Il Pisanello risuscita a Mantova di Marziano Bernardi

Il Pisanello risuscita a Mantova SCOPERTI IMPORTANTI FRAMMENTI DI AFFRESCHI NEL PALAZZO DUCALE Il Pisanello risuscita a Mantova Pitture e sinopie erano nascoste dall'intonaco e da un'opera settecentesca - Sono state subito staccate e sottoposte al restauro - Rappresentano vivaci scene cavalleresche ed episodi bellici della casa Gonzaga (Dal nostro corrispondente) Mantova, 26 febbraio. (r.) Ampi frammenti di sinopie e di affreschi attribuiti al « Pisanello » sono tornati alla luce in questi giorni in Palazzo Ducale. Il ritrovamento, di eccezionale importanza artistica, è dovuto all'appassionato interessamento del soprintenderle alle Gallerie, prof. Giovanni Paccagnini, il quale, in base all'intima persuasione che almeno qualche traccia del lavoro del Pisanello dovesse essere ancora presente nella celebre reggia dei Gonzaga, da alcuni anni ne aveva iniziato una paziente e sistematica ricerca. Si trattava di una esilissima speranza: il Pisanello aveva lavorato a Mantova, anche se non continuativamente, dal 1423 al 1447 come pittore di corte, ma da alcune lettere risultava che un ambiente del palazzo, denominato « sala del Pisanello », andò in rovina per il crollo del soffitto. Per questo motivo la maggior parte degli studiosi riteneva che la decorazione del Pisanello fosse andata completamente distrutta. Invece frammenti di quegli affreschi sono stati scoperti nella sala ora detta dei Bachi, celati in parte da strati di intonaco e in parte dall'affresco con i ritratti dei Gonzaga, dipinto nel secolo XVIII. Le eccezionali opere rinvenute sono state subito rimosse per scongiurare la caduta. Il restauro delle sinopie — è detto nel comunicato ufficiale diramato oggi dalla Sopraintendenza — e degli affreschi che raffigurano scene cavalleresche ed episodi bellici dei Gonzaga, per il momento non chiaramente interpretabili, è attivamente in corso e potrà essere condotto a termine verso la fine di settembre. Il soprintendente Paccagnini ritiene che gli affreschi siano stati eseguiti dal Pisanello intorno al 1447, nello stesso periodo cioè della medaglia datata di Cecilia Gonzaga. Giovanni Paccagnini è uno dei più studiosi e solerti soprintendenti italiani alle Belle Arti, cui si deve, fra l'altro, l'organizzazione della spettacolosa mostra del Mantegna, che nel 1961 attirò a Mantova da tutto il mondo centinaia di migliaia di visitatori; ed in quell'occasione espose anche gli affreschi mantegneschi da lui rivelati, della facciata della . chiesa mantovana di S. Andrea, nella quale Leon Battista Alber ti e Filippo Juvarra gareggiarono in genialità. Quest'altra sua scoperta è più importante della prima, perché le opere del Pisanello, cioè Antonio Pisano, nato quasi certamente a Pisa da padre toscano e da madre veronese prima del novembre 1395, morto probabilmente a Napoli nel 1455, sono — come tutti sanno — estremamente rare. Oltre le celeberrime medaglie, il Berenson (Pitture italiane del Rinascimento) le limita al Lionello d'Este dell'Accademia Carrara di Bergamo, al S. Eustachio o S. Uberto della National Gallery di Londra, alla Madonna con S. Antonio Abate e S. Giorgio dello stesso museo, al Ritratto di Ginevra d'Este (o Margherita Gonzaga, secondo il Degenhart) del Louvre, a un Profilo di giovane donna, d'una collezione americana (non accettato da altri esperti), al famoso affresco del S. Giorgio e la Principessa, della chiesa di S. Anastasia a Verona, supremo esempio del cosidetto « gotico internazionale » o « arte cortese », staccato e restaurato dal soprintendente Piero Gazzola net 1950, al guasto dipinto murale della Annunciazione della chiesa veronese di San Fermo, pittura giovanile che rivela contatti con Gentile da Fabriano a Venezia per la distrutta decorazione del Palazzo Ducale, e poi a Firenze. Questa scarsità di opere che altri studiosi aumentano di pochi capolavori, come la Madonna in trono del Palazzo Venezia a Roma, la Madonna della quaglia del Museo di Castelvecchio a Verona, e gli squisiti disegni disseminati in vari musei (ed in proposito si possono consultare i cataloghi delle mostre « Da Altichiero a Pisanello », a cura di Licisco Magagnato, 1958, Verona, e « Disegni del Pisanello e di maestri del suo tempo », a cura di Bernhard Degenhart, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, 1966), si spiega forse con il fatto che il Pisanello era di famiglia ricca, e quindi non spinto a lavorare per guadagno. Eppure la sua fama fu rapida ed altissima, poco più che ventenne era accanto — l'abbiam detto — a Gentile per la Storia di Alessandro III affrescata nel¬ la sala del Gran Consiglio e perita nell'incendio del Palazzo Ducale nel 1577, e nessun maestro, fino al pieno Rinascimento, venne come lui celebrato con poesie ed epigrammi, disputato dalle maggiori corti italiane, Verona, Ferrara, Roma, Mantova, Milano, Rimini, Napoli. Quella del Paccagnini nella Sala dei Duchi dello sterminato Palazzo mantovano non è la tipica scoperta del tesoro dovuta al colpo di piccone od all'asportazione dello scialbo. Ha scoperto perché sapeva e cercava. Già il Degenhart nel suo libro del 1941 aveva scritto: « Al principio del terzo decennio è documentata la presenza del Pisanello a Mantova ». Nel 1439 aveva fuso la medaglia di Niccolò Piccinino, condottiero delle milizie mantovane contro Verona, un assedio cui egli stesso aveva partecipato procurandosi una condanna della Serenissima all'esilio. Ma il Degenhart soggiungeva: « Il materiale che ci è pervenuto non ci permette di stabilire l'epoca in cui furono eseguiti gli affreschi distrutti del castello di Mantova... Se l'esecuzione seguì prima del 1439 o soltanto nel 1439 o anche più tardi rimane incerto »; e pubblicava un disegno del Louvre, un paesaggio con un corteo di cavalieri guidati da una fanciulla, che poteva riferirsi a quegli affreschi. Dal canto suo il Magagnato pensava a una loro datazione intorno alla fine del quarto decennio del secolo. Ma tutti gli storici del Pisanello concordavano sulla distruzione dei suoi affreschi nel Palazzo dei Gonzaga. Oggi il ritrovamento del Paccagnini, condotto sulla traccia dei documenti rinvenuti negli archivi mantovani, ci restituisce, benché fatiscente, l'unico ciclo d'affreschi di carattere interamente profano (perché anche il dipinto di S. Anastasia a Verona è, malgrado lo stile « cortese », d'argomento religioso), a meno che gli si vogliano ascrivere i « Giochi Borromeo » di Milano, secondo il recente parére di Giuseppe Consoli, eseguito dal grande artista, che proprio nel 1447 — alla data che il Paccagnini crede di poter dare a quest'opera — era esaltato dai poeti di corte in versi latini. Marziano Bernardi