Il neo-cardinale Daniélou teme l'ateismo della cultura

Il neo-cardinale Daniélou teme l'ateismo della cultura Il neo-cardinale Daniélou teme l'ateismo della cultura L'« età costantiniana » della Chiesa ha trovato in lui un difensore d'alto livello Jean Daniélou, gesuita bretone, promotore nel dopoguerra della « nouvelle teleologie », studioso fra i maggiori delle origini cristiane e della patristica, grande amico di La Pira e fedele partner dell'allora sindaco di Firenze nei suoi convegni internazionali fra il '53 e il '56 (che anticiparono molti temi religioso-politici di oggi), perito conciliare rimasto un po' nell'ombra durante l'assise vaticana, è ora più che mai — neo-cardinale — una figura di spicco nel pensiero cattolico. A differenza del confratello tedesco Karl Rahner, che non esita ad accettare un cristianesimo « della diaspora », cioè non più sostenuto da strutture ed appoggi temporali, Daniélou vuol mantenere i condizionamenti esterni della fede, ne teme la morte in mancanza di un clima socio-culturale favorevole. Egli pensa che la naturale religiosità delle masse sia minacciata dall'ateismo della cultura e che si debba puntare sulla ricostituzione di « cristianità » in qualche modo stabili, cioè di popoli interamente cristiani. E' stato detto che « l'età costantiniana » ha trovato in lui l'ultimo difensore di alto livello. Entro tale prospettiva si pone anche un recentissimo libro che intende essere « il testimone di una fede solida e sana di fronte alla contestazione contemporanea ». Òtto rapidi capitoli, in quella scrittura nervosa, lucida, a periodi brevi, che sa farsi capire anche dal lettore sprovveduto, caratteristica del Daniélou: quello sulla concezione cristiana della libertà è forse il migliore. Tutto il libro è un'appassionata battaglia contro la « secolarizzazione » e contro il «disfattismo interiore», «l'indebolimento della fede» di molti cristiani, i quali « si comportano come cani bastonati », ormai disposti a inginocchiarsi di fronte al mondo, secondo la celebre espressione di Maritain. E' vero che la riduzione del cristianesimo alla semplice relazione dell'uomo col suo prossimo può significare un orizzontalismo assurdo, può far dimenticare l'adorazione di Dio, i valori della preghiera, l'evento della resurrezione, l'istituzione ecclesiale. E' vero che il credente non può domandarsi se la fede ha un avvenire ma deve solo cercare la nuova immagine della fede, rinnovarne le forme per l'uomo di domani. E in tal senso queste pagine sono una lezione esemplare. Tuttavia ci richiamano un tono apologetico cui il Concilio, francamente, ci aveva disabituati. Si prenda il discorso sull'ateismo: c'è una gran, differenza fra lo « scontro intellettuale per dimostrarne la falsità » auspicato dal Daniélou e le affermazioni autocritiche della costituzione Gaudium et spes e dell'enciclica Ecclesiam suam sulle deficienze dei cristiani come possibili, non trascurabili cause di certe negazioni di Dio. Analogamente, risulta abbastanza rischioso denunciare i falsi profetismi che, mettendo in questione l'autorità della Chiesa, disgregano la fede e decompongono l'istituzione, quando non si sviluppa il tema, pur enunciato, della partecipazione alla responsabilità, con tutti i problemi che ne conseguono, inerenti alle stretture e ai modi di esercizio dell'autorità. Sono problèmi che stanno oggi al centro della crisi, sia della Chiesa, sia della società civile. Stranamente Daniélou sembra ignorarli (nemmeno un accenno, nei capitoli sui preti e sui laici); eppure sono i problemi decisivi per la sorte dell'istituzione. Il libro conferma, con l'autorità della consacrazione episcopale che precederà il conferimento della porpora, un orientamento riyolto ad affrontare le tensioni scatenate dal Concilio in termini fondamentalmente elusivi: realistici solo a metà. Mario Gozzini JEAN DANIÉLOU: L'avvenire della religione • E. Boria; pagine 156, lire 1200.

Persone citate: Jean Daniélou, Karl Rahner, La Pira, Mario Gozzini Jean, Maritain

Luoghi citati: Firenze