'ufficio del sindaco di quella che dovrebbe essere la Detroit del Duemila. La città, spiega sempre Blessing, sarà costruita secondo ì criteri di un nuovo umanesimo tecnologico, che integri e adatti senza respingerle le esperienze urbane delle civiltà precedenti. Comunque se prima la città — e l'America nel suo complesso — non riusciranno a risolvere i loro problemi sociali, è assurdo pensare che il centro urbano possa tor-. nare a svolgere la sua funzione tradizionale. Stesso discorso alla Commissione per la pianificazione regionale, Talus. Il direttore Irvìng Rubin è convinto anche luì che i problemi della città nascono dalla decadenza del centro urbano. Il rvàloré dei terréni al centro non è aumentato dal 1020; tenendo presente l'inflazione, ciò significa che è sceso a un quarto di quello che era. Le industrie preferiscono costruire i loro nuovi uffici lontani dal centro. La stessa cosa vale per le fabbriche. I nuovi impianti delle « tre grandi » dell'automobile — General Motors, Ford e Chrysler — sorgono sempre a distanza maggiore dal centro cittadino, verso la campagna dove i terreni costano meno. Si creano così, alla lunga, dei problemi dì comunicazione insolubili. La città si sparpaglia, sobborgo dopa sobborgo, per centinaia e migliaia di chilometri quadrati. La maggior parte degli abitanti per andare al lavoro usa l'automobile. I mezzi di trasporto pubblici non possono più, quindi, operare economicamente. La prosperità costa Chi non ha l'automobile a « Megalopoli » circola sempre peggio: è l'altra faccia del progresso economico americano. Ci si rende conto dì un problema paradossale e inaspettato: la prosperità è la cosa più costosa che ci sia. A volte troppo costosa. Per un operaio che lavora alla Ford e che guadagna, mettiamo, in media 8 mila dollari l'anno (circa 5 milioni di lire) pagarsi l'automobile con cui andare in fabbrica e il villino suburbano con il prato intorno, non è diffìcile. II problema dei poveri diventa invece insolubile. Per chi non ha l'automobile, diventa un'impresa disperata uscire dal ghetto, cioè dal centro cittadino dove le occasioni di lavo ro diventano sempre più rare, e andare a cercare impiego in periferia. E tra i negri del ghetto di Detroit, mi dice. Rubin, il livello della disoccupazione tocca punte altissime: il 20,25 per cento. Nell'estate del '37 il centro della città è stato devastato da una inaspettata rivolta di negri; potrebbe, giudica Rubin, succedere di nuovo ogni giorno: le cause .sociali dell'esplosione non sono state modificate. Il problema (conferma William Ostenen, dell'» Ente per i trasporti del Michigan ») non riguarda solo i poveri, ma tocca tutti i ceti: se i trasporti pubblici non funzionano con sufficien¬ te regolarità, ciò significa che non possono più muoversi gli adolescenti, le persone anziane non più in grado di guidare, gli ammalati. La soluzione? Sempre secondo gli studi di Rubin, in apparenza il principale problema dì Detroit, in termini di urbanistica, è quello di restituire la sua funzione al centro cittadino e di creare una rete di trasporti di massa rapida ed efficiente. In realtà è più vasto. Perché il ceto medio lascia i centri urbani? Un po' ^c'èv Ut violenza .dei ghetti; un po' il desidèrio di mantenere in maniera coperta — senza assumerne diretta¬ mente la responsabilità — un mìnimo di segregazione razziale (i negri che entrano a « Suburbio » sono molto rari). Ma c'è anche un fenomeno più complesso e meno facilmente classificabile: è come una crisi di nostalgia collettiva. Il ceto medio americano — l'SO per cento della popolazione, ormai — rimpiange forse, inconsciamente, il mondo semplice e la democrazia diretta dei villaggi e delle cittadine tradizionali americani? Comunque, ed è un fatto su cui i pianificatori debbono per forza fare i conti, non ama vivere nelle grandi città. Nicola Caracciolo Detroit. Un quartiere centrale della grande città americana durante la sanguinosa « rivolta » negra del luglio 1967
Persone citate: Blessing, Charles Blessing, Oscar Lewis, William Ostenen
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