La protesta violenta non è mai democrazia

La protesta violenta non è mai democrazia Fasserin d'Entrèves ai "Venerdì» La protesta violenta non è mai democrazia Un regime libero accetta, anzi favorisce il dissenso interno delle minoranze; respinge la contestazione globale La resistenza violenta non ha nessuna giustificazione in una società democratica. Ma occorre che questa società accordi al dissenso interno il massimo della tolleranza compatibile con il .rispetto delle leggi, quando si trovi di fronte a individui che, per ragioni di coscienza e di principio, violano consapevolmente queste leggi e affrontano coraggiosamente le conseguenze della loro azione. La resistenza violenta è invece concepibile, anzi auspicabile, secondo una regola morale che fa appello all'autorità di San Tommaso, in una società retta dal tiranno. Questo il succo della conferenza tenuta ieri sera al teatro Cari, gnano dal professor Alessandro Passerin d'Entrèves per 1 Venerdì Letterari. Passerin d'Entrèves insegna attualmente filosofia politica all'Università di Torino, dopo aver trascorso undici anni a Oxford come titolare della cattedra di Studi Italiani. Si laureò a Torino, all'epoca di Ruffini e Einaudi, e fu amico e collaboratore di Piero Gobetti a R'sorgimento liberale. E' riassunta in lui t.'tta una tradizione radicale che lo ha condotto a considerare serenamente, con rigorosa obiettività, la « contestazione » dei giovani dei nostri giorni. E' un uomo di un'altra generazione, e riconosce che il dialogo con chi cerca il rovesciamento globale delle attuali strutture è « molto difficile ». Più utile è con gli altri, che, come lui, criticano l'ordinamento democratico attuale dall'interno. « Molti anziani — ha detto — sono perplessi di fronte a un certo tipo di difesa della democrazia. Questa difesa è fondata sul principio che, come ha dichiarato un generale italiano, " se tutti i cit. tadini contribuiscono in un sistema democratico a dettare la politica messa in atto dal Parlamento da essi eletto, il singolo non può opporsi alle leggi democraticamente elaborate ". Tale concetto di obbedienza in un regime democratico serve a imprigionare gli obiettori di coscienza e chi avversa le guerre ingiuste, di qua e di là dall'Atlantico ». Tale idea del rapporto fra Stato e cittadino, ha osservato Passerin d'Entrèves suscita molti dubbi perché si fonda sull'assioma, tutt'altro che dimostrato, che il numero abbia sempre il diritto di imporre la sua volontà alla minoranza. E' un'idea che già Aristotele avversava e che oggi si può riprendere anche alla luce della storia e dell'esperienza. Al nostri giorni la democrazia presuppone il consenso dei cittadini, anzi affida lo scettro della sovranità al popolo. Ma questo, spesso, è scritto soltanto nella Costituzione. In realtà lo spettacolo che ci sta sotto gli occhi è malinconico: la partitocrazia, le disfunzioni del Parlamento, la strapotenza dei sindacati, il sottogoverno, i « persuasori occulti », i « padroni del vapore » oppongono innumerevoli diaframmi al libero esercizio della sovranità popolare. Sono questi 1 mali della democrazia. E non basta, dice Passerin d'Entrèves, criticarli. Occorre correggerli, prima di tutto per togliere ai giovani l'impressione che la democrazia sia soltanto uno dei « tranelli » con cui le classi dominanti hanno sempre saputo imporre il loro volere agli oppressi. Migliorare questo sistema significa sostanzialmente accordare alle minoranze 11 massimo di libertà possibile, soprattutto sulle questioni in cui i cittadini, per ragioni di coscienza individuale o per motivazioni di ordine religioso, non intendono rinunciare alle proprie opinioni. S'intende che non basta lasciare, in questi casi, soltanto liberta d'espressioni: ciò equivarrebbe a imporre una specie di gioco dalle regole formalmente larghe, ma sostanzialmente costrittive. L'obiettore di coscienza, che dimostri con pienezza la -legittimità morale del suo comportamento, ha il diritto di non imbracciare le armi. In tutte le altre questioni (economiche, sociali, politiche) la norma che il numero ha il diritto di fare le leggi e di chiederne il rispetto prevale su ogni altra considerazione. Passerin d'Entrèves ha concluso: lo Stato tollerante dimostra la sua forza, lo Stato che reprime mostra la sua debolezza. Il compito primo di una società moderna è quello di riconoscere il valore dell'individuo e delle sue opinioni; in tale situazione l'unica resistenza possibile è quella passiva (non violentai. Diverso è il'caso dei regimi dittatoriali. Rispondendo a un giovane che lo interrogava dopo la conferenza, Passerin d'Entrèves ha dichiarato: « Occorrerà esaminare caso per caso: ma dove le condizioni obiettive non consentono altra via d'uscita, è saggio appellarsi ancora a San Tommaso: " Chi uccide uri tiranno è un eroe " ». g. J. c<

Persone citate: Alessandro Passerin, Einaudi, Passerin, Piero Gobetti, Ruffini

Luoghi citati: Entrèves, Oxford, San Tommaso, Torino