Pavia vive ancora nell'«età dei Comuni » di Giampaolo Pansa

Pavia vive ancora nell'«età dei Comuni » Inchiesta sul crocevia di quattro regioni Pavia vive ancora nell'«età dei Comuni » La provincia è frazionala in 190 paesi isolati e deboli - Per il rilancio econo, mico della zona occorre eliminare questo pulviscolo di micro-organismi - Prevista la creazione di 17 «grandi Comuni» sorti dalla fusione dei centri minori (Dal nostro inviato speciale) Pavia, 7 aprile. Oggi 190 comuni, isolati, deboli, con battaglioni di micro-municipii cadenti e pieni di polvere, un solo impiegato, bilanci irrisori e sogni impossibili. Domani, forse, tutta la provincia articolata su 17 «grandi comuni », sorti dalla fusione e dall'aiuto reciproco di centri omogenei. Una prova di come l'Italia delle regioni può anche non essere soffocata sul nascere dall'Italia dei campanili. La speranza è grossa: riguarda Pavia ed è racchiusa in uno studio fresco fresco dedicato alle aree di programmazione in provincia. Pavia è una provincia divisa, una delle più frantumate della Lombardia. Al centro una città «scontrosa, flemmatica, non militante », come ha scritto il sindaco del capoluogo, Giovanni Vaccari. Poi tre « teste » con vocazioni diverse e che spesso guardano altrove: Vigevano, arruffata e ribollente, verso Milano; la languente Mortara verso il Piemonte; Voghera, piena di attese, verso Alessandria e Genova. Infine un pulviscolo di comuni che diventano sempre più piccoli e in perdita progressiva di forze e speranze: decine di centri inferiori ai mille abitanti, 30 di questi con meno di cinquecento anime, i casi limite di Roncaro (230 persone), Velezzo (219), Canevino (210), Villa Biscossi (168). E questa tendenza alla polverizzazione si accentua. Nel 1951 i comuni con meno di mille abitanti erano 53; dieci anni dopo erano già 63 e nel 1967 erano saliti ancora, sino a 73. Con conseguenze immaginabili. Il livello mediocre o pessimo dei servizi in 156 dei 190 centri della provincia. Un tenore di vita spesso molto basso, o comunque assai al di sotto della media regionale lombarda. Più di 170 comuni ancora a carattere rurale o semi-rurale, eppure non di rado divisi da vecchi rancori, in lite gli uni con gli altri, restii non solo ad unificarsi ma persino a lavorare insieme. « Certo: fare qualcosa assieme. Ci abbiamo provato — dice un giovane politico pavese. — Ma i risultati spesso sono stati deludenti. Tra i centri della provincia c'è più di un muro, sono diversi persino i dialetti e i tipi umani. Lo spirito di gruppo non è una delle qualità dei pavesi... ». I tentativi di consorzi fra comuni sino ad oggi non hanno prodotto gran che. Il Piano intercomunale pavese, il Consorzio intercomunale per l'Alta Lomellina, l'Associazione dei comuni della Bassa Lomellina, l'Associazione intercomunale del Basso Pavese: ci sono, qualcosa fanno, ma sino ad oggi si è visto poco. Anche per far sedere allo stesso tavolo i cinque rappresentanti di Pavia nel Comitato Regionale per la programmazione ci vollero complesse trattative e le spinte polemiche di qualche giornale. Adesso la speranza si riaccende per un'iniziativa della Camera di Commercio di Pavia, una delle più attive in Italia, presieduta da Alberto Ricevuti e diretta con notevole dinamismo dal segretario generale Luigi Ruffino. L'iniziativa è contenuta in un lavoro condotto da un giovane studioso di statistica, Giorgio Scovenna, nel quale si propone di distribuire i 190 comuni della provincia in « aree di programmazione » ,o comprensori (in soldoni: gruppi di comuni) per mettere in moto quel meccanismo di sviluppo economico e delle strutture civili che questi centri da soli non riuscirebbero mai ad innescare, a far partire. I comprensori individuati sono diciassette. Cinque già industrializzati o rapidamente industrializzabili che fanno capo a Pavia, Vigevano, Voghera, Casteggio e Stradella. Quattro in prevalenza agricoli: Valle Lomellina, Santa Maria della Versa, Gcdiasco e Varzi. Otto a varie combinazioni di attività agricole e industriali: Garlasco, Robbio, Sannazzaro de' Burgondi. Mede, Chignolo Po, Belgioioso, Casorate Primo e Landriano. «E' una suddivi¬ sione di massima — osserva Scovenna. — Alcuni comprensori potranno anche essere aggregati, sommarsi. Altri potranno essere modificati: la nostra è soltanto una proposta ». Che funzione avranno questi gruppi di comuni? «Tre funzioni. Dar vita a consorzi per determinati servizi, ad esempio costruzione di scuole, acquedotti, fognature, trasporti. Occuparsi, soprattutto nei centri maggiori, della pianificazione urbanistica. Ed infine impegnarsi nel lavoro più difficile ma più importante: quello di favorire lo sviluppo economico. Sarà necessario individuare i comprensori da industrializzare, scegliere le zone più adatte per gli insediamenti, attrezzarle e metterle a disposizione delle aziende che vorranno stabilirsi nel Pavese». Un obiettivo non da poco per la provincia di Pavia che è meno depressa delle altre due province meridionali lombarde, Cremona e Mantova, ma che dipende ancora in buona parte da Milano (più di undicimila pendolari). Lavorare assieme può aiutare a raggiungerlo. Per questo, a giugno, si terrà un convegno sui comprensori, con tre relazioni: del professor Mario Talamona, docente di economia politica nell'Ateneo pavese; del presidente della provincia, Walter Damiani, e del presidente della Camera di Commercio, Alberto Ricevuti. Sarà in quella sede che la proposta di suddividere la provincia in 17 «grandi comuni » verrà analizzata più a fondo e discussa dagli enti locali interessati. Giampaolo Pansa

Persone citate: Alberto Ricevuti, Belgioioso, Garlasco, Giorgio Scovenna, Giovanni Vaccari, Luigi Ruffino, Mario Talamona, Sannazzaro, Walter Damiani