II consumatore fra pubblicità vecchi sistemi commerciali di Sandro Viola

II consumatore fra pubblicità vecchi sistemi commerciali PERCHE9 GLI ITALIANI RISCHIANO DI SPENDERE MALE II consumatore fra pubblicità vecchi sistemi commerciali L'industria moderna crea sempre nuovi bisogni, con prodotti attraenti sostenuti dalle tecniche di persuasione - Non esistono controlli che ne garantiscano la qualità; inoltre il commercio al minuto fatalmente tiene alti i prezzi - In Italia ci sono 800 mila negozi e 300 mila venditori ambulanti (Dal nostro inviato speciale) Roma, febbraio. ' Agli, inizi del 1967 venne dato alle stampe il a Programma di sviluppo economico per i il quinquennio 1966-1970 »: In esso, alle pagine 223, 224 e 225, si poteva trovare l'abbozzo d'un piano di razionalizzazione delle strutture del commercio. Non era un piano .gran che dettagliato I negli stessi iHiii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiKiiiiiiiiiiii giorni usciva in Francia il « Rapport general de la Commission du commerce », 600 pagine di analisi e proposte contro le tre del « Programma » italiano), ma sufficientemente chiaro nelle sue linee generali. Chiara era soprattutto una cosa. I programmatori consideravano il settore dèila distribuzione arcaico, macchinoso e insomma non funzionale. Bisognava quindi riformarlo dalle fondamenta, intervenendo al più presto sulla « eccessiva polverizzazione delle strutture del commercio al minuto ». Questa « polverizzazione » veniva infatti giudicata la causa principale degli « alti costi di distribuzione e del basso livello medio di produttività del settore ». A cosa si riferissero ì programmatori è nòto. Ci sono in Italia 799.566 negozi, uno ogni 67 abitanti, senza contare i 312.000 venditori ambulanti. La « polverizzazione » è questa, cosi evidente nelle cifre che non serve spendervi molte parole. Facciamo tuttavia un esempio. La media dei prodotti venduti da ognuno dei negozi di ortofrutticoli del Paese, non supera i 37 chili al giorno. Dunque, ce ne dev'essere una quantità che ne vendono meno, mettiamo 22, quattro chili di patate, tre di arance, cinque di mele, quattro di pere, due tra finocchi, ravanelli, limoni, ii odori » e cicoria di campo. Quali margini di guadagno possono dare quattro chili di patate, quali cinque chili di mele? - La deduzione è facile: se un gruppo familiare deve vivere su operazioni commerciali così mi''erbscopìche: è evidente che sarà il consumatóre a pagare il prezzo della « polveS-iizAziàneA S.\* \*\ Si capisce, il processo al piccolo commercio è un processo diffìcile. Un mutamento brusco degli odierni meccanismi di distribuzione comporterebbe un vero e proprio terremoto sociale, perché dietro quei 799.566 negozi ci sono parecchi milioni di italiani. Il « Programma » prevedeva perciò un trapasso ii graduale » dal sistema vecchio a quello nuovo ( «supermarkets, grandi magazzini a prezzo unico ecc.»), e una serie di mifure atte a sostenere almeno una parte, la parte più sana, del piccolo commercio. Ma se si prescinde da queste cautele, il programma era chiaro: bisognava abolire il sistema delle licenze per gli esercizi commerciali sostituendolo « con una semplice procedura di registrazione ». Che poi vuol dire vìa libera ai punti di vendita di grandi dimensioni, quindi scomparsa del commercio più piccolo, ciò che in Europa è stato fatto già da parecchi anni. In Germania nel '53, in Belgio nel '59, in Francia nel '63. Come sono state accolte in Italia queste proposte dei programmatori? E' forse successo che esse siano rimost" inascoltate (com'è avvenuto a tanti altri punti del « Programma »), sicché la situazione è oggi la stessa che nel 1966? No, è accaduto di peggio. Si è fatto esattamente il contrario di quel che suggeriva l'ufficio della programmazione, che dopotutto è l'unico ufficio dell'amministrazione dello Stato dove si proceda col metodo del know-how, che non si muova coi . movimenti della mosca-cieca sotto la spinta delle pressioni settoriali, degli interessi elettoralistici, dell'affanno del lavoro arretrato. Dal 1966 al 1967, i primi due anni presi in esame dal piano, si sono aperti nel Paese- 22.119 nuovi negozi. Tra di essi ci sono appena 38 supermercati e 56 magazzini a prezzo unico; ì piccoli esercizi sorti contro la diagnosi e le prescrizioni del piano sono dunque 22.025, una Via Lattea di punti di vendita, un grave peggioramento della situazione. Si dirà: va bene, i governi non sono stati nei primi tre anni del piano energici come avrebbero dovuto; con le elezioni politiche per 10 meno era prevedibile che nessuno rischiasse di mettersi contro qualche milione di italiani interessati al sistema protezionistico delle licenze; ma passate le elezioni, certamente qualcosa si sarà cominciata a fare, si starà facendo, per risolvere 11 problema dei costi di distribuzione. Chi tentasse un simile ragionamento sbaglierebbe. C'è infatti, attualmente, una sola iniziativa politica in corso: una proposta di legge democristiana che si sta discutendo in Commissione. Ma è una proposta ohe mi?a a bloccare io- svi- «J luppo della grande distribuzione, ad aumentare il potere di pressione dei piccoli esercenti, e insomma a mummificare il settore. Una lunga, più o meno occulta serie di insidie attendeva il consumatore il giorno che è approdato alla società « affluente ». C'è un notissimo schema galbraithiano, l'« effetto di dipendenza » (vale a dire quel rapporto di forza che si crea tra produzione e consumi capovolgendo l'andamento tradizionale), che descrive cosa è avvenuto. Non più la produzione che segue la domanda, ma l'esatto contrario: la produzione che precede la domanda, la domanda « forzata ». a rispettare le leggi geometriche della produzione. Era fatale che da qui, da questo ribaltamento, scaturissero molti disagi e qualche trauma. Non sono problemi soltanto italiani ma di tutte le società capitalistiche. In esse, non c'è dubbio, il consumatore può conoscere giorni diffìcili. C'è quello che i francesi chiamano il « brouillage des prix », vale a dire quel rimescolamento continuo di pesi, misure e prezzi cui s'intersecano di continuo premi, concorsi, « settimane del... ». liquidazioni. C'è quella che gli americani definiscono la « pianificazione privata dell'obsolescenza », e cioè l'impoverimento intenzionale della qualità dei beni, il lancio continuo di prodotti nuovi: servono a vari scopi, ma soprattutto a non saturare il mercato con beni troppo durevoli. C'è una crescita impietosa dei « costi di vendita » (imballaggio, arredi dei negozi, pubblicità) che assorbe ormai fette ragguardevoli della ricchezza d'ogni Paese. E c'è la pubblicità: il tre per cento del reddito nazionale negli Stati Uniti, l'uno per cento in Francia, poco più dell'l'.o (410 miliardi) in Italia. « Pagando il conto », scrive Jean Meynaud, « il consumatore paga anche le spese dei raggiri e dei sistemi destinati a porlo sotto lo stretto controllo del venditore. Si giunge così all'instaurazione d'una economia di dispendio e di futilità in un mondo dominato dalla povertà ». Ma ciò che differenzia la condizione del consumatore italiano da quella degli altri consumatori delle « società affluenti », è la sua so¬ litudine, la sua mancanza di difese, l'assenza di quei diaframmi protettivi posti negli altri paesi tra produzione e consumi. Lo abbiamo visto negli articoli precedenti. Le leggi dello Stato sono spesso superate, confuse, imprecise. Gli strumenti amministrativi lenti a muoversi (quanti comitati ministeriali sono stati istituiti per non riunirsi che il primo giorno, il giorno delle congratulazioni e dei discorsi inaugurali?), o fermi all'Italia del 1930. Assenti sono le iniziative politiche. In Germania lo Stato destina alla protezione del consumatore un miliardo all'anno. In Inghilterra il Trade Description Act prevede pene severissime per chiunque (produttore, pubblicitario, commerciante) prometta qualcosa che non corrisponde esattamente, nei dettagli, a quel che dà. In Francia, la televisione di Stato trasmette programmi sui problemi alimentari e sulle vendite aggressive. In America, il problema della difesa del consumatore viene affrontato dai presidenti nei discorsi di Capodanno. Da noi no. Le proposte dei programmatori per diminuire i costi della distribuzione, o per controllare la pubblicità, o « per diffondere nel pubblico una più esatta e obbiettiva informazione » su quel che compra, non vengono accolte. Le leggi restano senza regolamenti. L'« Unione dei consumatori » che pure potrebbe, se appoggiata, svolgere una funzione assai utile, non ha mai ricevuto alcun vero sostentamento. Abbiamo fatto un viro, all'Aia e a Bruxelles, negli uf-fica degli organismi ^internazionali che si occupano della difesa del consumatore. Negli archivi di questi uffici ci sono tante cartelle, una pei ogni paese, e nel¬ la cartella ci sono gli elenchi delle associazioni dei consumatori, degli istituti che fanno le analisi comparative dei prodotti, dei finanziamenti diretti o indiretti dello Stato, dei regolamenti di disciplina della pubblicità, delle campagne educative nelle scuole, di quelle radiofoniche e televisive. La cartella «Italia» è sempre vuota. Sandro Viola f-

Persone citate: Jean Meynaud