La lotta della cultura a Praga di Arrigo Levi

La lotta della cultura a PragaIXCUIESTA IX CECOSLOVACCHIA SEI MESI UOPO La lotta della cultura a Praga In un fronte unico con gli studenti ed i sindacati/gli intellettuali continuano una tenace resistenza ai russi - Il paese rimane il più libero del mondo comunista: la censura imposta dall'invasore non funziona - Lo spirito combattivo delP«élite» culturale si appoggia a una solida tradizione di studio (Dal nostro inviato speciale) Praga, marzo. Mi raccontano un fatto accaduto il giorno dopo l'invasione. E' trascorsa la notte del tradimento, i russi hanno in mano la'città, i carri armati sono dappertutto. Alcuni dei capi ^cecoslovacchi sono ancora riuniti in,una sala del Comitato centrale, guardati a vista, ma trattati cortesemente, da ufficiali paracadutisti russi, armati e imbarazzati. À mezzogiorno Suonano a lungo le sirene delle fabbriche. I russi hanno un sussulto, corrono alle finestre, vedono tutti immobili nelle strade, chiedono ai cèchi: «Che cosa succede»? 1 cèohi. rispondono: « Sarà un invito degli operai a scioperare». Là spiegazione, che era infatti vera, viene accolta dai sovietici con risoie e la più completa incredulità; la trovano una barzelletta, « gli operai — dicono — se ne fregano dt queste cose, agli operai basta avere la pancia piena». Chi mi racconta questo llllUllllllll!lllttlll!lllll|tllllllllllllllieilllMI|[lll episodio lo fa per spiegarmi come mai, sei mesi dopo l'invasione, la Cecoslovacchia sia ancora in molti campi un paese autonomo, dove non soltanto si parla, ma si scrive con una certa libertà di moltissime còse. « I russi non ci sanno fare — mi dicono — non hanno esperienza di occupazioni (hai'si) e non capiscono un paese sviluppato di tradizioni democratiche. E poi si sono trovati di fronte all'alleanza degli operai eon gli intellettuali ». Giornali coraggiosi Da qualsiasi punto muova il discorso sulla Cecoslovacchia d'oggi, si ritorna, come dato centrale, a quest'alleanza. Oltre ad appoggiarsi reciprocamente, ognuno fa la sua parte. Vediamo qual è l'azione degli intellettuali. Il fatto più importante è che fino a questo momento (si vive, beninteso, in condizioni che potrebbero sempre peggiorare o anche pre¬ lllllll1lllillllIIM1IllllllMII ■ 11111 ■ 11111 ■ 111111111 11 cipitare all'improvviso) la censura imposta dai russi funziona poco. Mi spiega un dirigente dei giornalisti: « A settembre fu istituito l'ufficio stampa e informazione del governo, e si arrivò ad un gentlemen's agreement. Non c'è censura preventiva, e i " censori " debbono essere persone gradite alla redazione, talvolta suoi membri. Ci è stato dato un elenco di argomenti proibiti, per lo più intenzionali. Il giornale che non rispetta le regole può subire ammonimenti, multe, sospensioni. Era stato sospeso anche Reporter, settimanale politico dellTjnione giornalisti, per aver criticato la censura; ma la nostra Unione, come editore, fece causa all'ufficio stampa e informazione, impugnando il decreto di sospensione. Alla fine ci siamo messi d'accordo e Reporter è tornato a uscire come i prima, con la stessa redazione ». Reporter è spregiudicatamente progressista, come la 111 >■ 1111 II 1111111111111111 II 11111111 il 1111 II 11111111 ■ Il !■ gran maggioranza della stampa. Ci sono ancora quasi tutti i giornali che esistevano prima dell'invasione, e qualcuno di più: per esempio Zitrek, settimanale polìtico socialista, molto venduto e molto combattivo. Per qualche tempo fu sospeso anche Politika, settimanale politico dell'ala «progressista» del partito; giornalisti e tipografi riuscirono a ottenere che ricomparisse. Un collaboratore di Zitrek mi dice: «La censura sostanzialmente non funziona perché è difficile trovare abbastanza censori. Il nostro viene una volta la settimana, parliamo, ci dice: " Vi prego, vi prego, non scrivete niente contro i russi, ci complica le cose, per favore!" Cosi si fa la censura. I russi possono imporre una struttura istituzionale. Ma dentro le istituzioni ci sono i cèchi, che la pensano come noi ». Ancora oggi la stampa discute apertamente ì grandi problemi interni, fa anche allusioni all'invasione. Un esempio fra tanti: Lidova Demokracie ha intervistato giorni fa il leader degli scrittori Frantisek Vrba e ne ha riferito le parole: « Le richieste degli scrittori — libertà di stampa, partecipazione democratica, inviolabilità della persona' — sono state accolte da tutti. Lo dimostra l'attuale situazione. Nonostante tutte le complicazioni causate dall'interferenza esterna, nessuno è riuscito a sopprimere questi princìpi». La stampa parla dei contrasti di corrente nel partito, discute le personalità controverse come Husak, o il filorusso Bilak. Si trattano anche argomenti scabrosi, come certi tentati soprusi della polizia politica (che sta sforzandosi di riprender quota) ai danni di personalità progressiste. Gli interessati protestano, la stampa ne parla. Non vi sono dubbi sul fatto che questo — come molti mi dicono — sia ancora « il più Ubero dei paesi socialisti ». Ma questo non vuol dir molto. Diciamo piuttosto che la Cecoslovacchia si presenta ancora, nonostante l'occupazione, come un paese sostanzialmente li | bero, per come si scrive, per come si parla (un giornalista occidentale ha colloqui facili e apertissimi), e per come si pensa. I cecoslovacchi sono intimamente liberi, i loro giudizi non sono viziati da dogmatismi, miti o compromessi. L'occupazione è una quotidiana violenza alle loro azioni; ma rimane un fatto estraneo alla realtà sociale cecoslovacca. Tutto questo è vero oggi, potrebbe non esserlo fra qualche tempo. Questa riserva bisogna tenerla sempre presente, anche perché non sono soltanto i russi, ma anche una parte del partito comunista, a minacciare misure disciplinari, e a cercare di imporle. La resistenza dei giornalisti, degli scrittori, dei sindacati e dell'altra parte del partito ha salvato una zona abbastanza larga di libertà; ma la lotta è difficile e tuttora incerta. Con questa riserva, sono d'accordo con i molti amici cèchi che mi hanno detto: « Finora è andata molto meglio di come si poteva sperare». La critica ai dogmi • À questo punto non si può fare a meno di chiedersi come si siano formati questi intellettuali cecoslovacchi anticonformisti, sotto un regime di costrizione come quello comunista. La spiegazione è complessa, deve tener conto anzitutto del passato democratico cecoslovacco, e poi del fatto che qui, a differenza degli altri Paesi dell'Est, lo stesso partito comunista era un partito di massa con radici reali nella società. Bisogna anche ricordare che fra il 1945 e il 1948 molti credettero 'sinceramente, in Cecoslovacchia, all'ideologia delle «democrazie popolari», intese come vie nazionali al socialismo, diverse e più democratiche di quella sovietica. Poi quest'ideologia fu travolta, ma lasciò profónde'tracce. Certq'è. che già alla fine degli Anni Cinquanta erano al lavoro: negli «istituti», diversi gruppi di intellettuali impegnati anticonformisti. C'erano gli economisti, che riscoprivano i dibattiti degli Anni Trenta fra i critici liberali della pianificazione, von Mises e von Hayek, e il comunista Lange, inventore del «socialismo di mercato »: ne riferì per primo nel 1960 Oldrych Kyn, ancora studente. Pòi la stessa « scuola di partito » pubblicò i testi di quella classica polemica, a cui deve tanto il revisionismo economico degli Anni Sessanta. Erano già all'opera i sociologi, filosofi, scienziati del gruppo di Radovan Richta, che lavoravano attorno al tema della «rivoluzione tecnico-scientifica », un concetto liberatore a paragone del dogmatismo monista-leninista. Un terzo gruppo lavorava con Zdenek Mlynar, che era alla segre teria del partito, attorno al problema delle strutture di potere (contribuiranno, nell'aprile 1968, all'innovatore «Programma d'azione» del partito). Infine c'erano gli scrittori di Llterarnj Noviny (poi L. Listy/ora Listyj, che erano tante grosse personalità, anche se scrivevano in cèco e fuori nessuno li leggeva. Bisogna avere in mente questo panorama molto vasto se si vuol capire la resistenza della Cecoslovacchia d'oggi alla «sovietizzazione». Tutta questa gente c'è ancora, pensa ancora, scrive ancora, viaggia ancora. Questa è la vera Cecoslovacchia. Per tutti loro, come qualcuno mi ha detto, « Dubcek non è mai stato un capo, ma un alleato della rivoluzione antiburocratica». Che cosa è questa rivoluzione? Mi rispondono: «Come Régis Debray, noi lavoriamo alla "rivoluzione nella rivoluzione", applicata però a un Paese industrializzato, non al mondo sottosviluppato. Il nostro problema è: che fare? con che fini? con chi? con il partito, con una parte del partito, contro il partito, o con qual! forze sociali? E cosi via». Prima dell'invasione, Pavel Kohout aveva scritto: «Una grande epoca sta davanti a noi. A meno che non ci sia, di nuovo, qualche intoppo». L'intoppo previsto dallo humour boemo di Kohout è arrivato, e i cecoslovacchi sono costretti a ripetere con Ludvik Vaculik: «Da noi la rivoluzione so¬ ciale ha trionfato, ma anche se abbiamo afferrato il toro per le corna e continuiamo a tenerlo, tuttavia c'è sempre qualcuno che ci prende a calci nel sedere e non vuole smetterla». Io direi che gli intellettuali cecoslovacchi hanno deciso di ignorare l'intoppo, di fingere di non sentire i calci nel sedere, e di andare avanti col loro lavoro. Questo lavoro si svolge su molti piani. Come dice Karel Kosìk: «Ci sono 10 mila giornalisti capaci di scrivere, decine di migliaia di persone capaci di organizzare, e almeno una trentina di persone capaci di pensare teoricamente ». Ognuno fa la sua parte, i giornali le battaglie politiche, le riviste come Plamen (il mensile diretto da Kosìk) e Listy il lavoro teorico. A Listy mi spiegano: «A novembre, quando stavamo per tornare a uscire, eravamo tentati di fare ìuna gran fiammata, stampare un paio di numeri e farci chiudere. Invece abbiamo deciso di fare un giornale che dovrà durare a lungo, per aiutare il popolo a sopravvivere a questo periodo duro. E' vero che così rischiamo di finire per accontentarci della realtà presente: ma abbiamo accolto in redazione molti giovani che fanno una sana pressione su di noi. Noi abbiamo perso un po' della frivolezza di prima, siamo più vecchi e più maturi, ci preoccupiamo della tattica; e abbiamo salvato un po' del nostro humour. I giovani non riconoscono il bisogno del tatticismo e non hanno molto humour. E' un bene che ci controllino ». Il lavoro teòrico di Plamen e Listy si svolge in molti campi: è un lavoro antidogmatico e privo di presunzioni, si estende alla ricerca storica e sociologica. alla rilettura dei classici (in questi giorni sono stati ristampati estratti della «Rivoluzione tradita» di Trotski), alla riscoperta dei grandi democratici cèchi, come Termos Masaryk. Ci vorrà tempo perché questo lavoro dia ì suoi frutti: ma l'«intoppo» impone comunque che si facciano piani a lungo termine. La mia impressione è che la società cecoslovacca abbia abbastanza tenuta e flato per questa strategia dei tempi lunghi. Molti intellettuali cèchi, nonostante l'estrema difficoltà e precarietà del mondo in cui vivono, comunicano un senso di raro equilibrio spirituale, che non nasce certo dall'ottimismo, né dall'apatia o dal conformismo, ma da una forza d'animo che mi pare tipica dì un piccolo popolo, molto provato, molto civile, molto tenoce. Mi dicono a Plamen: « Non sappiamo se potremo continuare il lavoro senza imprevisti, ma questo non è importante. Non ci chiediamo nemmeno se potremo pubblicare: stamperemo in Cecoslovacchia, se no a ciclostile, se no all'estero. Comunque il nostro lavoro ha una sua prospettiva, indipendentemente dagli alti e bassi della politica». Uno studente a cui ho chiesto che speranze abbiano i giovani per l'avvenire mi ha risposto: «Noi non ci poniamo questi quesiti. Prima del gennaio 1968 non avevamo nessuna speranza, nessuna fiducia. Non ci sognavamo neppure che potesse arrivare la caduta di Novotny. Lavoravamo lo stesso e combattevamo il sistema. Neanche ora abbiamo molta fiducia, ma andiamo avanti lo stesso. Per gli studenti questa è una necessità, una cosa che dev'essere fatta». Arrigo Levi Praga. Studenti prendono il sole sulla gradinata della Casa degli Artisti (Foto K. Plicka)