Verso un mondo nuovo?

Verso un mondo nuovo? Verso un mondo nuovo? (E* verosimile che lo sviluppo della ricerca scientifica crei una civiltà tutta diversa; ma essa dipenderà ancora da scelte degli uomini) Tra le lettere che ho ricevuto in occasione dell'articolo pubblicato il 10 marzo su queste colonne, con il titolò « Coesistenza fra le culture? L'Oriente e l'Europa », due meritano particolare attenzione. Una è quella dell'ing. Prospero Nuvoli, un intelligente cultore dei problemi metodologici della scienza che fu, nell'ormai lontano 1946, tra il piccolo gruppo di scienzia-. ti e filosofi che fondarono in Torino quel «Centro di Studi Metodologici» che molto contribuì, nei primi anni dopo la guerra, a diffondere in Italia l'interesse per gli studi di filosofìa scientifica. Nuvoli scrive che la mia diagnosi per quanto riguarda la mescolanza fra le culture è esatta ma incompleta, Lo sviluppo concettuale della ricerca scientifica, egli dice, ha aperto orizzonti così vasti al pensiero tecnico-applicativo da richiedere agli operatori una trasformazione radicale: ha fatto crollare ogni loro appoggio a preesistenti schemi filosofici e eli ha lanciati nel vuoto, uniti al passato da un cordone ombelicale ». Si sta formando, così in Oriente come in Occidente, una nuova razionalità e un nuovo linguaggio; è in gestazione, attraverso un travaglio doloroso, un mondo nuovo, in cui le civiltà vecchie vanno perdendo i loro tratti caratteristici e tendono a fondersi attraverso scambi e mutamenti. In questo mondo nuovo, ci sarà una nuova logica, che non può ancora avere docenti perché non ancora conosce le sue regole né ha il tempo di elaborarle; una nuova estetica che farà piazza pulita dei «cerebralismi» con i quali la vecchia cerca di eluderla; e una nuova morale che non ha codici perché non sa ancora di esistere. Un solo tratto della nuova cultura risulta già evidente, ed è < la severità spietata dei suoi giudizi di idoneità ». Ed è contro questo tratto che i giovani si ri bollano, per il timore di essere esclusi dal mondo nuovo, quando invece credono di insorgere contro valori che sono già tramontati. Fin qui Nuvoli. Ed io sono tentato (come, forse, molti dei lettori) di condividere la sua speranza. Ma proprio se condividiamo questa speranza, ci troviamo di fronte ai problemi più gravi. Quale sarà questo, mondo nuovo? L'essere « nuovo » non lo qualifica abbastanza, tanto più che dovrà conservare (come Nuvoli giustamente ritiene) il «cordone ombelicale» che lo lega a tutto il suo passato. Sarà un mondo più giusto, più pacifico, più umano o più crudele e disumano del nostro? Passerà attraverso il cordone ombelicale solo l'eredità benefica dei valori umani permanenti o quella deteriore delle colpe e degli errori commessi? Si realizzerà attraverso una necessità fatale, cui sarà inutile opporre resistenza, o la sua realizzazipne dovrà essere sollecitata, favorita, diretta dallo sforzo degli uomini? Sono, queste, domande alle quali è difficile dare risposte criticamente adeguate. So bene che molti scienziati si azzardano oggi a fare previsioni a lunga scadenza (che meglio si chiamerebbero profezie) sui traguardi futuri dello sviluppo scientifico e tecnologico e sui vantaggi (e, più raramente, i pericoli) che essi potranno apportare all'umanità. E certo essi non fanno questo arbitrariamente, con un puro giuoco di fantasia, come accade nella fantascienza. Essi individuano in un campo della scienza, o in più campi collegati da ricerche interdisciplinari, certe linee di sviluppo, certe tendenze, e cercano di intravedere il punto limite o io sbocco finale cui queste tendenze dovranno condurre. Si tratta di una estensione al limite, cioè airinfinito, di un procedimento che è adoperato dalle scienze per previsioni a breve scadenza. Ma questo procedimento conserva la sua validità quando viene così esteso e generalizzato? Molti dubbi sussistono a questo proposito e sono gli stessi più avveduti scienziati a farcene accorti. In primo luo¬ go, non è certo che tutte le linee tendenziali continuino indefinitamente nel futuro. A volte, questa può essere una fortuna. Se la tendenza all'inquinamento dell'acqua e dell'aria dovesse crescere nei prossimi anni nella stessa misura in cui cresce ora, moriremmo ?. non lunga scadenza soffocati o avvelenati; ma tutti speriamo che ciò non avvenga. Non si può presupporre, senza giustificazione, che tutte le tendenze continueranno indefinitamente e con lo stesso ritmo. In secondo luogo, non si può escludere che linee tendenziali diverse entrino in conflitto e riescano reciprocamente a bloccare o diminuire i vantaggi che si possono attendere da ognuna di esse. Così la crescita della produttività può essere controbilanciata dalla crescita smisurata della popolazione o dal moltiplicarsi dei bisogni o dallo spreco: cose, queste ultime, che anch'esse tendono a seguire una curva ascendente. Bisogna, inoltre, fare i conti con l'imprevedibile che si affaccia in ogni campo, anche nella scienza, e che può essere tanto più importante e minaccioso quanto più si estende il dominio dell'uomo sulla natura. Il caso dell'apprendista stregone non deve essere dimenticato. Infine c'è da prendere in considerazione il fattore più importante, anzi quello decisivo per ogni sviluppo futuro: l'uomo e le sue scelte. Quando si azzardano profezie circa il mondo futuro, si parla della Scienza, della Tecnica, della Ragione, del Pensiero, come se fossero divinità autosufficienti e creatrici, capaci di trarre dal proprio seno la forza irresistibile per ogni sviluppo futuro: si tratta invece di attività umane, di tipi di lavoro che esigono, oltre che una massa crescente di informazioni, talenti inventivi, sforzi singoli e collettivi coordinati, e un insieme di attività e risorse collaterali, che si può sperare l'umanità possa offrire a se stessa ma del cui sorgere e moltiplicarsi non si può essere sicuri in anticipo. La credenza nel fatalismo della Scienza, che va sostituendo quella nel fatalismo della Natura o della Provvidenza, non è meno ingenua 0 pericolosa: non fa i conti con l'imprevisto che si annida dovunque e soprattutto nella condotta degli uomini, 1 quali con i loro rifiuti, con i loro conflitti o semplicemente con le loro scelte difformi, possono fermare o deviare le linee tendenziali di sviluppo meglio riconoscibili. Queste considerazioni non tendono a diminuire o a distruggere la speranza in un mondo nuovo. Esse, anzi, valgono anche contro i profeti di catastrofi che prendono lo spunto dalle tendenze negative, che pur esistono nel nostro mondo, e si abbandonano allo stesso dogmatico fatalismo. La speranza incoraggia gli uòmini a lavorare e a lottare, la disperazione li riduce all'attesa inerte del peggio. Ma la speranza da sola non basta: deve alimentarsi di idee chiare e di critica, di lavoro e di impegno fattivo; e non può spingersi troppo in là senza rimanere, delusa. * * Con questo, ho dato anche implicitamente una risposta all'altra lettera di cui volevo parlare. E' certamente quella di un giovane (o di una giovane: non sono riuscito a decifrare la firma) che mi osserva che la civiltà autentica non è la «cultura» di cui ho parlato nel mio articolo, perché è « amore costante e universale » e si trova quindi solo tra gli uomini « materialmente e spiritualmente liberi ». Si tratta anche qui di una speranza: perché, se questa è la civiltà, è certo che non c'è mai stata nel nostro mondo e potrà esserci solo in un mondo futuro. E come tutte le speranze, può aiutare il nostro cammino difficile, purché non si scambi per una realtà presente o imminente che ci verrà incontro senza lotte e fatica, come il sorriso della primavera. Nicola Abbagnano

Persone citate: Nicola Abbagnano, Nuvoli, Prospero Nuvoli

Luoghi citati: Europa, Italia, Torino