Un gaio «Elisir d'amore»

Un gaio «Elisir d'amore» L'OPERA DI DONIZETTI IN SCENA AL TEATRO NUOVO Un gaio «Elisir d'amore» Il maestro Bellugi ha diretto un'esecuzione frizzante, con un pregevole cast di interpreti - Protagonisti Maddalena Bonifaccio e Renzo Casellato - Regìa di Brissoni Prima di concludersi con il Rigoletto,-la stagione lirica del Regio ha fatto una sosta quanto mai gradita nell'ameno giardino dell'Elisir d'amore di Gaetano Donizetti, andato in scena giovedì al Teatro Nuovo. Togliendolo da quel pozzo senza fondo che era la fantasia di Scribe, Felice Romani aveva scritto per Donizetti uno dei suoi libretti migliori, arguto, scaltro e funzionale; il musicista poi imboccò la sua strada con una tale decisione che in capo a due settimane il lavoro era finito. Ma questa velocità di compórre, diven- tata in breve leggendaria, noti' é un indice*di Superficialità come parve all'estetica del dramma musicale; rivoltando la questione, proprio il dominio dell'intera materia dell'opera in uno spazio così breve, prova l'unità ispirativa e l'organicità del lavoro (quell'unità alla quale il pensosissimo Verdi aspirava quando diceva che « la cosa importante è poter scrivere abbastanza in fretta»). Certo, tutta la vicenda e i quattro personaggi principali, sono ispirati ad una tinta sola: quella di una seducente dolcezza padana e lom- barda, tale da mettere quest'opera (accanto alla Sonnambula di Bellini) in una posizione particolare nel melodramma italiano, così ostinatamente aristocratico e sovrarregionale. In omaggio a una teoria, del resto classica, che vede nel comico un genere inferiore e considera la musonerta più edificante dell'allegrìa, i più fini conoscitori di Donizetti stanno all'erta per scorgere la melanconia ad ogni passo dei suoi capolavori buffi. E' una tendenza che aduggia soprattutto il Don Pasquale, ma non risparmia neppure l'Elisir: c'è, è vero, la « furtiva lagrima », ma il suo alone di mestizia viene esaltato appunto dal contesto frizzante in cui è usato. Per fortuna Piero Bellugi, che guida lo spettacolo, alla melanconia dell'Elisir, ci crede pochissimo; e ne vien fuori un'opera che sprizza salute e gioia da tutti i pori, con un'orchestra incisiva e saltellante. Pregevole e ben assortito il cast dei cantanti, soprattutto nei due protagonisti: Maddalena Bonifaccio, con la sua figurina che pare uscita da una miniatura romantica, tratteggia un'ammirevole Adina, mentre Renzo Casellato, una voce elastica e timbratissima, è perfetto nei panni di Nemorino. Carlo Badioli sfrutta in Dulcamara la sua lunga consuetudine con questa parte, mentre Giulio Fioravanti dà vita a un gustoso Belcore; un po'- incolore Donatella Rosa nelle vesti di Giannetta. Il coro, istruito da Antonio Brainovich, se la cava bene a cantare ballando e saltellando per la scena (i villani dell'Elisir non sono i sacerdoti di Aiceste); ma qualche volta non ce la fa a tenere il passo sbarazzino impresso all'orchestra da Bellugi. Alessandro Brissoni ha curato una regìa molto coscienziosa ed equilibrata, aiutato dalle belle scene di Ferdinando Ghelli. Superfluo invece il balletto che è stato introdotto all'inizio del secondo atto., sotto le parole del coro che festeggia il banchetto nuziale. La coreografia di Carlo Faraboni (con i solisti Ebe Alessio e Luigi Bonino) è garbata, ma davvero non sì vede la ragione di questo balletto, a meno non si sia voluto compensare la soppressione di quello ben altrimenti sostanziale, di Alceste. Felicissima la cronaca della serata, con frequenti applausi a scena aperta (un successo personale per il Casellato che ha bissato la romanza della lacrima), e numerose chiamate alla fine del primo atto e al termine della serata, g. p.