Volevano convincere la gente che la diga non era un pericolo di Guido Guidi

Volevano convincere la gente che la diga non era un pericolo Continua all'Aquila il processo del Vajont Volevano convincere la gente che la diga non era un pericolo L'ex vice sindaco di Longarone ricorda: «Telefonai preoccupato in cantiere, mi dissero che, se veniva giù acqua, potevo aprire l'ombrello » (Dal nostro inviato speciale) L'Aquila, 21 aprile. La parola d'ordine, a Longarone, era che nessuno doveva preoccuparsi, e chi, eventualmente, mostrava di avere qualche timore doveva essere tranquillizzato: niente allarmi, e quindi niente precauzioni. Sono stati interrogati oggi dal Tribunale i primi testimoni prescelti fra coloro che, impotenti, hanno assistito alla tragedia del 9 ottobre 1963, salvandosi soltanto perché così volle il destino. Il quadro della situazione che hanno delineato è sufficientemente chiaro. « Alla vigilia della frana — ha,ricordato Terenzio Arduini, che era vice-sindaco a Longarone — telefonai in cantiere sul Vajont. Chiesi che cosa sarebbe accaduto nella vallata se le sponde della diga avessero ceduto. Qualcuno mi rispose che, non appena avessimo sentito qualche goccia d'acqua, avremmo potuto aprire l'ombrello». « Tutti nella zona erano preoccupati — ha aggiunto don Gastone Liut, parroco di Erto e Casso —, ed io parlai di questi timori con il viceprefetto di Udine, dott. Piva, il quale mi rispose che non ne sapeva assolutamente nulla ». «Ebbi un colloquio con l'ing. Mario Pancini — ha detto inoltre Terenzio Arduini —, e l'ingegnere mi disse che non vi erano pericoli ». Per raccontare il loro dramma, hanno attraversato l'Italia: mille chilometri per venire, altrettanti per tornare. Per i sopravvissuti alla distruzione di Longarone è stato, questo, un viaggio quasi inutile. Hanno avuto appena il tempo, oggi, per sedersi davanti al Tribunale, confermare quanto avevano detto in istruttoria ed andare via. Un testimone ha corso il rischio di essere arrestato. Giovanni Della Putta è un minatore, un invalido del lavoro. Si è salvato dal disastro soltanto perché la - mattina del 6 ottobre '63, tre giorni prima della frana, si infortunò e venne ricoverato all'Ospedale di Belluno. E' rimasto zoppo ed è costretto a camminare appoggiandosi ad a ■ 111111111111111 • 111111 e 111 ■ i : ■ e 11111 ■ 11111 ■ 111 .i i un bastone. Nella tragedia del 9 ottobre 1963 ha perso diciassette parenti, tra cui tre Agli, il fratello e la sorella. Anche a lui, l'ing. Pancini, che si è poi ucciso alla vigilia di questo processo, forse perché oppresso dal rimorso di avere sbagliato le sue previsioni, disse di stare tranquillo. Giovanni Della Putta ha avuto appena il tempo per dire oggi al ■ Tribunale che confermava quello che aveva raccontato ih istnittoria. Pòi è stato invitato ad andar via. Sennonché sentiva il bisogno di aggiungere qualcos'altro. « Posso? », ha chiesto al presidente. « Dica pure », gli ha consentito il dott. Del Forno. « Speriamo — ha detio con aria ingenua, mostrando di non rendersi conto che stava invece facendo un'affermazione gravissima —, speriamo che qui si faccia giustizia, altrimenti ci si dia carta bianca ». Presidente (urlando): «Fuori, se ne vada. Fuori di qui. Un'altra parola ancora e lei perde la sua libertà. Fuori! Fuori! Non accettiamo intimidazioni ed intimazioni da nessuno, sia pur da chi esercita, come lei, un sacrosanto diritto ». Giovanni Della Putta, senza replicare^ se ne è andato. Fuori dell'aula non riusciva a rendersi conto del motivo per cui il presidente si fosse tanto arrabbiato. «Sono sei anni che aspettiamo questa giustìzia — commentava — ed io in quella disgrazia ho perso diciassette persone». ■ Guido Guidi iiiiiiitiiimimiiiiimiiiimiHiiim iiiiiiiitiiii Il teste Giovanni Della Putta esce dall'aula dopo l'incidente col presidente all'Aquila (Telefoto Ansa)

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