Le forze di lavoro

Le forze di lavoro Le forze di lavoro (Rapida e complessa trasformazione della nostra economia) Una delle rilevazioni di tipo più moderno tra quelle svolte dall'Istituto Centrale di Statistica riguarda le forze di lavoro. Si tratta di una indagine campionaria tecnicamente ottima; è un vero peccato che l'Istituto non abbia i fondi per aumentare il campione si da renderlo valido anche a livello provinciale. Tuttavia, il campione stesso è più ampio di quello usato persino negli Stati Uniti per l'analoga rilevazione. Recentemente è stato osservato; su un quotidiano, che l'indagine in questione appartiene alla categoria delle « bugie convenzionali » non essendo credibile che le forze di lavoro costituiscano una così bassa percentuale della popolazione, né che il settore terziario (commercio, servizi, pubblica amministrazione, ecc.) occupi, per contro, tante unità lavorative. E menò credibile ancora sarebbe il fatto che le donne ritornino numerose alle cure domestiche; mentre addirittura alcuni milioni di persone non sarebbero alla ricerca di una occupazione soltanto perché non saprebbero dove trovarla. Forse era bene non enunciare proposizioni cosi drastiche (qualcuna ha trovato una smentita nei dati ufficiali ' successivi alle ricordate osservazioni) perché si tratta di un settore estremamente complesso. Le ultime cifre relative all'indagine sulle forze di lavoro condotta in gennaio, confrontate con le analoghe rilevazioni nello stesso mese dell'anno precedente, portano ai seguenti risultati: le persone che cercano occupazione — disoccupati e giovani che aspirano ad una prima sistemazione — costituiscono il 4,1% delle forze di lavoro, come nel gennaio 1968; ma, mentre sono diminuiti di 79 mila i disoccupati veri e propri, i giovani in cerca di prima occupazione sono aumentati di 58 mila unità. Il numero degli addenti continua a decrescere nell'agricoltura, che raccoglie ora il 20,98% degli occupati; è cresciuto nell'industria (che ne ha il 42,8%); è diminuito nel settore terziario (che ne ha il 36,21%); il totale delle forze di lavoro costituisce il 36,5% della popolazione residente; nel gennaio 1968 era del 37,2%. È aumentato, infine, di 142 mila unità il numero dei sotto-occupati, mentre la occupazione globale di tutti i settori è diminuita di 204 mila unità. La situazione risulta, quindi, abbastanza complessa ed è il frutto di una economia in fase di rapida, continua e complicata trasformazione, Noi non siamo più un paese agricolo, ma abbiamo troppi agricoltori (20% contro il 3% dell'Inghilterra ed il 5% degli Stati Uniti); siamo un paese industriale che sembra avviarsi verso un'economia terziaria, ma i nostri addetti a tale settore sono ancora estremamente inferiori a quelli dei paesi che, ormai, poggiano su questo tipo di economia (36% contro il 60% degli Stati Uniti ed il 57% del Canada). Non stupisca, in primo luogo, il fatto che sia calata l'occupazione e non sia ere soiuta la disoccupazione; il fenomeno ò comune, perché una parte degli occupati può passare — ed è, di fatto, passata — nella popolazione non attiva. Circa il settore terziario, dopo la Grecia, il Portogallo e la Spagna (paesi più poveri di noi) siamo su uno dei livelli più bassi e, contro ogni aspettativa, la percentuale degli addetti a tale settore si è ora abbassata. Meno evidente appare la diminuzione della percentuale della popolazione attiva rispetto alla popolazione totale e il suo basso valore: i paesi dell'Europa occidentale, in genere, ci superano. Sul tasso in questione agiscono molte cause: la distribuzione per età della popolazione, la proporzione dei sessi, le provvidenze sociali, il livello dei .salari reali, ecc. Più interessanti sono le cause che attualmente influiscono sulla diminuzione della percentuale. La più importante è data dal fatto che coloro i quali erano coadiuvanti nell'agricoltura, quando il capo famiglia si inurba, non trovano lavoro in città e passano nella popolazione non attiva. Seguono gli effetti della maggiore sco larità; dell'aumento delle re tribuzioni, che permette a molte dpnne di ridedicarsi al¬ le sole oure domestiche; delle migliori pensioni, che danno la possibilità all'anziano di non lavorare. Altre cause agiscono: la diffusa abitudine di lavori extra-contrattuali, non denunciati né come occupazione né come disoccupazione (che evitano il pagamento dei contributi previdenziali) e sono frequenti nell'edilizia, specialmente attraverso la creazione di cooperative fittizie; l'abitudine di aiutare i familiari che hanno piccole aziende, senza denunciare l'occupazione per timore di imposte. Non ultimo è certamente il fatto che non poche delle forze di lavoro sono occupate all'estero, ma continuano a - figurare residenti nel paese d'origine. ' Il decrescere della popolazione attiva, rispetto a quella inattiva, non deve, quindi, troppo preoccupare. Si tratta iiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiimiimiiiiiii iiiiiiiii siiiiiiiiimmiiiiiiiiiMiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiidi un fenomeno che, dal 1861, si è costantemente verificato in Italia, come in quasi tutti i paesi esteri. È estremamente probabile che il decremento continui .nel prossimo futuro, come continuerà a scendere, anche se :?iù lentamente, il numero dei lavoratori agricoli. Nel settore terziario è prevedibile, invece, una ripresa di occupazione, anche se oggi esso sembra essere saturo in relazione al nostro livello di redditi ed alla già eccessiva rete . di distribuzione, nei riguardi del commercio. Resta un solo punto dubbio che potrebbe generare una situazione preoccupante: sarà capace l'industria di assorbire gli spostamenti di lavoro dagli altri settori e le nuove leve? In un domani certamente sì; per ora rimane il punto interrogativo. , Diego de Castro (hPcaPdincasichgiantepbraPagqc

Persone citate: Diego De Castro

Luoghi citati: Canada, Europa, Grecia, Inghilterra, Italia, Portogallo, Stati Uniti