Sbadiglio per un campione di Giovanni Arpino

Sbadiglio per un campione SPECCHIO DELLA DOMENICA Sbadiglio per un campione Queste ultime domeniche del massimo -campionato di calcio risultano elettriche e vive solo per una frazione della grande massa dei tifosi: juventini, interisti, napoletani, bolognesi, romanisti, insomma la spina dorsale del tifo nostrano, guardano con rassegnazione le gesta altrui, anche se sono disposti a interessarsi in senso critico, anche se non sì sentono mai estranei alle imprese di squadre chiamate Fiorentina, Milan, Cagliari (e oggi anche il Torino). Alla delusione, qua e là patetica qua e là rabbiosa, di molti appassionati, si aggiunge un altro tipo di rimpianto: per il calciatore, considerato grande, o addirittura grandissimo, e che nel corso del lungo campionato non ha corrisposto alle attese, è stato sommerso da una mediocrità quasi generale. Mazzola, che ha segnato meno goals del suo stesso terzino Pacchetti, Rivera che ha alternato buone prestazioni a gare-mediocri e svuotate di energia, un Altafini troppe volte smarrito, un Haller dai pistoni non sempre efficienti, hanno dovuto cedere il blasone della popolarità a nomi nuovi, Riva e Chiarugi, Boninsegna e Landini II, Merlo e Anastasi. Il calcio rinnova le proprie speranze come un alberello di marzo, e si fa presto a dimenticare cos'è stato Hamrin, cos'è stato Picchi o Castano o An- gelillo: lo stadio giudica senza pietà, il campione che perde lo scatto o denuncia i proprii vizi di dribbling e di tiro, strappa commenti amari, provoca sbadiglio e infine si tira addosso derisione e insulti. E' nella logica del grande spettacolo, che pretende atleti e attori in gran forma, ma è una logica che diventa chiara solo quando il tifo si raffredda: finché la passione dura, il centravanti stanco, lo stopper anchilosato, l'ala priva di guizzo, vengono perdonati dall'ostinata fiducia, dal cieco affetto del sostenitore popolare. Dura pochissimo, questa logica « a bocce ferme »: già si riparla di innesti, travasi, trapianti da una squadra all'altra, di cosa farebbe Mazzola al fianco di Anastasi, di quanto inventerebbe Combin sui lanci di Rivera, di quale apporto darebbe Suarcz alla retroguardia cagliaritana... Sogni, appunto, che rimettono in soffitta il pacato ragionamento di un attimo. Congetture critiche da caffè, ingenue fino alla commozione. La gente che segue i grandi clubs non si accontenta che la propria squadra appartenga al gruppo delle nobili, poche e ragguardevoli società che illustrano da decenni il campionato di football, sia che vincano sia Che cedano. Arrivare secondi o terzi, in Italia, non ha mai contato nulla: o si vin¬ ce e quindi si ha ragione o si perde e si è subito ridicoli, imbelli, se non addirittura stupidi e imbroglioni. Si rispetta il secondo soltanto se è un outsider di scarsi mezzi, arrivato fin lì di soppiatto, ma incapace di creare fastidi alla lunga. Approfittiamo di questo momento favorevole alla critica pensata e non accesa per giudicare con un mìnimo di serenità i campioni in gara, siano essi vispi o al tramonto, liberi o no da difetti di impostazione, tattica, forma. E' un momento buono per capire il calcio, proprio perché la passione tende a decrescere. Senza tante urla, ci si può mettere a vedere con occhi freddi lo stop con scarto di Anastasi, il gioco sul rimpallo dì Mazzola, i lanci ritardati di Rivera, che i compagni d'attacco sanno come spiovono giusti ma sempre dopo un attimo d'attesa, il gioco fulmineo del sinistro dì Riva, che non solo esplode colpi di mortaio ma scarta e tocca ad altissima velocità. Saper vedere cosa significa? Significa questo: che non si sbadiglia per partito preso o per cecità critica. Il football è gioco complesso, che tira fuori la sua verità spettacolare anche in partite mediocri, anche nelle prestazioni di giocatori appannati. Guardare — cioè « saper guardare » — per credere. Giovanni Arpino

Luoghi citati: Cagliari, Italia