Qual è il futuro di New York? di Nicola Caracciolo

Qual è il futuro di New York? ESTÀ SULLE GRANDI CITTÀ DEGLI STATI UNITI Qual è il futuro di New York? E' una metropoli di contrasti esasperati • Capitale finanziaria, diplomatica, culturale del mondo, deve affrontare gravi problemi: la violenza, i conflitti di razza, l'inquinamento dell'aria, le difficoltà amministrative - I due maggiori urbanisti americani fanno previsioni contrastanti: per Mumford, sarà una megalopoli inabitabile; per Fuller, la tecnologia le garantisce un avvenire migliore (Dal nostro inviato speciale) New York, aprile. Cosa è oggi New York, la più viva città del mondo o un centro che ha oramai perso ogni capacità di venire incontro alle esigenze reali dell'uomo? « Megalopoli (dice l'urbanista Costantin Doxiadis) rischia di diventare necropoli ». Ad arrivarci in automobile dall'aeroporto Kennedy, la città comunque appare splendida. Da Queens, di là dal fiume Hudson, la «skyline», il profilo dei grattacieli di, Manhattan, dà l'idea di un paesaggio favoloso. Probabilmente — è questo il primo lato della medaglia — in nessuna città come a New York succedono oggi tante cose che interessino il mondo in generale. Il centro della diplomazia mondiale è oggi al « Palazzo di vetro » delle Nazioni Unite. La capitale finanziaria del mondo, che una volta era a Londra, oggi è a New York. Lo stesso vale per la cultura: per esempio in pittura l'influenza, che prima della guerra aveva la scuola di Parigi, oggi indubbiamente è passata alle gallerie della Madison Avenue. Tutto il mondo legge best sellers pubblicati dagli editori di New York: Truman Capote, Styron, Malamud, Roth. ' E attraverso di essi tutto il mondo riceve qualcosa dello stile culturale americano: è difficile spiegare in cosa consista l'atmosfera di New York. C'è una immensa creatività, ma anche un senso di estrema precarietà. La cultura contemporanea americana sembra rifiutarsi a consacrare dei classici. E' impossibile trovare in libreria i best sellers degli anni scorsi. Nessuna galleria si occupa di certi pittori (gli astrattisti o gli espressionisti, per esempio) che una dozzina d'anni fa sembravano rappresentare l'avanguardia. « E' la televisione, — dice Marshall Mac Luhan — la parola scritta portava al duraturo »; i mass-media invece puntano su cose passeggere e spettacolari, e l'intera società risente della loro influenza. Vera o falsa che sia questa interpretazione, è certo che New York ha per certi versi l'aspetto magico e frettoloso di una colossale giostra. L'altra faccia della Luna è invece oscura. Odi razziali, violenza, una miseria resa più tragica dall'enorme prosperità e dagli sprechi della maggioranza, la polluzione (secondo sempre Costantin Doxiadis, se le cose vanno avanti di questo passo, tra il 1980 e il 1990 tutti gli alberi di New York sono destinati a morire). E poi il dubbio che la città sia oramai semplicemente ingovernabile. Nel suo appartamento a Harvard mi riceve Lewis Mumford, il caposcuola (a voler dare alla parola un significato non troppo preciso) della tendenza urbanistica prevalente oggi in America: « Gli ultimi cinquant'anni — dice — per le città sono stati un disastro ». Occorre dare un colpo di freno allo sviluppo urbano: puntare su agglomerati di grandezza intermedia: le « new towns », le città satelliti. Centocinquantamila abitanti è il massimo per un centro urbano alla misura dell'uomo. Torneremo più avanti, nel corso di questa inchiesta, sulle idee di Mumford; è certo, comunque, che oggi le grandi città in America sono in crisi. Ma questa crisi non potrebbe essere, invece, il turbamento che precede necessariamente la nascita di una società totalmente diversa? E' la teorìa di Buckminster Fuller, l'altro (con Mumford) «grande vecchio » dell'urbanistica americana. Mumford sostiene che la tecnologia è impazzita; Fuller è convinto dell'opposto: la tecnologia sta liberando l'umanità da una serie di spauracchi ancestrali. L'americano di oggi è infinitamente più libero, più prospero, più sano e tutto sommato più felice dei suoi antenati. La casa viaggiante Per Fuller, l'America è oramai una società di nomadi, come lo diventerà il resto del mondo, quando avrà raggiunto lo stesso grado di' sviluppo. Fuller, che mi ricevè nel suo''albergo, il Mayflower, a Washington, è convinto che i guai delle città nascano dal fatto che l'America non ha imparato a fare uso completo delle infinite possibilità che la scienza offre: a suo avviso è impossibile tornare indietro. .La gente non rinuncia alle possibilità di continuo cambiamento che la vita di oggi offre. « Forse 11 governo finanziera ima serie dì cittàsatelliti intorno ai grandi centri urbani, ma fra una o due generazioni saranno città morte: oggi l'americano medio cambia lavoro, vende la casa e si sposta in un'altra città ogni cinque anni». Si crede che questo sia un fenomeno che riguarda i ceti più ricchi: non è vero. Su dieci « unità d'abitazione» che vengono vendute in America, tre .-•■mo formate da trailers, furgoncini con una o due stanze da letto, un bagno e una cucina che ci si può portare appresso dovunque con l'automobile: la maggioranza degli americani non ha voglia di passare tutta la vita nello stesso posto. Megalopoli sul mare Problemi del traffico? E' già oggi possibile costruire autostrade a guida automatica, che permettono l'assorbimento di un volume di traffico tre o quattro volte superiore al normale. Attraverso « Boswash » la possibile megalopoli del futuro tra Boston e Washington, dovrebbe correre un treno — i cui disegni sono già stati preparati da specialisti — capace di andare su un cuscino u.tria a cinquecento chilometri l'ora. La polluzione? Non esiste polluzione. Gli scarichi delle ciminiere e dei tubi di scappamento delle automobili rappresentano delle reazioni chimiche preziosissime: il problema è di saperle utilizzare, evitando che vadano ad avvelenare l'atmosfera. Comunque, si tratta di espedienti temporanei: la « megalopoli » del futuro' avrà problemi del tutto diversi. Sarà una città galleg' giante: non ha senso che l'uomo continui a costruire sulla terra, pagando il suolo a prezzi altissimi, quando la maggior parte della superficie terrestre è coperta dalie acque. Sarà una città senza polluzione, ricoperta da una cupola di materie plastiche, che lascerà passare i raggi del sole. Fuller ha disegnato il padiglione americano alla Fiera di Montreal appunto sotto una cupola trasparente, detta « duomo geodesico ». In essa 'ci sarà un clima d'eterna primavera: costerebbe meno condizionare o riscaldare un'intera città sotto la sua cupola che procedere, come si fa ora, abitazione per abitazione. E la terra? La terra — dice —. progressivamente abbandonata dall'umanità e restituita alla natura, potrebbe diventare un gigantesco parco pubblico. Non c'è in Buckminster Fuller qualcosa del visionario? Il vecchio architetto si difende con energia dall'accusa. L'America, dice, spende ottanta miliardi di dollari l'anno in armamenti: il costo di una megalopoli, « un'incantata Venezia dell'anno duemila» con dieci milioni d'abitanti, che galleggi sul mare. Chi ha ragione, Mumford o Fuller? Verso quale soluzione si orienterà l'America? Jack Fisher, della Wayne University di Detroit, mi ha detto d'essere convìnto che, allo stato attuale delle cose, il governo e le amministra! zioni comunali debbono limitarsi a una politica alla giornata; bisogna che contemporaneamente, però, le agenzie pubbliche e le Università collaborino per riesaminare il problema da tutti i punti di vista. « Tradizionalmente — dici — l'uomo era responsabile solo fino un certo punto del suo " habitat ". Le forme della città e dell'abitazione gli erano in gran parte date dalla tradizione. Oggi, per la prima volta nella storia, può scegliere ». E l'America ancora la sua scelta non l'ha fatta. Nicola Caracciolo ■♦ New York. Il ponte Giovanni da Verazzano, Il più lungo ponte sospeso del mondo (1295 metri). Collega Brooklyn e Staten Island.Vi convergono 12 strade (FotoE.P.S.)