Giolitti, la guerra e il fascismo nelle lettere di Luigi Albertini di Luigi Albertini

Giolitti, la guerra e il fascismo nelle lettere di Luigi Albertini tL9epistataria pubblicata quarantanni dopa Giolitti, la guerra e il fascismo nelle lettere di Luigi Albertini Non era impresa facile quella compiuta da Ottavio Bariè, di raccogliere, scegliere e annotare in quattro volumi di 2100 pagine complessive l'Epistolario di Luigi Albertini, 1911-1926 (Mondadori). Il Bariè espone nell'ampia prefazione i criteri seguiti nella sua scelta, sostanzialmente giusti: anche la preferenza per la materia politica non parrà affatto eccessiva a chi ricordi sia la gran parte data dall'AlK"'* ' fJ. suo giornale alla politica interna ed estera, sia la diffusione e l'autorevolezza raggiunta dà questo in tutta Italia, e anche all'estero. Il Bariè ha premesso alla esposizione delle fonti e dei criteri della raccolta una venticinquina di fitte pagine dedicate alla biografia personale, giornalistica e politica dell'Albertini, vitale preparazione per chi vorrà leggere o anche soltanto consultare l'Epistolario. E' perfettamente naturale che in tale biografia egli abbia esposto, con spirito di consenso che tuttavia non degenera mai in panegirico, le opinioni e l'opera di Albertini, senza addentrarsi in un'analisi critica. * Balcani e Libia Non possiamo invece tacere il nostro dissenso dal Bariè per avere incominciato la raccolta solo dal 1911: il primo volume porta il sottotitolo « Dalla guerra di Libia alla Grande Guerra ». A sua giustificazione il Bariè dice che prima di quella data il materiale è assai frammentario. Sia pur così: ma io avrei giudicato preziosi quei frammenti per giudicare l'opera giornalistica dell'Albertini. Assurto a direttore nel giugno 1900, è evidente che il primo decennio del nuovo secolo fu quello in cui egli compì l'opera preliminare e fondamentale di trasformazione e riorganizzazione giornalistica. E' chiaro che l'importanza politica del giornale trovò il suo più saldo sostegno, e possiamo dire la premessa indispensabile, in quella prima opera che diremo tecnica. E non si tratta, in quel periodo, solo di essa. Sono ben quelli gli anni in cui Albertini fonda e sviluppa la sua opposizione a Giolitti, che fu elemento pertinace e primario del suo Corriere; e il lettore, data questa lacuna, dovrà ricorrere alla prefazione per rendersene conto. Tanto più che il primo volume, per una gran parte e — prima del periodo della neutralità — la più spiccata, ci mostra un Albertini che, senza escludere le critiche, appoggia nell'insieme, con sincero spirito patriottico, il governo (quarto) di Giolitti, impegnato nell'impresa libica. Un altro inconveniente di questa omissione è che rima ne ignota la posizione di Albertini nella crisi internazionale bosniaca del 1908-'09 Posizione notevolissima e meritoria: poiché Albertini, andando contro corrente, sostenne la condotta del ministero Giolìtti-Tittoni sostanzialmente favorevole all'Au stria; e seppe valutare — veramente rara avìs — la positività delle rinunzie austriache (soprattutto circa il San giaccato) a compenso dell'an nessione. Quanto seguì nella prima e seconda guerra bai canica mostrò la giustezza delle sue vedute. Il giornalista Nonostante codesta lacuna e nonostante la prevalenza dell'interesse politico, abbiamo qui materiale sufficiente per giudicare l'Albertini di rettore di giornale. Ed è, per mio conto, giudizio nettamente favorevole. Non insi stero — pur dando alla cosa l'importanza che merita — sull'assiduità e l'oculatezza con cui egli cura la parte in formativa, secondo i criteri dell'esattezza e della compiutezza. Albertini, naturalmen te, tiene dietro, giorno pei giorno, a quanto pubblicano gli altri giornali, anche indirizzo politico opposto al suo: ed è sollecito, in base al riscontro, a stimolare redattori e corrispondenti (soprat¬ tmdrfl«Ynccpccgsld1npc tutto, si capisce, l'ufficio romano) a non trascurare nulla d'importante, a dare la caccia e informazioni più rare, a ricorrere sistematicamente alle fonti d'informazione, ufficiali e non ufficiali. Quel che in gergo si dice « cicchetto » è rarissimo nclYEpìstolario albertiniano. Egli non reagisce autoritariamente contro suscettibilità talora eccessive di alcuni redattori principali. Mancano anche incitamenti a campagne politico-personali (negò a Palamenghi-Crispi una recensione del suo libro, o libello, contro Giolitti). Nei giorni criticissimi dell'ultima decade del luglio 1914 e prima dell'agosto, pur non mostrando fiducia e simpatia verso San Giuliano, non coadiuva la campagna perso- naie astiosa dell'ufficio romano contro il ministro, per il fatto che ragioni impellenti di salute lo costringevano a lasciare sovente Roma per la vicinissima Fiuggi. Ma in verità la direzione meglio avrebbe fatto a troncare nettamente quella campagna. Con questo, siamo passati dalla caratterizzazione generale prevalentemente tecnica alle posizioni albertinianc nei periodi successivi e nelle diverse questioni specifiche. L'intervento nel 1915 Risulta anche dall'Epistolario (naturalménte va riscontrato e integrato, come fonte storica, con la consultazione del giornale) che il Corriere della Sera non fu tra i fautori accesi dell'impresa libica (come invece lo fu La Stampa), e tenne per tutto il corso della campagna una condotta piuttosto riservata, combinan do l'adesione leale e patriottica con critiche, peraltro sor vegliate e contenute nei giusti limiti, per la sostanza e la forma. Una proposta Torre d'inchiesta per la Libia è dal l'Albertini vivacemente respinta. Anche una lettera di Torre del novembre 1912 contro Tee cessivo triplicismo di San Giuliano e contro il rinnovamen to anticipato (5 dicembre 1912) della Triplice non tro va qui risposta. Più tardi, quasi alla vigilia impreveduta della guerra (maggio 1914) è senz'altro « bocciata » una nota di Torre troppo ostile contro San Giuliano. Viene la guerra. 11 linguaggio del giornale, e dell'Albertini nella corrispondenza di rettoriale, è fermo sulla necessità che l'Italia si opponga a ingrandimenti austriaci, provveda a non rimanere isolata; ma non spinge ad azione immediata pur accentuando mano mano il suo in terventismo, senza (almeno per ora) accenti demagogici Non altrettanto si può dire della campagna ' furiosa — dall'Albertini non impedita — di Torre contro San Giuliano (che, si noti, lasciò per testamento quello che potrebbe dirsi l'abbozzo del Patto di Londra, migliore forse del te¬ o e — — o e i ¬ sto finale). Notiamo l'inconveniente di avere incluso tutto il periodo della neutralità nel primo volume; d'altra parte dobbiamo dire eh': nell'Epistolario c'è, per questa parte, ben poco d'interessante e nulla di nuovo. Giova tuttavia costatare, in base all'Epistolario, che l'Albertini fu tra i primi interventisti a comprendere che non era il caso di avere tanta fretta: egli lasciò Sonnìno e Salandra fare il loro gioco della doppia trattativa senza molestarli. Anche per l'ultimo periodo (giornate di maggio) l'Epistolario non contiene nulla di particolare, salvo un punto. Con strana fantasia, Albertini il 15 maggio supplica Salandra di non andarsene lasciando il posto a Giolitti, che « vuol forse tornare al potere e fare la guerra » (esattamente il contrario della realtà). La turpe canea del « tradimento > giolittiano, per 10 meno, nell'Epistolario non ha eco. Nel dopoguerra Tuttavia l'antigiolittisnio irriducibile è indubbiamente l'errore massimo di Albertini. 11 14 agosto 1917 egli chiama «t ignobile » il discorso di Giolitti del giorno avanti al Consiglio provinciale di Cuneo. Mi dispiace veramente dirlo; ma di « ignobile » in questo caso non c'è che l'epiteto. Si comprende l'irritazione suscitata in Albertini; non si giustifica invece che, per essere l'ispirazione del discorso in contrasto con il pensiero, o piuttosto il sentimento di Albertini, questi lo dichiarasse « ignobile », settariamente trasformando una concezione politica diversa in condanna morale. Non c'era nulla di disfattistico nel discorso: che anzi, preso alla lettera, poteva quasi considerarsi jusquabatista, giacché ' accettava implicitamente la guerra per il programma intesista finale, anche se poi proponeva per il dopoguerra una condotta lontana dalle idee di Albertini. A compenso di questo giudizio rileviamo la lettera 397 (26 settembre 1915), in cui Torre è ammonito sul contea gno da tenere verso un governo che faccia dei torti al giornale. Dice Albertini che egli cerca che i suoi sentimenti personali non pesino sul suo giudizio: faccia Torre altrettanto. Si tratta però qui di screzi individuali, non arrivanti al livello politico. Il ben noto atteggiamento ultracadornista del Corriere nei confronti del governo non trova grandi riflessi nell'Epistolario: si nota tuttavia una sfiducia in Orlando, anteriormente alla sua presidenza. Per Caporetto, naturalmente, vale l'interpretazione del disfattismo, con parole di netta condanna del governo; non può dirsi tuttavia che sia avviata una vera e propria campagna, neanche per la liquidazione di Cadorna; ed è anche notevole la pubblicazione (senza commento) di una lettera di Amendola esponente le cause militari del disastro. « Se le cose stanno come le scrivo — dice Amendola —, chi ne guadagnerà sarà il popolo italiano ». A guerra finita, però, l'inchiesta ufficiale su Caporetto viene quasi vituperata, senza tuttavia insistere in proposito. Dove l'Epistolario acquista particolare importanza è nella questione capitale dei rapporti con i movimenti nazionali antiaustriaci, particolarmente con i jugoslavi. Albertini è un convinto fautore dell'accordo con essi, anche a costo di limitare radicalmente la parte adriatica del programma italiano. Conserva tuttavia prudenza di linguaggio e di condotta; non esita a staccarsi da Sonnino, ma senza ostilità, e non tratta il Patto di Londra come un pezzo di carta: insiste sulle esagerazioni jugoslavofilc alleate Ma è decisissimo nel patrocinare la scomparsa dell'Austria. Nelle polemiche elettorali - più precisamente in quella Giolitti-Salandra — si può immaginare la posizione di AcpgficdnatcslrÀ(crtènSR Albertini: manca,, però, anche qui la vera e propria campagna. Potremmo dire più in generale che nel dopoguerra, fino all'avvento del fascismo compreso, si ha l'impressione di un aftievolimento albertiniano (ce del resto qualche accenno suo). Circa la politica di sostegno a Nitti, e circa quello che fu chiamato dal sottoscritto « nittismo antigiolittiano », non abbiamo nella raccolta epistolare quasi nulla. Àncora il 10 giugno 1920 (un. 1161, 1162) vengono chiamati « forsennati » i favorevoli a un ritorno di Giolitti. Ma poi di tatto il ritorno è accettato con rassegnazione (notiamo incidentalmente la notizia del pieno favore di Sonnino); e si sa poi come il Corriere fosse tra i principali sostenitori del trattato di Rapallo, senza che di ciò appaiano rilievi notevoli nell'epistolario. Quale l'atteggiamento di Albertini riguardo al fascismo? Chi voglia farsene una idea sufficiente, ricorra- alla collezione del giornale perché, nell'Epistolario, Mussolini e il fascismo sono pressoché assenti. Ma si tenga anche presente che dall'autunno 1921 egli aveva passato la direzione al fratello Alberto. Nessun commento albertiniano alla occupazione di Bologna; nulla, o quasi, sulle imprese squadristiche in serie; nulla sulla completa usurpazione fascista delle funzioni statali in occasione dello sciopero « legalitario ». Abbiamo, dopo quello, qualche lettera riguardante l'alleanza liberale-fascista per le prossime elezioni amministrative milanesi. Davanti a Mussolini E'- in me ancora vivissimo il ricordo della quasi apologia fatta dal Corriere della .occupazione di Palazzo Marino (il Municipio di Milano). La campagna sistematica e a fondo contro il fascismo fatta da La Stampa nel 1921-22 non trovò appoggio nel Corriere, e neanche contraddizione. Il discorso mussoliniano di Udine del 20 settembre 1922 — quello della adesione condizionata alla monarchia — (che fu vigorosamente, ma anche esattamente, commentato da Im Stampa) e interpretato dall'Albertini in una lettera*-, (n. 1342) all'Einaudi come -«io fondo» una adozione completa dell'idea liberale. Precedentemente abbiamo la lettera di un corrispondente ad Albertini sugli accordi in corso con i fascisti per le elezioni amministrative milanesi. Una lettera albertiniana del 12 settembre contiene una requisitoria contro i socialisti, senza menzione dei fascisti. Il 22 settembre abbiamo finalmente un preciso invito ai fascisti a mettere d'accordo parole e fatti. Il suo discorso al congresso liberale dell'8 ottobre riceve le congratulazioni di Sforza. Il 10 ottobre Albertini scrive che la sola soluzione in vista è un ministero in cui entrino anche i fascisti, evitandosi così ogni pericolo di colpo di Stato che sarebbe fatale al Paese. Il discorso di Mussolini a Napoli è detto «antipatico (n. 1357). In¬ somma, la sua posizione ver- ! so il fascismo alla vigilia della marcia su Roma è analoga a quella del detestato Giolitti. Si sa bene l'atteggiamento del Corriere della Sera e di Albertini verso Mussolini e il fascismo dopo la marcia su Roma, che fu di opposizione nettamente liberale. Tale opposizione si svolse per Luigi Albertini essenzialmente nei discorsi al Senato; ma ebbe anche chiara espressione nel giornale, specialmente dopo il delitto Matteotti. Ma l'Epistolario, che di lettere di Luigi è adesso assai scarso, non reca integrazioni importanti. Testimonia bensì ampiamente della persecuzione mussoliniana verso di lui, senza contenere la cronaca della sua espulsione dal giornale. Credo lecito e ragionevole far voti per una seconda edizione più completa, non tanto per la parte giornalistica, quanto per quella politica. Intanto ringraziamo sinceramente per quanto oggi ci è dato. Luigi Salvatorelli v " y-, '':s\. /' \ ; i. ~- Luigi Albertini